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Il diritto alla protezione della salute nella Carta sociale europea
Sul piano “regionale” europeo la tutela del diritto alla salute, pur passando per la CEDU (articoli 2, 3 e 8 della Convenzione) e la Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché per la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 35), trova il suo spazio più esteso e privilegiato nel sistema – spesso trascurato – della Carta sociale europea, che sin dal 1961 contempla una disposizione dedicata espressamente al «Diritto alla protezione della salute» (Articolo 11).
L’Articolo 11 della Carta sociale merita attenzione sia in se stesso, in quanto definisce gli obblighi degli Stati che si sono impegnati a rispettare il diritto alla salute (ossia 42 dei 43 Stati parti della Carta; l’Armenia è l’unico Stato parte a non aver accettato l’Articolo 11), sia perché nell’interpretare e applicare tale articolo il Comitato europeo dei diritti sociali – l’organo di controllo della Carta sociale – ha progressivamente individuato e chiarito i contenuti concreti e le implicazioni dell’obbligo di garantire la salute, ed anche il valore e la portata giuridica di quest’obbligo. Ciò è avvenuto nel contesto sia della valutazione da parte del Comitato dei rapporti presentati periodicamente dagli Stati, sia dell’esame e della decisione di alcuni «reclami collettivi» presentati contro gli Stati per violazione dell’Articolo 11.
Legal implications of the Dutch “no” vote for the future of the EU-Ukraine Association Agreement
What was still a hypothetical scenario few months ago has now become reality: the Dutch citizens rejected the approval of the EU-Ukraine Association Agreement (AA) with a majority of 61 % and with a turnout of 32.28 %. As a result, the referendum is considered “valid” under the Dutch Advisory Referendum Act (DAR) and it is now for the Dutch government to decide “as soon as possible” upon the actual implications of this result. Before analyzing the potential legal options, some preliminary remarks are in place.
Osservazioni a prima lettura sulla legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nella prospettiva internazionalprivatistica
1. La legge recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, approvata l’11 maggio 2016 (proposta di legge C. 3634), attribuisce alle coppie formate da persone dello stesso sesso i c.d. love rights, vale a dire il diritto al riconoscimento giuridico delle proprie relazioni affettive. Per le coppie omosessuali la possibilità di disporre di uno schema legale rappresenta un fondamentale miglioramento della propria condizione sia sotto il profilo della tutela giuridica, perché si superano tutte le carenze e le difficoltà date dalla mera supplenza giurisprudenziale, sia sotto il profilo dell’accettazione sociale, in ragione del valore anche simbolico che si attribuisce al riconoscimento giuridico.
Come emerge sin dal titolo della legge, lo strumento in commento mira a introdurre all’interno del nostro ordinamento due istituti ben distinti: le unioni civili e le convivenze di fatto. Il primo è destinato alle coppie same-sex, mentre il secondo è aperto sia alle coppie omosessuali sia alle coppie eterosessuali.
L’iter di approvazione della legge è stato lungo e travagliato e si è concluso con il voto di fiducia, prima al Senato della Repubblica poi alla Camera dei Deputati, sull’emendamento proposto dal governo che ha integralmente sostituito la proposta originaria c.d. Cirinnà (ddl S.14, assorbito dal ddl S.2081). A seguito di tale modifica, è peraltro venuta meno la suddivisione in titoli ed articoli, ciascuno con la propria rubrica, presenti nell’iniziale disegno di legge, per cui il testo adottato consiste in un unico articolo, suddiviso in ben 69 commi di difficile lettura, soprattutto per l’incoerente uso della tecnica redazionale del rinvio.
Il presente contributo, dopo alcune considerazioni preliminari, si propone di offrire qualche spunto di riflessione sulle questioni di profili di diritto internazionale privato sollevate dalla legge con riguardo al primo dei due istituti previsti, ovvero le unioni civili, disciplinate nei commi 2°-35°.

An unlikely duo? Protezione degli investimenti esteri e tutela dell’ambiente negli accordi commerciali dell’UE post-Lisbona
Informato ai canoni del neo-liberalismo economico, il diritto internazionale degli investimenti ha tradizionalmente assunto come unico e totalizzante obiettivo la promozione e la protezione degli investimenti esteri (Spears, “The Quest for Policy Space in a New Generation of International Investment Agreements”, in Journal of International Economic Law, 2010, n. 13, p. 1037 ss., p.1041). Poca o nessuna attenzione, invece, gli accordi in materia di protezione degli investimenti hanno dedicato ad interessi non economici, inevitabilmente legati allo svolgimento di attività di natura economico-imprenditoriale, quali la protezione dell’ambiente e la promozione di una crescita economica sostenibile. L’ampia formulazione degli standard di trattamento dell’investitore e la tendenziale assenza di norme in grado di dirimere i frequenti conflitti fra siffatti interessi sono null’altro che il “precipitato tecnico” di un approccio monodimensionale alla regolamentazione degli investimenti esteri (Roberts, “Clash of Paradigms: Actors and Analogies shaping the Investment Treaty System”, in American Journal of International Law, 2013, n. 107, p. 45 ss., p. 76).