controlimiti
Nessuna “eccezione costituzionalmente giustificata” alla CEDU: contro-limiti vs. supremazia del diritto internazionale in Walęsa c. Polonia
(Lorenzo Acconciamessa, Corte europea dei diritti umani; membro della redazione)* 1. Il 23 novembre 2023 la Corte europea dei diritti umani (di seguito anche solo “la Corte europea”) ha reso la propria sentenza nel caso Walęsa c. Polonia. La pronuncia è di estremo rilievo in quanto costituisce l’esito di una
Immunità degli Stati e violazioni dei diritti umani. Riflessioni a margine della sentenza “Changri-la” del Supremo Tribunal Federal brasiliano
Eleonora Branca (Università di Roma Tre) Il 24 settembre 2021 è stata pubblicata l’attesa sentenza del Supremo Tribunal Federal (STF) brasiliano nel caso “Changri-la”, dal nome del peschereccio affondato al largo delle coste di Rio de Janeiro da un sottomarino tedesco nel corso della Seconda guerra mondiale, nel 1943. Cinque
La «restaurazione» del giudice penale e la «garanzia» della Consulta: in margine alle ordinanze n. 216 e n. 217 del 2021
Samuele Barbieri (Università di Ferrara) 1. Quando si commentarono i due ormai celebri obiter dicta contenuti nella sentenza n. 269 del 2017 (sui quali, ex multis, Guazzarotti; Mastroianni 2018; Rossi 2018; Martinico e Repetto; Tizzano; Nascimbene) si utilizzò l’efficace espressione “cambio di passo” (cfr. Caruso) per qualificare la deviazione della
Ritorno di Anzilotti
Il testo qui riprodotto è stato letto a Roma il 4 giugno 2019, nella sede del CNR, durante la tavola rotonda dal titolo «Gli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sul giudicato nazionale», organizzata dai gruppi di interesse DIEDI e DIEDU in occasione del XXIV Convegno nazionale della Società italiana di Diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea (SIDI). Micaela Frulli ha interpretato Dionisio Anzilotti donando al testo una vivacità che non avrei saputo nemmeno immaginare. È stato un piacere farle da spalla. Le sue battute sono in tondo, le mie in corsivo. Ho udito che della performance esiste più di un bootleg. Il testo è qui corredato da una nota metodologica e bibliografica.
Buon pomeriggio a tutti. Il XXIV Convegno nazionale della SIDI si celebra nel segno di Dionisio Anzilotti, Maestro venerato da tutti gli internazionalisti, italiani e non, «mostro sacro del diritto internazionale», così lo definì Roberto Ago. Non solo il titolo del convegno riprende quello della monografia anzilottiana del 1905; la presentazione dell’evento – che cita l’esordio di quel libro vecchio più d’un secolo, dove un Anzilotti trentottenne si spaurava davanti alla «nebulosità e incertezza che ancora avvolgono le premesse sistematiche e le stesse basi del diritto internazionale» – fa pensare, rileggetela, a un’invocazione di quello Spirito Magno: «Torna, o Dionisio, perché più d’un secolo dopo la situazione, in fondo, non è cambiata».
Maestro, grazie di aver risposto all’invocazione della SIDI.
Ci mancherebbe, anzi grazie a voi, ché le vostre preci devono aver dischiuso un passaggio tra il mondo sublunare e quello mio. Sa, le due sfere, quella di questo e quella dell’altro mondo (indica il cielo), son nettamente separate, sì che in verun caso si sovrappongono.
Come risolvere la “questione Taricco” … senza far leva sull’art. 4, par. 2, TUE
1. Una possibile soluzione per Taricco II
Dato che su Taricco I (causa C-105/14) e sul conseguente invito della Corte costituzionale italiana alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) di pronunciarsi nuovamente sono ormai stati scritti moltissimi commenti (ex multis, Gallo, Amalfitano, Bin, Sarmiento, Streinbeis, Faraguna, Bassini and Pollicino, Repetto, Gradoni, Tega e Sarmiento), in un recente post avevo provato ad immaginare direttamene un possibile dispositivo della futura sentenza Taricco II.
Proseguo il discorso su questo blog per chiarire, in risposta alla domanda di alcuni Colleghi, perché non avevo fatto riferimento all’art. 4, par. 2, TUE ed al concetto di identità nazionale degli Stati membri, a cui invece si richiama l’ordinanza di rinvio della Corte costituzionale.
Ultra vires review e applicazione orizzontale del principio di non discriminazione sulla base dell’età: una riflessione (a freddo) su Dansk Industri
1. Con sentenza n. 15/2014, del 6 dicembre 2016, la Corte suprema danese ha rifiutato di dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia nella causa Dansk Industri (sentenza del 19 aprile 2016, C-441/14), ritenendola in contrasto con lo strumento di adesione della Danimarca all’Unione e con il riparto di competenze in esso cristallizzato.
Questa sentenza, che sino ad ora non è stata oggetto di particolari attenzioni da parte degli studiosi, se si eccettuano Gualco e Lourenço e di recente ancora Gualco, scrive un nuovo capitolo nel rapporto complesso fra la Corte di giustizia e i giudici titolari del controllo di costituzionalità degli Stati membri (nel caso di specie, infatti, la Corte suprema danese è anche titolare in ultima istanza del controllo di costituzionalità delle leggi, poiché il sistema danese è un sistema a controllo di costituzionalità diffuso). Se la Corte di giustizia, secondo l’articolo 263 TFUE, è la custode dell’interpretazione dei Trattati e della legislazione dell’Unione europea, i giudici costituzionali degli Stati membri sono invece competenti per la valutazione della conformità delle norme UE, e di quelle nazionali che ne danno attuazione, con le rispettive Costituzioni nazionali. Questa situazione ha generato occasioni di attrito fra le Corti, che a volte si sono concluse positivamente, come per la richiesta di rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale tedesca sul programma “OMT” annunciato dalla Banca centrale europea (sentenza del 16 giugno 2015, C-62/14, Gauweiler, a cui poi la Corte costituzionale tedesca si è conformata con sentenza del 21 giugno 2016, 2 BvR 2728/13; vedi il post di Pace in questo blog); altre volte esse si sono concluse negativamente, come nel caso delle sentenze della Corte costituzionale ungherese (sentenza del 17 maggio 2004, n. 17/2004) e della Corte costituzionale della Repubblica slovacca (sentenza del 18 ottobre 2005, Pl. ÚS 8/04), che hanno annullato la disciplina interna di recepimento di alcune norme di diritto dell’Unione (si trattava, rispettivamente, dell’annullamento per contrasto con il dettato costituzionale di una disciplina interna adottata in applicazione di un regolamento e in esecuzione di una direttiva). Dal controllo di costituzionalità discende poi la valutazione di conformità dei poteri esercitati dall’Unione europea con quelli che le sono stati attribuiti dagli Stati membri, secondo il principio dei poteri conferiti (ultra vires review). La Corte di giustizia non sfugge a questo scrutinio, ragione per la quale la Corte costituzionale della Repubblica ceca (sentenza del 31 ottobre 2010, Pl. ÚS 5/12) ha dichiarato ultra vires la sentenza Landtová (sentenza del 22 giugno 2011, C-399/09).
La primazia del primato sull’efficacia (diretta?) del diritto UE nella vicenda Taricco
1. In questo post (che sviluppa alcune osservazioni svolte qui) mi limiterò a ragionare su un profilo problematico della notissima vicenda Taricco (vedi qui per il testo della sentenza, del 2015, della Corte di giustizia): la (supposta) efficacia diretta dell’articolo 325 TFUE (per un commento ricostruttivo sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale vedi Gradoni, in questo blog; recentemente, sempre sull’ordinanza, per alcune osservazioni di stampo costituzionalistico vedi Faraguna, Pollicino e Bassini, Repetto e Tega; nella prospettiva penalistica Cupelli e Manes; dal punto di vista del diritto UE vedi Amalfitano).
A titolo preliminare, osservo che il tema del riconoscimento dell’efficacia diretta di una norma UE, visto in rapporto al principio del primato, pur rilevando, certamente, ai fini dei controlimiti, essendo il presupposto dell’obbligo di disapplicazione, solleva diverse criticità, anche a prescindere dall’invocazione, o meno, da parte della Corte costituzionale, della clausola sui principi costituzionali supremi. Peraltro, Taricco 2015 pone il serio dubbio – in linea con una certa lettura di parte della giurisprudenza pregressa della Corte di giustizia – che l’effetto diretto di una norma UE non sia per se precondizione per la disapplicazione della normativa nazionale (vedi infra, § 4).
Il dialogo tra Corti, per finta
Il 23 novembre 2016 (ma il deposito dell’ordinanza risale a pochi giorni fa) la Corte costituzionale ha deciso di rivolgere una domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Non è la prima volta; questa, però, è speciale. Chi conosce il caso – che è una prosecuzione del noto affaire Taricco, ma anche la stessa ordinanza di rimessione ha già ricevuto attenzione (v. qui, qui, qui e ancora qui, qui, qui e qui) – può saltare al capoverso successivo. Per gli altri, ecco un rapido riassunto. Tutto ha inizio con le scorrerie di «una banda nel campo del commercio di champagne» (la definizione è dell’AG Kokott) che, secondo gli inquirenti, realizza plusvalenze milionarie frodando il fisco, ai danni non solo della comunità nazionale ma anche di un più vasto ente, l’Unione europea. La banda dello champagne costituisce società di comodo per eludere l’IVA, tributo dalla cui riscossione l’Unione trae direttamente una parte importante delle proprie risorse finanziarie. Le attività illecite della banda – e di quante altre? molte, pare… – iniziano nel 2005, per puro caso l’anno in cui il Parlamento licenzia la legge detta “ex-Cirielli”, che, per i reati del tipo indicato, restringe il termine entro cui il differimento della prescrizione può spingersi, portandolo da metà a un quarto del termine ordinario. Nove anni dopo, sui membri della banda, non ancora rinviati a giudizio e pronti a brindare, si abbatte la scure della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata in causa a titolo pregiudiziale dal Tribunale di Cuneo. Il giudice piemontese, non potendo incidere sulle cause strutturali di un esito cui non vuole rassegnarsi, fa quel che può: si accanisce contro il frammento di ex-Cirielli che è causa prossima dell’ingiustizia e ne denuncia numerosi profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione, tutti abbastanza fantasiosi, in verità. L’AG Kokott cura un empatico restyling della domanda, riducendola in sostanza a un unico quesito: è la prescrizione breve compatibile con l’articolo 325 del TFUE, che obbliga gli Stati membri a combattere la frode e altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive e non meno incisive di quelle prese a tutela dei propri interessi finanziari contro illeciti analoghi? Per l’AG, assolutamente no. La Corte redige una motivazione più sfumata a sostegno della medesima conclusione (o almeno così sembra): il giudice a quo disapplichi la norma che limita il differimento della prescrizione. Il Tribunale di Cuneo prontamente esegue. Altri giudici italiani (tra cui la Corte di cassazione), invece, rifiutano di dar seguito a un’ingiunzione contraria al principio di legalità (art. 25, co. 2, Cost.), principio che la Corte costituzionale intende esteso a tutti gli aspetti della punibilità, termini di prescrizione inclusi. Contro il tentativo del giudice europeo di imporre un’applicazione retroattiva del diritto penale in malam partem, la Consulta è invitata, anche con una certa veemenza, a erigere i controlimiti. Con l’ordinanza n. 24, depositata in cancelleria il 26 gennaio 2017, il giudice costituzionale smorza i toni ma, con fermezza, chiede al giudice europeo: posso, giusto?
Un giudizio mostruoso. Quarta istantanea della sentenza 238/2014 della Corte costituzionale italiana
La mostruosità può predicarsi anche di qualcosa che si ammira. In questo senso la sentenza n. 238 mi è parsa “mostruosa” e non ho esitato a scriverlo, due volte in questo Blog (qui e qui) e ancora nel Forum di Quaderni Costituzionali. Sin dall’inizio la decisione ha suscitato anche reazioni
Norme internazionali generali e principi costituzionali fondamentali, fra giudice costituzionale e giudice comune (ancora sulla sentenza 238/2014)
Pasquale De Sena è professore ordinario di diritto internazionale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano 1. Il suggestivo (secondo) post di Lorenzo Gradoni è un’occasione troppo ghiotta perché io la lasci passare, senza approfittarne per aggiungere qualche considerazione ulteriore rispetto al mio primo intervento sulla sentenza 238 della