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Cinque temi di diritto internazionale al summit NATO di Vilnius
Mirko Sossai (Università di Roma Tre) Martedì 11 luglio 2023, al termine della prima giornata del summit dei Capi di Stato e di governo dei Paesi membri della NATO, tenutosi nella capitale della Lituania, Vilnius, è stata resa pubblica una dichiarazione finale che delinea le priorità e i principali impegni
Le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang: tra la reazione della Cina e il lento risveglio della comunità internazionale
Dal 2017 in poi le prove di violazioni dei diritti umani commesse dal governo Cinese ai danni delle minoranze musulmane e turcofone che popolano la regione dello Xinjiang, in particolare la minoranza uigura, hanno iniziato a moltiplicarsi, al punto che non è più stato possibile, nemmeno per Pechino, continuare ad ignorarle. La popolazione uigura viene descritta dal governo centrale di Pechino come uno dei 56 gruppi etnici all’interno di uno Stato multiculturale. La Cina, infatti, ha sempre ignorato le istanze di autodeterminazione degli uiguri, rifiutandosi di riconoscere a questo gruppo lo status di popolazione indigena e ponendo in essere, praticamente da sempre, una politica di repressione.
La Cina allo scoppio dell’epidemia. Riflessioni sul rispetto degli obblighi internazionali di notifica e di due diligence in materia sanitaria
Nell’epoca globalizzata e connessa in cui viviamo sembra molto difficile mantenere segreti; soprattutto, quando il segreto in questione riguarda il diffondersi di una malattia «simile alla SARS», con un tasso di diffusione rapidissimo, causata da un virus mai osservato al microscopio. Eppure, ci sono fondati motivi per ritenere che le autorità cinesi abbiano taciuto per alcune settimane l’emergere e il diffondersi del virus successivamente denominato SARS-CoV-2, settimane importanti per evitare il diffondersi di quest’ultimo, dentro e fuori i confini cinesi. Ci sono anche fondati motivi per ritenere che le autorità cinesi non abbiano fatto tutto quanto ragionevolmente possibile per arginare la diffusione del virus.
La Cina è immune al COVID-19? Riflessioni sulle cause di risarcimento contro la Cina per i danni causati dalla pandemia negli Stati Uniti
Dall’inizio della pandemia da COVID-19, negli Stati Uniti sono stati presentati almeno sette ricorsi contro la Cina, finalizzati ad ottenere il risarcimento dei danni subiti come conseguenza della diffusione dell’epidemia.
Ai fini della presente analisi queste cause possono essere divise in tre gruppi.
La Cina deve risarcire i danni transnazionali da Covid-19? Orizzonti ad oriente
La pandemia causata dal Covid-19 ha creato danni incalcolabili alla vita ed all’economia di molti Paesi nel mondo. Gli Stati Uniti tornano ciclicamente ad accusare unilateralmente la Cina di essere all’origine del virus e responsabile della sua diffusione. E la reazione di altri Governi e di altrettanti giuristi appare, in questo momento, di grande interesse per gli internazionalisti giacché in tale dibattito emergono, in mezzo alle proposte più stravaganti, diversi profili interessanti. Nei giorni scorsi di quarantena, col Prof. Carrascosa Gonzalez (v. il suo blog Accursio) abbiamo dialogato su questo tema, sicché sono lieto di offrire ai lettori del blog SIDI alcune note e pensieri del mio taccuino. Desidero articolarli secondo due orizzonti di riflessione strettamente collegati giacché toccano, sia dei profili di diritto internazionale “pubblico” (I), che di diritto internazionale privato e processuale (d.i.pr.) (II).
Le misure USA per la protezione dei mercati nazionali dell’acciaio e dell’alluminio: un nuovo capitolo della crisi dell’Organizzazione mondiale del commercio?
La recente guerra commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti prende le mosse dalla decisione di questi ultimi di ricorrere, per ragioni di sicurezza nazionale, a un aumento del 25% e del 10% dei dazi doganali applicati alle importazioni di taluni prodotti, rispettivamente, dell’acciaio e dell’alluminio. Prefigurate in due rapporti del Dipartimento del Commercio del gennaio di quest’anno ed entrate in vigore il successivo 23 marzo, queste misure non colpiscono il Canada e il Messico, secondo quanto previsto dai proclami del Presidente Donald Trump dell’8 marzo 2018, oltre ad Argentina, Australia, Brasile, Corea del Sud e Unione europea, in base alle intese con loro raggiunte in un momento successivo.
Già all’indomani dei proclami presidenziali, diversi partner commerciali degli Stati Uniti avevano risposto duramente, come l’Unione europea e il Giappone. La reazione cinese è stata particolarmente forte: essa ha in primo luogo contestato la natura delle misure americane in seno all’Organizzazione mondiale del commercio, le quali non costituirebbero restrizioni fondate su motivi di sicurezza nazionale, legittimate in linea di principio dall’art. XXI del GATT 1994, bensì misure di salvaguardia, la cui disciplina è contenuta nell’art. XIX GATT 1994 e nel relativo Accordo ad hoc. Sulla base di quest’ultimo, allegando una violazione del diritto rilevante, la Cina ha quindi chiesto l’avvio di consultazioni con gli USA, invocato il suo diritto a reagire alle restrizioni in causa, secondo quanto disposto dall’art. 8, par. 2 e, da ultimo, presentato ricorso innanzi agli organi contenziosi dell’OMC. A fronte di queste iniziative, gli Stati Uniti hanno mantenuto ferma la giustificazione per esigenze di sicurezza nazionale, negando quindi che trovino applicazione le norme in materia di salvaguardia.