genocidio
Prime considerazioni sul tentativo della Russia di giustificare l’intervento armato in Ucraina
Il 24 febbraio la Russia ha attaccato militarmente l’Ucraina, conducendo operazioni militari aeree, navali e terrestri nei confronti di diverse località strategiche dal punto di vista politico e militare del Paese. L’intervento, ancora in corso, posto in essere dalla Russia costituisce un ricorso alla forza armata nei confronti di uno Stato sovrano (Marko Milanovic) in violazione del divieto sancito dall’art. 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite (v. i comunicati dei Consigli direttivi della SIDI, dell’ESIL e della Società tedesca di diritto internazionale).
L’amministrazione Biden, il diritto internazionale e il valore «simbolico» del riconoscimento del genocidio armeno
Francesca Sironi De Gregorio (Università degli Studi di Palermo) 1. «Each year on this day, we remember the lives of all those who died in the Ottoman-era Armenian genocide and recommit ourselves to preventing such an atrocity from ever again occurring». Con queste parole, sabato 24 aprile 2021, nel giorno
Dal 24 aprile 1915 al 24 aprile 2021: il riconoscimento del genocidio armeno da parte del Presidente Biden nel diritto internazionale
Emanuela Pistoia (Università di Teramo) L’anniversario numero 106 del genocidio degli Armeni ̶ per la precisione, l’anniversario della retata di Costantinopoli con cui ha avuto inizio la vicenda storica chiamata dagli Armeni Metz Yeghern e dai Turchi 1915 olayları ̶ sarà ricordato come straordinario grazie alla breve dichiarazione con cui
QUALE GENOCIDIO AL DI FUORI DELLA CONVENZIONE OMONIMA? INTRODUZIONE AL DIBATTITO
Gabriele Della Morte (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Prima di essere codificato nella Convenzione internazionale sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio, approvata il 9 dicembre del 1948, il termine «genocidio» fece la sua prima apparizione in una pubblicazione che Lemkin, giurista discendente da una famiglia di
Le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang: tra la reazione della Cina e il lento risveglio della comunità internazionale
Dal 2017 in poi le prove di violazioni dei diritti umani commesse dal governo Cinese ai danni delle minoranze musulmane e turcofone che popolano la regione dello Xinjiang, in particolare la minoranza uigura, hanno iniziato a moltiplicarsi, al punto che non è più stato possibile, nemmeno per Pechino, continuare ad ignorarle. La popolazione uigura viene descritta dal governo centrale di Pechino come uno dei 56 gruppi etnici all’interno di uno Stato multiculturale. La Cina, infatti, ha sempre ignorato le istanze di autodeterminazione degli uiguri, rifiutandosi di riconoscere a questo gruppo lo status di popolazione indigena e ponendo in essere, praticamente da sempre, una politica di repressione.
Genocidio dei Rohingya? Sulle misure cautelari della Corte internazionale di giustizia nel caso Gambia c. Myanmar
Il 23 gennaio 2020 la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha adottato un’ordinanza in risposta alla richiesta di misure provvisorie presentata dal Gambia l’11 novembre 2019 nel quadro del contenzioso che lo oppone a Myanmar, accusato di violare la Convenzione del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Con il ricorso, fondato sui (presunti) illeciti commessi nello Stato di Rakhine dall’esercito di Myanmar (noto come Tatmadaw) e da vari gruppi armati (supportati, sostenuti o quanto meno tollerati dallo Stato) contro il gruppo etnico musulmano dei Rohingya, il Gambia ha chiesto l’accertamento della violazione degli articoli I, III, IV, V e VI della Convenzione suddetta e la conseguente condanna di Myanmar alla cessazione dell’illecito, alla punizione dei colpevoli, alla riparazione dei danni nei confronti delle vittime e alla prestazione di adeguate garanzie di non ripetizione.
L’ordinanza, adottata all’unanimità (con due opinioni separate, l’una della Vice-Presidente Xue e l’altra del giudice Cançado Trindade) contiene spunti interessanti, che probabilmente incideranno sulla prosecuzione del giudizio.
In questo breve scritto esamineremo la questione tanto sotto il profilo sostanziale, quanto sotto quello procedurale.
ATTRIBUZIONE DEL FATTO ILLECITO A’ LA CARTE OVVERO COME LA CORTE SUPREMA OLANDESE HA LIQUIDATO LE MADRI DI SREBRENICA
La Corte suprema olandese, venerdì 19 luglio 2019, ha messo, almeno a livello nazionale, la parola ‘fine’ alla vicenda giudiziale relativa alle responsabilità del proprio governo per i fatti accaduti a Srebrenica nel luglio del 1995. La sentenza è destinata a far discutere, dal momento che limita fortemente la responsabilità dello Stato per le omissioni del Dutchbat, il contingente olandese ‘prestato’ alle Nazioni Unite nell’ambito dell’operazione UNPROFOR e distaccato a Srebrenica con il mandato di proteggerla. Più nel dettaglio è sorprendente che la Corte giunga a questa conclusione applicando lo standard di attribuzione contenuto nell’art. 8 dei Draft Articles on the Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts (DARSIWA), così come interpretato dalla Corte internazionale di giustizia nei casi Nicaragua e Genocidio.
Le condotte delle truppe olandesi, temporaneamente a disposizione delle Nazioni Unite, formavano oggetto del ricorso presentato dall’associazione Madri di Srebrenica, che rappresenta gli interessi delle donne rimaste vedove od orfane a seguito del genocidio perpetrato dalle truppe della Repubblica Serba di Bosnia. Il ricorso è stato dapprima presentato contro le Nazioni Unite, che hanno con successo invocato l’immunità dalla giurisdizione, e poi contro lo stesso Stato olandese, che nel frattempo, nel 2013, in un procedimento parallelo, veniva nell’ultima istanza di giudizio ritenuto responsabile per la mancata protezione offerta ad Hasan Nuhanovic e Rizo Mustafic, due bosniaci musulmani uccisi dalle forze serbo-bosniache dopo essere stati costretti a lasciare il compound delle Nazioni Unite a seguito della caduta di Srebrenica e del ritiro di UNPROFOR.
Non è esagerato ritenere che la decisione della Corte suprema riduca sensibilmente le possibilità per le vittime di violazioni dei diritti umani commesse nell’ambito delle operazioni di peacekeeping di invocare la responsabilità dello Stato fornitore delle truppe e, quindi, di ottenere un risarcimento (cfr. Dannenbaum). Simili possibilità si erano aperte con le già citate sentenze Nuhanovic e Mustafic, che avevano contribuito in buona misura a plasmare il contenuto dell’art. 7 dei Draft Articles on the Responsibility of International Organizations (DARIO), quasi all’unanimità considerata la regola di attribuzione nel complesso quadro istituzionale delle operazioni di peacekeeping.
Sulla legge che introduce la punizione delle condotte negazionistiche nell’ordinamento italiano: tre argomenti per una critica severa
L’8 giugno 2016 la Camera dei deputati del Parlamento italiano, dopo un lungo e travagliato iter che ha registrato diverse proposte contrastanti, ha definitivamente approvato, con 237 voti a favore, 5 contrari, e 102 astenuti, la proposta di legge n. 2874-B che punisce il negazionismo (così come modificata dal Senato il 3 maggio 2016). La proposta consta di un solo articolo con il quale si aggiunge un nuovo comma 3-bis all’art. 3 della legge n. 654 del 1975, e successive modifiche. In esso si sancisce la reclusione da 2 a 6 anni nei casi in cui «la propaganda, ovvero l’istigazione e l’incitamento, commesso in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232».
Mens rea e responsabilità dello Stato per illecito di genocidio (ancora sulla sentenza della Corte internazionale di giustizia)
Giulia Landi, Università di Firenze Il 3 febbraio 2015 la Corte internazionale di giustizia (CIG) si è pronunciata sulla controversia tra Croazia e Serbia circa l’applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (v. la sentenza). Il procedimento era stato riferito alla CIG dalla Croazia,
Responsabilità dello Stato e dell’individuo per crimine di genocidio: persistenti incertezze nella giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia
Beatrice I. Bonafè è professore associato di diritto internazionale all’Università Sapienza di Roma Con la sentenza resa il 3 febbraio 2015 nel caso dell’applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Croazia c. Serbia) la Corte internazionale di giustizia ha rigettato la domanda principale della