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Anna Fazzini (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”) 1. Introduzione Ci perdonerà J.K. Rowling se prendiamo in prestito il titolo del celebre testo di magia di sua inventiva, “Animali fantastici e dove trovarli”, per descrivere lo stato dei diritti alle frontiere europee, sempre più labile, sacrificabile di fronte agli interessi

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diritto internazionale pubblico

Le considerazioni (Views) sul caso Teitiota c. Nuova Zelanda (comunicazione n. 2728/2016), adottate dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite (d’ora in avanti, “il Comitato”) nell’ambito della sessione tenutasi dal 14 ottobre all’8 novembre 2019, e pubblicate il 7 gennaio 2020, costituiscono una pronuncia di notevole importanza in materia di cambiamento climatico e dell’impatto di tale fenomeno sui diritti umani. In particolare, come si vedrà, nel quadro della decisione in oggetto, il Comitato ha – per la prima volta – avuto l’occasione di prospettare l’applicazione del divieto di refoulement in caso di rischio per la vita derivante da disastri ambientali legati a cambiamenti climatici.

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diritto internazionale pubblico

Il caso della “Sea-Watch” (Gradoni e Pasquet) pone una questione di grande importanza dal punto di vista teorico per il diritto internazionale. Si tratta del conflitto fra due modi di interpretare il funzionamento delle norme internazionali in gioco, che potremmo sinteticamente denominare prospettiva “stato-centrica” e prospettiva “cosmopolitica”. Per prospettiva “stato-centrica” intendiamo qui una duplice propensione, espressa da un certo numero di Governi; duplice, perché consistente, non solo nello spogliarsi delle responsabilità concernenti il rispetto di diritti individuali, ma anche nel negare che di tali responsabilità possano farsi direttamente carico soggetti non statali. Per prospettiva “cosmopolitica”, intendiamo invece l’atteggiamento specularmente opposto, assunto dai soggetti non statali convolti; e cioè, la propensione a farsi carico dei diritti fondamentali delle persone coinvolte, e a realizzarne la protezione, in quanto interesse collettivo giuridicamente rilevante, anche in contrasto con Governi nazionali.

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diritto dell'Unione europeadiritto internazionale privato

1. Non si può dire che la disciplina dell’ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero rispetto al territorio italiano non sia bisognosa di urgente riordino: frutto della stratificazione alluvionale di normative dettate da ragioni occasionali, spesso solo propagandistiche; ulteriormente confusa dall’adozione di atti di adattamento a direttive europee inserite come corpi estranei in un sistema con esse non coordinato, tale materia appare oggi come un groviglio di norme disordinato e spesso incoerente. Si potrebbe pertanto comprendere la fretta di intervenire da parte dell’attuale governo, a costo di forzare un po’ i presupposti del ricorso allo strumento del decreto legge (suscitando i rilievi critici dei costituzionalisti per i quali v. qui). Appare tuttavia assolutamente inadeguata, e anzi controproducente, la tecnica legislativa adottata e del tutto illusoria la ratioche la supporta.

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diritto dell'Unione europeadiritto internazionale pubblico

Se un essere razionale di avanzata evoluzione (evidentemente un marziano), osservando le vicende di questo “atomo opaco del male”, avesse seguito negli ultimissimi tempi le cronache sui movimenti di persone nel Mediterraneo e le reazioni politiche e giuridiche ad esse, sicuramente ne sarebbe rimasto a dir poco esterrefatto. Difatti, è difficile trovare una successione di eventi così drammaticamente irrazionali – prima ancora, e oltre che, illeciti – quali quelli che si sono susseguiti a partire dall’adozione, il 13 maggio 2015, dell’Agenda europea per le migrazioni (su cui v. il post di Cherubini in questo blog). In essa, un po’ occultata da una paccottiglia di routinarie dichiarazioni di dolore per le tante vittime e di burocratiche preoccupazioni umanitarie per la sorte dei futuri soggetti in partenza – sotto il titolo Collaborare con i paesi terzi per affrontare a monte la questione della migrazione – si trova la misura centrale della gestione dei flussi da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri: la c.d. esternalizzazione delle frontiere (sulla quale v. Frelick, Kysel, Podkul ). Lanciata gloriosamente dal governo italiano con il Processo di Kartoum del novembre 2014 (per un commento v. qui il quale vedi qui); successivamente sviluppata dalla Commissione europea nella Comunicazione sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione del 7 giugno 2016; sostenuta dal Summit UE/OUA, tenutosi alla Valletta nel novembre 2015 (anche con la creazione di uno strumento economico, il Fondo fiduciario per l’Africa); trionfalmente sbandierata nel Vertice di Parigi sulle migrazioni, l’esternalizzazione delle frontiere è ormai la pietra angolare delle politiche migratorie (anche se rischia di divenirne la pietra d’inciampo), ormai di gran lunga preferita rispetto a misure parimenti perspicue, anche se ancillari, proposte dall’Italia,  quali il bombardamento dei barconi di migranti (per il quale si rinvia ad un nostro precedente post) o la chiusura dei porti alle imbarcazioni cariche di persone salvate da naufragi (su cui v. il post di De Sena e De Vittor).

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diritto dell'Unione europeadiritto internazionale pubblico

Nessuna decisione di “bloccare” l’accesso a porti italiani da parte di imbarcazioni cariche di migranti e dirette in tali porti è stata sinora presa dal Governo italiano. Secondo quanto si apprende dalla stampa, è, però, proprio una simile prospettiva che il rappresentante italiano presso l’Unione europea avrebbe fatto balenare al Commissario europeo competente, Dimitri Avramopoulos, in considerazione del consistente numero di sbarchi susseguitisi negli ultimi giorni, il cui impatto critico sul nostro sistema di accoglienza è stato sottolineato anche dal Presidente della Repubblica Mattarella e dal Presidente del Consiglio Gentiloni.

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Introduzione

Il 7 marzo 2017, nel caso X e X contro Belgio, C-638/16 PPU, la Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata riguardo al rilascio di visti umanitari da parte degli Stati membri dell’Unione europea. Il caso aveva sollevato gli animi di quanti da tempo auspicano l’apertura di vie legali che permettano a coloro che sono in fuga da conflitti o persecuzioni di giungere in Europa in maniera sicura ed ordinata. Tale attesa era stata alimentata dalle conclusioni dell’Avvocato generale Mengozzi, il quale sosteneva la sussistenza in capo agli Stati membri di un obbligo di rilascio di visti per ragioni umanitarie qualora vi fossero fondati motivi per ritenere che un rifiuto mettesse in pericolo la vita e la sicurezza dei richiedenti. Tuttavia, le (più o meno) fiduciose aspettative di molti sono state disattese dalla Grande Sezione, che ha adottato un approccio conservatore, rimettendo la questione agli Stati membri.

In quanto segue, propongo alcune riflessioni a margine di questa pronuncia tanto attesa per il suo potenziale impatto, quanto, purtroppo, deludente nel suo esito effettivo.

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