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La libertà di espressione presa sul serio. Casa Pound c. Facebook, atto I
Con una decisione di qualche giorno fa, il Tribunale di Roma ha ordinato a Facebook di riattivare le pagine della «Associazione di promozione sociale CasaPound Italia» e del suo amministratore, Davide Di Stefano, oscurate lo scorso settembre (per un commento a caldo, v. R. Bin su laCostituzione.info).
L’ordinanza, pronunciata in sede cautelare, avverso la quale è già stato annunciato reclamo da parte del social network, presenta molteplici profili di interesse, non solo per l’inquadramento del servizio prestato dalle piattaforme social, ma anche per le considerazioni relative ai discorsi d’odio (cd. hate speech) e al pluralismo politico.
Il giudice della cautela riconosce la natura contrattuale del rapporto che l’utente intrattiene con la piattaforma e dei relativi obblighi, risultanti dalle condizioni generali del contratto (c.d. condizioni di uso) che il primo si impegna a rispettare al momento della registrazione. Tra queste ultime, ricoprono una posizione peculiare i cd. Standard della Community, volti a limitare le opinioni inneggianti all’odio, e cioè, ai sensi dello Standard n. 13, i «discors[i] violent[i] o disumanizzant[i]», «dirett[i] alle persone sulla base di aspetti tutelati a norma di legge, quali razza, etnia, nazionalità di origine, religione, orientamento sessuale, casta, sesso, genere o identità di genere e disabilità o malattie gravi».
La libertà di espressione e le norme internazionali, ed europee, prese sul serio: sempre su CasaPound c. Facebook
1. Secondo Corrado Caruso, la decisione resa dal Tribunale civile di Roma (sezione specializzata per l’impresa) il 12 dicembre scorso, in sede cautelare, nella controversia fra Facebook e CasaPound sarebbe da considerarsi conforme all’assetto costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e dei suoi limiti. Ingiungendo a Facebook di riattivare il profilo dell’associazione (disattivato in settembre, perché ritenuto non conforme agli Standard del “social network”, concernenti organizzazioni che incitano all’odio), il giudice avrebbe correttamente dato attuazione al principio del pluralismo politico, ricavabile dall’articolo 21 della Costituzione. Quest’ultimo, infatti, al pari di tutti i principi costituzionali, non solo vincola organi pubblici, ma dispiega i suoi effetti anche nei confronti di privati (Drittwirkung), per di più quando si tratti di privati che forniscano un servizio di rilievo pubblico – qual è Facebook – ed indipendentemente dalla natura privatistica dei rapporti ai quali l’erogazione di tale servizio si ricollega. Non ricorrendo, inoltre, con riferimento a CasaPound e alle sue attività, né l’ipotesi della ricostituzione del disciolto partito fascista, né quella dell’apologia di fascismo, nessun altro limite potrebbe ritenersi derivante, in relazione alla libera esplicazione di queste attività dall’ordinamento italiano. In assenza di altri specifici divieti di natura penale, violati dall’associazione in questione, neppure la stessa, “generica” contrarietà alla Costituzione degli obbiettivi politici da essa perseguiti potrebbe considerarsi, infine, come un motivo legittimo di limitazione del fondamentale diritto a partecipare al dibattito politico, (anche) mediante l’accesso al servizio forniti da Facebook.
Qui di seguito vorremmo verificare se analoghe conclusioni siano effettivamente sostenibili, anche alla luce di una sintetica considerazione del quadro normativo internazionale ed europeo rilevante (2), nonché di un approfondimento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, concernente sia l’ipotesi dell’abuso di diritti previsti dalla Convenzione europea, che la libertà di espressione (3).
IL REGOLAMENTO (UE) 2019/1896 RELATIVO ALLA RIFORMA DI FRONTEX E DELLA GUARDIA DI FRONTIERA E COSTIERA EUROPEA: DA “FIRE BRIGADE” AD AMMINISTRAZIONE EUROPEA INTEGRATA?
Lo scorso 4 dicembre è entrato in vigore il regolamento (UE) 2019/1896 del 13 novembre 2019, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea. Il nuovo statuto dell’Agenzia della guardia di frontiera e costiera europea (Frontex) è frutto di un iter legislativo “lampo”, che prende le mosse dalla proposta della Commissione del 12 settembre 2018, elaborata a partire dalle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno 2018 (su cui v. Di Filippo, in questo blog). In quelle conclusioni si auspicava, tra l’altro, il rafforzamento del mandato e delle risorse dell’Agenzia, inteso ad assicurare un controllo efficace delle frontiere esterne e l’effettivo rimpatrio dei migranti irregolari, anche per mezzo dell’intensificazione della cooperazione con i paesi terzi.
REVOCA DELLE CONDIZIONI MATERIALI DI ACCOGLIENZA E MINORI RICHIEDENTI PROTEZIONE: L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA NEL CASO HAQBIN
Nella recente sentenza Haqbin, la Corte di giustizia (GS) si è pronunciata per la prima volta sulla portata dell’articolo 20(4) della Direttiva accoglienza, relativo al potere degli Stati membri di adottare sanzioni nei confronti di richiedenti protezione internazionale che si siano resi responsabili di “gravi violazioni delle regole del centro di accoglienza” presso cui si trovano.
Il rinvio pregiudiziale ha avuto origine da una controversia tra Zubair Haqbin, di cittadinanza afgana, richiedente protezione internazionale in Belgio in qualità di minore non accompagnato e la Fedasil, vale a dire l’agenzia federale belga per l’accoglienza dei richiedenti asilo. A seguito di reiterati comportamenti aggressivi e particolarmente violenti posti in essere da Haqbin nel centro di accoglienza in cui era stato collocato, le autorità belghe hanno adottato nei suoi confronti una sanzione disciplinare, implicante l’esclusione temporanea del minore dal centro di accoglienza e da tutti i servizi ad esso associati e la cessazione dell’assistenza medica, sociale e psicologica. Avverso tali provvedimenti, il tutore di Haqbin ha proposto ricorso al fine di ottenere la sospensione del provvedimento di esclusione e il risarcimento del danno subito, sostenendo che, durante il periodo di esclusione temporanea dal centro di accoglienza, la Fedasil avrebbe comunque dovuto assicurare accoglienza e garantire il rispetto della dignità umana del richiedente, costretto a trascorrere le notti in un parco o a trovare riparo presso conoscenti, fino al successivo inserimento in un altro centro di accoglienza. A fronte del respingimento delle istanze per assenza di estrema urgenza e per mancata evidenza del danno subìto, il tutore ha proposto appello e il giudice del rinvio ha sollevato dinnanzi alla Corte tre questioni pregiudiziali inerenti al problema della compatibilità dell’applicazione del regime di restrizione o revoca del beneficio delle condizioni materiali di accoglienza con la tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale, in considerazione soprattutto della condizione di particolare vulnerabilità del richiedente nel caso di specie, in quanto minore non accompagnato. Più in generale, il problema di fondo, che evoca peraltro, seppur in un diverso contesto, la giurisprudenza in tema di cause di revoca e diniego dello status di rifugiato (in proposito B.D., H.T., Lounani e, più recentemente, M.X.X.) risiede essenzialmente nella ricerca di un equilibrio delicato per comporre e contenere la tensione costante tra l’esigenza di assicurare il rispetto delle norme preordinate, nello Stato di accoglienza, a preservare sicurezza e ordine pubblico, esigenza peraltro intimamente connessa con la natura umanitaria e pacifica del concetto di asilo, e la necessità di garantire in ogni circostanza il rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione (UNHCR, Note on the Exclusion Clauses).