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Dati personali e cybersicurezza: la decisione Breyer della Corte di giustizia
La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, resa il 19 ottobre 2016 (C- 582/14, Breyer), è particolarmente importante in quanto precisa le condizioni in base alle quali un indirizzo IP dinamico (sequenza numerica assegnata in maniera temporanea dai fornitori di accesso alla rete ai loro clienti), registrato da un fornitore di servizi di media on-line, è qualificato come dato personale ai sensi dell’art. 2 lettera a) dalla Direttiva 95/46 del 1995.
Si tratta della prima pronuncia della Corte UE in materia di protezione dei dati personali nei confronti di un fornitore di contenuti. L’approccio funzionale della Corte di giustizia è decisivo nel delineare, per via interpretativa, una nozione comunitaria di “dato personale” che vincola tutti gli Stati membri. Allo stesso tempo, la pronuncia della Corte offre una interpretazione dell’articolo 7, lettera f) della medesima direttiva, affermando che costituisce interesse legittimo di un fornitore di servizi di media on-line quello di tutelarsi da possibili attacchi cibernetici, e ribadisce il carattere non assoluto del diritto alla protezione dei dati personali.
Alea iacta est: il Tribunale condanna l’Unione europea a risarcire i danni causati dalla violazione del diritto alla durata ragionevole del processo
Con tre sentenze (asimmetricamente) gemelle, pronunciate in poco più di un mese, il Tribunale (il “Tribunale”) ha condannato l’Unione europea, rappresentata dalla Corte di giustizia dell’UE (in prosieguo, “CG” allorché si farà riferimento alla giurisdizione e “CGUE” allorché si farà riferimento all’istituzione), a risarcire i danni causati dall’eccessiva durata dei processi celebrati alcuni anni orsono dinanzi allo stesso Tribunale. L’UE, rectius la CGUE che risponde dell’illecito con i propri fondi, dovrà così sborsare complessivamente 807.827 euro (di cui 16.000 a titolo di danno morale) per risarcire i danni patiti da 5 società che avevano presentato ricorso dinanzi al Tribunale per l’annullamento della decisione della Commissione che aveva sanzionato l’intesa nel settore dei sacchi industriali di plastica.
DON’T ASK WHY: L’IMMIGRAZIONE NELL’ERA (CAOTICA) DI TRUMP
Quando il Presidente Trump ha emanato l’Executive Order n. 13769 sulla limitazione dei flussi migratori qualche commentatore ha immaginato si trattasse di una scelta poco meditata, da inquadrarsi nel caos politico dei primi giorni della nuova presidenza (v. Wallace-Well). Invece, l’Order che impedisce l’ingresso ai cittadini di sette paesi islamici per 90 giorni e blocca l’accoglienza dei rifugiati siriani a tempo indeterminato (mentre di 120 giorni è limite per i rifugiati in genere) esprime chiaramente la linea di fondo della politica immigratoria di Trump. Quest’ultima è peraltro confermata dall’emanazione, il 6 marzo scorso, di un nuovo Executive Order che prolunga la durata del primo immigration ban ed espunge l’Iraq dalla lista dei paesi i cui cittadini sono indesiderati, in ragione dell’asserito recente impegno iracheno nel contrastare l’immigrazione clandestina in uscita.
La primazia del primato sull’efficacia (diretta?) del diritto UE nella vicenda Taricco
1. In questo post (che sviluppa alcune osservazioni svolte qui) mi limiterò a ragionare su un profilo problematico della notissima vicenda Taricco (vedi qui per il testo della sentenza, del 2015, della Corte di giustizia): la (supposta) efficacia diretta dell’articolo 325 TFUE (per un commento ricostruttivo sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale vedi Gradoni, in questo blog; recentemente, sempre sull’ordinanza, per alcune osservazioni di stampo costituzionalistico vedi Faraguna, Pollicino e Bassini, Repetto e Tega; nella prospettiva penalistica Cupelli e Manes; dal punto di vista del diritto UE vedi Amalfitano).
A titolo preliminare, osservo che il tema del riconoscimento dell’efficacia diretta di una norma UE, visto in rapporto al principio del primato, pur rilevando, certamente, ai fini dei controlimiti, essendo il presupposto dell’obbligo di disapplicazione, solleva diverse criticità, anche a prescindere dall’invocazione, o meno, da parte della Corte costituzionale, della clausola sui principi costituzionali supremi. Peraltro, Taricco 2015 pone il serio dubbio – in linea con una certa lettura di parte della giurisprudenza pregressa della Corte di giustizia – che l’effetto diretto di una norma UE non sia per se precondizione per la disapplicazione della normativa nazionale (vedi infra, § 4).