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diritto dell'Unione europea

1. Even if it has caused great displeasure to enthusiasts of the current mounting populism, it is now clear that the UK Parliament will play a crucial role in the so-called Brexit procedure. As it is already well known, the UK Supreme Court has confirmed that an act of British Parliament is required to authorise ministers to give notice of the decision of the country to withdraw from the European Union, pursuant to Article 50 (1) TEU (see, in this regard, UK Supreme Court, 24 January 2017, Judgment (on the application of Miller and another) (Respondents) v. Secretary of State for Exiting the European Union (Appellant)). At the time I write the bill to give such authorization has been passed in House of Commons and the final word of the House of Lords is expected at the beginning of March.

From the EU perspective, the recognition of the central role of the Parliament amounts to an increased possibility that, after giving notice of withdrawal, the UK may change its mind on Brexit. In the Miller case (quoted above) both the UK High Court in the first instance and the UK Supreme Court on appeal started from the premise – common to the applicant and the respondent – that the notification pursuant to paragraph 1 of Article 50 is irrevocable. However, on the one hand, the alleged irrevocability of the notification does not preclude any future “change of one’s mind” based on domestic law, and on the other, the only institution that may finally decide on this issue is the Court of Justice, and not national institutions. This is why I believe, following opinion already expressed (see, Miglio), that the Supreme Court should have referred the question of revocability of the notification to the Court of justice. Even if, as a matter of judicial policy and of political expediency, the reason why it did not is perfectly understandable.

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diritto internazionale pubblico

La Corea del Nord, dall’inizio del 2016, ha intensificato le sue attività in campo nucleare e spaziale: ha realizzato due nuovi test nucleari sotterranei (IV-V) e il lancio nello spazio di un nuovo satellite (Kwangmyongsong-4). La questione del programma nucleare del regime di Pyongyang è stata presa in considerazione da Marco Roscini, con un intervento dal titolo Il quarto test nucleare della Corea del Nord. L’attenzione del presente intervento si rivolge, invece, alle attività spaziali nordcoreane, partendo dalla considerazione che il lancio in orbita di un satellite avviene tramite vettori che utilizzano la tecnologia dei missili balistici. La prima ad utilizzare questa tecnologia è stata l’Unione Sovietica quando, il 4 ottobre 1957, con una versione modificata del missile balistico intercontinentale R-7 (ICBM), ha lanciato in orbita il primo satellite (Sputnik I), che ha segnato l’inizio dell’era spaziale. La tecnologia dei missili balistici è necessaria per accedere allo spazio, ma è dotata di potenziali applicazioni dual use che non hanno mancato di sollevare forti preoccupazioni. Infatti, il lancio del satellite effettuato della Corea del Nord è stato condannato dalla comunità internazionale, in particolare, da Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, come grave violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Analizziamo i vari aspetti della questione.

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diritto dell'Unione europea

Il 23 novembre 2016 (ma il deposito dell’ordinanza risale a pochi giorni fa) la Corte costituzionale ha deciso di rivolgere una domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea. Non è la prima volta; questa, però, è speciale. Chi conosce il caso – che è una prosecuzione del noto affaire Taricco, ma anche la stessa ordinanza di rimessione ha già ricevuto attenzione (v. qui, qui, qui e ancora qui, qui, qui e qui) – può saltare al capoverso successivo. Per gli altri, ecco un rapido riassunto. Tutto ha inizio con le scorrerie di «una banda nel campo del commercio di champagne» (la definizione è dell’AG Kokott) che, secondo gli inquirenti, realizza plusvalenze milionarie frodando il fisco, ai danni non solo della comunità nazionale ma anche di un più vasto ente, l’Unione europea. La banda dello champagne costituisce società di comodo per eludere l’IVA, tributo dalla cui riscossione l’Unione trae direttamente una parte importante delle proprie risorse finanziarie. Le attività illecite della banda – e di quante altre? molte, pare… – iniziano nel 2005, per puro caso l’anno in cui il Parlamento licenzia la legge detta “ex-Cirielli”, che, per i reati del tipo indicato, restringe il termine entro cui il differimento della prescrizione può spingersi, portandolo da metà a un quarto del termine ordinario. Nove anni dopo, sui membri della banda, non ancora rinviati a giudizio e pronti a brindare, si abbatte la scure della Corte di giustizia dell’Unione europea, chiamata in causa a titolo pregiudiziale dal Tribunale di Cuneo. Il giudice piemontese, non potendo incidere sulle cause strutturali di un esito cui non vuole rassegnarsi, fa quel che può: si accanisce contro il frammento di ex-Cirielli che è causa prossima dell’ingiustizia e ne denuncia numerosi profili di incompatibilità con il diritto dell’Unione, tutti abbastanza fantasiosi, in verità. L’AG Kokott cura un empatico restyling della domanda, riducendola in sostanza a un unico quesito: è la prescrizione breve compatibile con l’articolo 325 del TFUE, che obbliga gli Stati membri a combattere la frode e altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive e non meno incisive di quelle prese a tutela dei propri interessi finanziari contro illeciti analoghi? Per l’AG, assolutamente no. La Corte redige una motivazione più sfumata a sostegno della medesima conclusione (o almeno così sembra): il giudice a quo disapplichi la norma che limita il differimento della prescrizione. Il Tribunale di Cuneo prontamente esegue. Altri giudici italiani (tra cui la Corte di cassazione), invece, rifiutano di dar seguito a un’ingiunzione contraria al principio di legalità (art. 25, co. 2, Cost.), principio che la Corte costituzionale intende esteso a tutti gli aspetti della punibilità, termini di prescrizione inclusi. Contro il tentativo del giudice europeo di imporre un’applicazione retroattiva del diritto penale in malam partem, la Consulta è invitata, anche con una certa veemenza, a erigere i controlimiti. Con l’ordinanza n. 24, depositata in cancelleria il 26 gennaio 2017, il giudice costituzionale smorza i toni ma, con fermezza, chiede al giudice europeo: posso, giusto?

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diritto internazionale pubblico

La recente sentenza n. 275 del 2016 della Corte Costituzionale, che riconosce la prevalenza della tutela del diritto del disabile all’istruzione sul principio dell’equilibrio di bilancio, offre l’occasione per una riflessione sul trattamento riservato dai giudici italiani alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia il 15 maggio 2009 e introdotta, nel nostro ordinamento, con l. 3 marzo 2009, n. 18; d’ora in poi “la Convenzione”, sulla quale v. Seatzu). Nel caso di specie, la Corte era stata chiamata a valutare la costituzionalità dell’art. 6, co. 2-bis, l. reg. Abruzzo n. 78/1978, nella parte in cui condizionava alla presenza di disponibilità in bilancio l’erogazione del contributo regionale per il servizio trasporto degli studenti disabili. In particolare, il giudice rimettente (TAR Abruzzo) dubitava della compatibilità di tale previsione con il diritto fondamentale del disabile all’istruzione, garantito dall’art. 38 co. 3 e 4 Cost. e dall’art. 24 della Convenzione (in relazione a quest’ultimo, sia detto per inciso, il giudice a quo invocava erroneamente l’art. 10 invece dell’art. 117 Cost.). La risposta data dalla Corte, pur pienamente condivisibile nel merito (sul punto v. il post di Francesco Pallante), si segnala in negativo per il ruolo del tutto marginale cui è stata relegata la Convenzione. Dopo aver ricordato, in apertura di sentenza, che il diritto del disabile all’istruzione «è tutelato anche a livello internazionale dall’art. 24 della Convenzione» (par. 5), la Corte ha infatti deciso (e accolto) la questione di costituzionalità sulla sola base del parametro interno (par. 5-19). La censura riferita al parametro convenzionale è stata invece ritenuta assorbita (par. 20), con la conseguenza che il riferimento alla Convenzione ha assunto le forme di un mero (e del tutto privo di effetti) richiamo di stile.

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