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Il Consiglio europeo in tempo di crisi: dall’involuzione istituzionale all’unità nella frammentazione
1. Introduzione
Il 29 aprile il Consiglio europeo si è riunito per la prima volta ufficialmente nel formato “EU27”, per formulare gli orientamenti che stabiliscono i “principi e le posizioni generali” dell’Unione nei negoziati per il recesso del Regno Unito. Poche settimane prima, gli stessi ventisette Capi di Stato o di governo avevano celebrato i sessant’anni dalla firma dei Trattati istitutivi di CEE e CECA adottando, insieme ai Presidenti del Consiglio europeo, della Commissione e del Parlamento europeo, la c.d. dichiarazione di Roma. Tra i due eventi si snoda, idealmente, la storia recente del Consiglio europeo, dalla progressiva involuzione istituzionale in risposta alla “policrisi” dell’UE alla ritrovata unità nella frammentazione.
Ultra vires review e applicazione orizzontale del principio di non discriminazione sulla base dell’età: una riflessione (a freddo) su Dansk Industri
1. Con sentenza n. 15/2014, del 6 dicembre 2016, la Corte suprema danese ha rifiutato di dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia nella causa Dansk Industri (sentenza del 19 aprile 2016, C-441/14), ritenendola in contrasto con lo strumento di adesione della Danimarca all’Unione e con il riparto di competenze in esso cristallizzato.
Questa sentenza, che sino ad ora non è stata oggetto di particolari attenzioni da parte degli studiosi, se si eccettuano Gualco e Lourenço e di recente ancora Gualco, scrive un nuovo capitolo nel rapporto complesso fra la Corte di giustizia e i giudici titolari del controllo di costituzionalità degli Stati membri (nel caso di specie, infatti, la Corte suprema danese è anche titolare in ultima istanza del controllo di costituzionalità delle leggi, poiché il sistema danese è un sistema a controllo di costituzionalità diffuso). Se la Corte di giustizia, secondo l’articolo 263 TFUE, è la custode dell’interpretazione dei Trattati e della legislazione dell’Unione europea, i giudici costituzionali degli Stati membri sono invece competenti per la valutazione della conformità delle norme UE, e di quelle nazionali che ne danno attuazione, con le rispettive Costituzioni nazionali. Questa situazione ha generato occasioni di attrito fra le Corti, che a volte si sono concluse positivamente, come per la richiesta di rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale tedesca sul programma “OMT” annunciato dalla Banca centrale europea (sentenza del 16 giugno 2015, C-62/14, Gauweiler, a cui poi la Corte costituzionale tedesca si è conformata con sentenza del 21 giugno 2016, 2 BvR 2728/13; vedi il post di Pace in questo blog); altre volte esse si sono concluse negativamente, come nel caso delle sentenze della Corte costituzionale ungherese (sentenza del 17 maggio 2004, n. 17/2004) e della Corte costituzionale della Repubblica slovacca (sentenza del 18 ottobre 2005, Pl. ÚS 8/04), che hanno annullato la disciplina interna di recepimento di alcune norme di diritto dell’Unione (si trattava, rispettivamente, dell’annullamento per contrasto con il dettato costituzionale di una disciplina interna adottata in applicazione di un regolamento e in esecuzione di una direttiva). Dal controllo di costituzionalità discende poi la valutazione di conformità dei poteri esercitati dall’Unione europea con quelli che le sono stati attribuiti dagli Stati membri, secondo il principio dei poteri conferiti (ultra vires review). La Corte di giustizia non sfugge a questo scrutinio, ragione per la quale la Corte costituzionale della Repubblica ceca (sentenza del 31 ottobre 2010, Pl. ÚS 5/12) ha dichiarato ultra vires la sentenza Landtová (sentenza del 22 giugno 2011, C-399/09).
Visti umanitari: il caso X e X contro Belgio, C‑638/16 PPU
Introduzione
Il 7 marzo 2017, nel caso X e X contro Belgio, C-638/16 PPU, la Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata riguardo al rilascio di visti umanitari da parte degli Stati membri dell’Unione europea. Il caso aveva sollevato gli animi di quanti da tempo auspicano l’apertura di vie legali che permettano a coloro che sono in fuga da conflitti o persecuzioni di giungere in Europa in maniera sicura ed ordinata. Tale attesa era stata alimentata dalle conclusioni dell’Avvocato generale Mengozzi, il quale sosteneva la sussistenza in capo agli Stati membri di un obbligo di rilascio di visti per ragioni umanitarie qualora vi fossero fondati motivi per ritenere che un rifiuto mettesse in pericolo la vita e la sicurezza dei richiedenti. Tuttavia, le (più o meno) fiduciose aspettative di molti sono state disattese dalla Grande Sezione, che ha adottato un approccio conservatore, rimettendo la questione agli Stati membri.
In quanto segue, propongo alcune riflessioni a margine di questa pronuncia tanto attesa per il suo potenziale impatto, quanto, purtroppo, deludente nel suo esito effettivo.
Il labirinto delle linee rosse, ovvero: chi giudicherà la Brexit?
Mentre viene definendosi l’iter che dovrebbe portare, salvo sorprese, all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (UE), risulta sempre più evidente che una delle questioni principali sulla quale si concentreranno i negoziati sulla conclusione dell’Accordo di recesso sarà quella relativa all’individuazione della giurisdizione competente a risolvere le eventuali controversie tra le Parti contraenti sull’interpretazione ed applicazione dell’Accordo medesimo.
In effetti, si tratta di un aspetto non di poco conto se si considera che l’Accordo di recesso dovrebbe definire, tra l’altro, le modalità di adempimento, da parte del Regno Unito, degli obblighi finanziari che esso ha assunto durante la sua partecipazione all’Unione (si parla, al riguardo, di una exit bill che potrebbe sfiorare i 60 miliardi di euro), oltre che la gestione dei diritti acquisiti da singoli (in particolare dai cittadini europei) alla luce del diritto UE.