libertà di espressione
La detenzione di migranti al tempo del COVID-19: conseguente a nulla e destinata a nulla
Le persone private della libertà personale sono più vulnerabili di fronte al COVID-19 da entrambi questi punti di vista: da una parte, le loro condizioni di salute sono peggiori, in media, rispetto a quelle della popolazione in generale; dall’altra, vivono, inevitabilmente, in condizioni di prossimità con numerose altre persone (la doppia vulnerabilità dei detenuti di fronte al Coronavirus è stata sottolineata, tra gli altri, dall’OMS e da Penal Reform International).
La libertà di espressione presa sul serio. Casa Pound c. Facebook, atto I
Con una decisione di qualche giorno fa, il Tribunale di Roma ha ordinato a Facebook di riattivare le pagine della «Associazione di promozione sociale CasaPound Italia» e del suo amministratore, Davide Di Stefano, oscurate lo scorso settembre (per un commento a caldo, v. R. Bin su laCostituzione.info).
L’ordinanza, pronunciata in sede cautelare, avverso la quale è già stato annunciato reclamo da parte del social network, presenta molteplici profili di interesse, non solo per l’inquadramento del servizio prestato dalle piattaforme social, ma anche per le considerazioni relative ai discorsi d’odio (cd. hate speech) e al pluralismo politico.
Il giudice della cautela riconosce la natura contrattuale del rapporto che l’utente intrattiene con la piattaforma e dei relativi obblighi, risultanti dalle condizioni generali del contratto (c.d. condizioni di uso) che il primo si impegna a rispettare al momento della registrazione. Tra queste ultime, ricoprono una posizione peculiare i cd. Standard della Community, volti a limitare le opinioni inneggianti all’odio, e cioè, ai sensi dello Standard n. 13, i «discors[i] violent[i] o disumanizzant[i]», «dirett[i] alle persone sulla base di aspetti tutelati a norma di legge, quali razza, etnia, nazionalità di origine, religione, orientamento sessuale, casta, sesso, genere o identità di genere e disabilità o malattie gravi».
FORGET ME…OR NOT? LA CORTE DI GIUSTIZIA TORNA SUL DIRITTO DI FARSI DIMENTICARE. PRIMA LETTURA DI DUE RECENTI PRONUNCE SUL «DIRITTO ALL’OBLIO»
Il 24 settembre 2019, con due sentenze emesse nei casi C-136/17, GC e altri c. Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL) e C-507/17, Google LLC c. Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL), la Corte di giustizia è tornata a pronunciarsi sul «diritto all’oblio», a oltre cinque anni di distanza dalla sentenza Google Spain del 13 maggio 2014 (C-131/12), con la quale, in buona sostanza, la Corte aveva stabilito che, in seguito a specifica richiesta di cancellazione da parte degli interessati, i gestori dei motori di ricerca sono obbligati a eliminare dall’elenco dei risultati di ricerca i link verso pagine web, pubblicate da terzi, contenenti informazioni sugli interessati, anche qualora tali informazioni non vengano o non possano essere cancellate dalle stesse pagine web (sul caso v. il contributo su SIDIBlog di Natoli, oltre ai commenti, tra gli innumerevoli comparsi in dottrina, di Lynskey, Crowther, Valvo, Castellaneta, Kranenborg,Spiecker, Stute).
Le due pronunce sono state anticipate dalle conclusioni dell’Avvocato generale Szpunar, pubblicate per entrambi i casi il 10 gennaio 2019 (v. qui e qui).
Alcuni pensieri su «Charlie Hebdo», la libertà d’espressione e le leggi liberticide
Luca Pasquet è dottorando in diritto internazionale presso il Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra Come cambia il vento. Qualche mese fa, paesi come il Regno Unito e l’Italia discutevano se criminalizzare l’istigazione all’omofobia e alla transfobia. Oggi, dopo l’attentato al settimanale umoristico Charlie Hebdo, la parola
La Corte di Strasburgo e il divieto di burqa: osservazioni critiche
Ivan Ingravallo è professore associato di Diritto internazionale, Università degli Studi di Bari Aldo Moro 1. La sentenza emessa il 1° luglio 2014 dalla Grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso S.A.S. c. Francia (ricorso n. 43835/11) si occupa della compatibilità con la CEDU) della legge francese
Cinque argomenti contro il reato di negazionismo
Le idee, anche peggiori, si combattono con le idee, possibilmente le migliori. È in virtù di tale convincimento che, diversamente da quanto sostenuto dal Prof. Sacerdoti, sono contrario all’introduzione di un reato di negazionismo in Italia. Sinteticamente, tale posizione è fondata su cinque argomenti (sui quali è in corso un
Il reato di negazionismo: una tutela della democrazia, non un impedimento alla ricerca storica
La presentazione al Senato del progetto di legge per punire penalmente la negazione dell’olocausto ebraico, dei genocidi in genere e di altri gravissimi crimini internazionali ha sollevato una levata di scudi da parte degli storici italiani. Pur naturalmente preoccupati del diffondersi dell’antisemitismo, che si riconosce “assume anche la forma di negazione