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Inutiliter data? La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nella giurisprudenza italiana
La recente sentenza n. 275 del 2016 della Corte Costituzionale, che riconosce la prevalenza della tutela del diritto del disabile all’istruzione sul principio dell’equilibrio di bilancio, offre l’occasione per una riflessione sul trattamento riservato dai giudici italiani alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia il 15 maggio 2009 e introdotta, nel nostro ordinamento, con l. 3 marzo 2009, n. 18; d’ora in poi “la Convenzione”, sulla quale v. Seatzu). Nel caso di specie, la Corte era stata chiamata a valutare la costituzionalità dell’art. 6, co. 2-bis, l. reg. Abruzzo n. 78/1978, nella parte in cui condizionava alla presenza di disponibilità in bilancio l’erogazione del contributo regionale per il servizio trasporto degli studenti disabili. In particolare, il giudice rimettente (TAR Abruzzo) dubitava della compatibilità di tale previsione con il diritto fondamentale del disabile all’istruzione, garantito dall’art. 38 co. 3 e 4 Cost. e dall’art. 24 della Convenzione (in relazione a quest’ultimo, sia detto per inciso, il giudice a quo invocava erroneamente l’art. 10 invece dell’art. 117 Cost.). La risposta data dalla Corte, pur pienamente condivisibile nel merito (sul punto v. il post di Francesco Pallante), si segnala in negativo per il ruolo del tutto marginale cui è stata relegata la Convenzione. Dopo aver ricordato, in apertura di sentenza, che il diritto del disabile all’istruzione «è tutelato anche a livello internazionale dall’art. 24 della Convenzione» (par. 5), la Corte ha infatti deciso (e accolto) la questione di costituzionalità sulla sola base del parametro interno (par. 5-19). La censura riferita al parametro convenzionale è stata invece ritenuta assorbita (par. 20), con la conseguenza che il riferimento alla Convenzione ha assunto le forme di un mero (e del tutto privo di effetti) richiamo di stile.
Diritti e bilancio: quale equilibrio? Un commento alla sentenza 275/2016 della Corte costituzionale
1. Con la sentenza n. 275 del 2016 la Corte costituzionale torna a occuparsi del difficile rapporto tra attuazione dei diritti e vincoli di bilancio, una questione di attualità in diversi Paesi europei (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna). Prima di quest’ultima pronuncia, la Corte costituzionale si era già occupata di equilibrio di bilancio in almeno quattro importanti occasioni, sfociate nelle sentenze n. 264 del 2012, n. 10, n. 70 e n. 178 del 2015. Ad accomunare tali precedenti, la necessità di decidere se i sacrifici economici richiesti, in tempo di crisi, a determinate categorie di cittadini fossero o meno conformi a Costituzione. Nel primo e nel secondo caso l’equilibrio di bilancio è risultato prevalente, rispettivamente, sul diritto alla previdenza (art. 38 Cost.) e sul diritto del contribuente (art. 53 Cost.); nel terzo caso il diritto alla previdenza (art. 38 Cost.) è risultato prevalente sull’equilibrio di bilancio; nel quarto caso l’equilibrio di bilancio e il diritto di libertà sindacale (art. 39 Cost.) sono risultati prevalenti il primo per il passato, il secondo per il futuro.
Of courts, politics, and EU law: the UK Supreme Court’s failure to refer and its consequences
The much-awaited judgment of the UK Supreme Court in the Miller case has attracted mixed commentaries. Some have praised it as a well-balanced piece of judicial wisdom that upholds a fundamental constitutional principle and reinstates Parliament at the centre of the political debate (Peers, Solanke). Others have criticized it as a missed opportunity, especially for refusing the devolved assemblies a say in the Brexit process (Dawson). This post does not have the ambition to provide a comprehensive overview of the judgment, a task that others have already accomplished (Elliott, R. Craig, Davies), and that the author would be too ill-equipped to undertake. Its purpose is rather to propose some reflections on a point that should have caught the attention of the lawyer familiar with European Union law.
Criminalizzazione delle lotte per la legalità internazionale: il caso del movimento «Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni» (anche alla luce della recente risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza)
Nelle scorse settimane ha suscitato grande attenzione e dibattito l’approvazione, da parte del Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite, della risoluzione 2334 del 2016, che ha ribadito con nettezza l’illegalità internazionale degli insediamenti israeliani nel Territorio Palestinese occupato dal 1967, inclusa Gerusalemme Est. E’ passato quasi inosservato, invece, un importante appello sottoscritto, proprio alla vigilia del voto del CdS, da più di 200 giuristi e docenti di diritto internazionale contro i provvedimenti adottati da diversi Stati per sanzionare, ed in alcuni casi criminalizzare, il movimento “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” (BDS), da anni impegnato nel promuovere scelte di consumo critico dei cittadini e di non collaborazione economica di istituzioni nazionali e locali con aziende ed enti implicati nell’occupazione israeliana della Cisgiordania e nelle pratiche che violano i diritti umani dei Palestinesi.