Incontro al limite
Questo è, grossomodo, il seguito de Il dialogo tra Corti, per finta. «CC» sta sempre per «Corte costituzionale», «CGUE» per «Corte di Giustizia dell’Unione europea». La prima battuta è tratta da Il mercante di Venezia (atto II, scena VII) ed è l’elogio («From the four corners of the earth they come, to kiss this shrine, this mortal-breathing saint») che la bella Porzia riceve da uno dei suoi pretendenti.
“Laws… of Humanity?”. Un resoconto (critico) del primo Gruppo di esperti sulle armi autonome
Tra il 13 e il 17 novembre u.s si è svolta a Ginevra, nel quadro della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione sulle armi convenzionali (d’ora in avanti CCW), la prima riunione del Gruppo di esperti governativi (GGE) sulle tecnologie emergenti nell’area dei sistemi d’arma autonomi letali (Lethal Autonomous Weapons Systems o, secondo l’acronimo inglese, LAWS). Presieduto dall’ambasciatore indiano Singh Gill (che ha pubblicato, a pochi giorni dall’inizio dei lavori, questo articolo), l’evento – che rappresenta lo sviluppo più recente di un dibattito iniziato, per il vero, nel 2013 in seno al Consiglio dei Diritti Umani, e approdato, nel 2014, alla Conferenza degli Stati parte alla CCW (nella cornice dei Meeting di Esperti del 2014, 2015 e 2016). In questa sede vorrei soffermarmi brevemente sui risultati (e i limiti) del dibattito maturato in seno al GGE.
The Right to Life in Armed Conflict: Reflections on the Human Rights Committee’s Draft General Comment 36
In August 2017, the United Nations Human Rights Committee (HRC) presented the revised text of Draft General Comment 36 on the right to life (Draft GC 36), which offers an in-depth reading of Article 6 of the International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR or the Covenant). In discussing the protection of the right to life in situations of armed conflict, the HRC considers the relationship between the Covenant and International Humanitarian Law (IHL) (see here for an earlier commentary). In this post, I will analyse the HRC’s general approach to the interplay between the ICCPR and IHL, and look at how this is applied to the regulation of the use of force in armed conflicts. In particular, I will comment on the HRC’s failure to distinguish between the paradigms of the conduct of hostilities and law enforcement, which risks to undermine the protection of the right to life provided by the Covenant.
Cala il sipario della Corte europea sulle violenze al G8 (ma non sulla tortura in Italia). Brevi spunti a margine dei casi Azzolina e Blair
Cala il sipario della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle violenze commesse in occasione del G8 di Genova del 2001. Con due sentenze “gemelle” nei casi Azzolina et. al. e Blair et al. del 26 ottobre 2017, la Corte di Strasburgo ha nuovamente condannato l’Italia per la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 CEDU, stavolta in relazione alle violenze perpetrate dalle forze di polizia all’interno della caserma di Bolzaneto.
Chiuso così il contenzioso europeo sulle violenze del G8, è ora possibile tracciare un bilancio complessivo della vicenda. Un bilancio non certo lusinghiero per lo Stato italiano, reduce da quattro pesantissime condanne (alle due pronunce che qui si annotano si aggiungono le sentenze Cestaro del 14 aprile 2015 e Bartesaghi Gallo et al. del 22 giugno 2017 relative ai fatti nella scuola “Diaz-Pertini”, nonché le due decisioni di radiazione dal ruolo per componimento amichevole nei casi Alfarano e Battista et al. del 14 marzo 2017), che hanno censurato il carattere drammaticamente deficitario del sistema sanzionatorio italiano (quantomeno quello dell’epoca), puntando apertamente il dito contro la colpevole inerzia del legislatore (per un commento alla sentenza Cestaro, si rinvia ad un nostro precedente post).
Su questo scenario desolante si innesta la recente novella legislativa che, colmando l’imbarazzante e prolungato vuoto normativo, ha finalmente dotato l’ordinamento penale di una nuova fattispecie incriminatrice, l’art. 613-bis c.p., tesa a sanzionare atti di tortura e trattamenti inumani e degradanti. Eppure, come si dirà, questo intervento non ci pare di per sé idoneo a mettere lo Stato italiano al riparo da nuove condanne per violazione dell’art. 3 CEDU.
IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA POLITICHE MIGRATORIE
Se un essere razionale di avanzata evoluzione (evidentemente un marziano), osservando le vicende di questo “atomo opaco del male”, avesse seguito negli ultimissimi tempi le cronache sui movimenti di persone nel Mediterraneo e le reazioni politiche e giuridiche ad esse, sicuramente ne sarebbe rimasto a dir poco esterrefatto. Difatti, è difficile trovare una successione di eventi così drammaticamente irrazionali – prima ancora, e oltre che, illeciti – quali quelli che si sono susseguiti a partire dall’adozione, il 13 maggio 2015, dell’Agenda europea per le migrazioni (su cui v. il post di Cherubini in questo blog). In essa, un po’ occultata da una paccottiglia di routinarie dichiarazioni di dolore per le tante vittime e di burocratiche preoccupazioni umanitarie per la sorte dei futuri soggetti in partenza – sotto il titolo Collaborare con i paesi terzi per affrontare a monte la questione della migrazione – si trova la misura centrale della gestione dei flussi da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri: la c.d. esternalizzazione delle frontiere (sulla quale v. Frelick, Kysel, Podkul ). Lanciata gloriosamente dal governo italiano con il Processo di Kartoum del novembre 2014 (per un commento v. qui il quale vedi qui); successivamente sviluppata dalla Commissione europea nella Comunicazione sulla creazione di un nuovo quadro di partenariato con i Paesi terzi nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione del 7 giugno 2016; sostenuta dal Summit UE/OUA, tenutosi alla Valletta nel novembre 2015 (anche con la creazione di uno strumento economico, il Fondo fiduciario per l’Africa); trionfalmente sbandierata nel Vertice di Parigi sulle migrazioni, l’esternalizzazione delle frontiere è ormai la pietra angolare delle politiche migratorie (anche se rischia di divenirne la pietra d’inciampo), ormai di gran lunga preferita rispetto a misure parimenti perspicue, anche se ancillari, proposte dall’Italia, quali il bombardamento dei barconi di migranti (per il quale si rinvia ad un nostro precedente post) o la chiusura dei porti alle imbarcazioni cariche di persone salvate da naufragi (su cui v. il post di De Sena e De Vittor).
La questione dell’Arcipelago Chagos all’esame della Corte Internazionale di Giustizia
Il 22 giugno 2017 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/RES/71/292 contenente la richiesta alla Corte internazionale di giustizia (CIG) di un parere concernente: a) la legittimità dell’avvenuto processo di decolonizzazione con il riconoscimento dell’indipendenza di Mauritius dal Regno Unito successivamente alla separazione dal territorio di Mauritius dell’Arcipelago delle isole Chagos e b) le conseguenze della perdurante amministrazione delle isole Chagos da parte britannica che impedisce a Mauritius il reinsediamento nell’Arcipelago dei suoi cittadini di origine chagossiana.
L’adozione del Trattato sul disarmo nucleare tra entusiasmo, perplessità e aperta opposizione
Il 7 luglio 2017, il Trattato sul divieto di armi nucleari è stato adottato al termine della seconda e conclusiva sessione della Conferenza diplomatica, con 122 voti a favore, un astenuto (Singapore) e un voto contrario, quello dei Paesi Bassi.
Alla Conferenza diplomatica, convocata dall’Assemblea generale con ris. 71/258, votata lo scorso dicembre, non hanno partecipato i nove Stati che ad oggi si ritiene posseggano armi atomiche: oltre ai cinque Stati militarmente nucleari secondo il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) del 1968 (USA, Russia, Regno Unito, Francia e Cina), Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Ad eccezione dell’Olanda, anche gli Stati appartenenti all’Alleanza atlantica hanno disertato il processo negoziale, compresa l’Italia: così, su un grande tema di politica estera, una volta ancora, i membri dell’Unione europea si sono presentati in ordine sparso, con Austria, Irlanda e Svezia al contrario decise sostenitrici dell’iniziativa.
Il requisito della cittadinanza italiana nell’accesso ai concorsi pubblici: brevi spunti di riforma alla luce della recente giurisprudenza
Il possesso della cittadinanza italiana quale requisito per la partecipazione ai concorsi pubblici è di recente assurto agli onori delle cronache grazie a due pronunce di merito di segno diametralmente opposto: da una parte, la Sezione seconda quater del TAR Lazio, con la sentenza del 17 gennaio 2017, n. 6171, ha disposto l’annullamento del bando e degli atti relativi alla selezione dei direttori di due istituti museali in quanto «non esclud[evano] la partecipazione di cittadini non italiani»; dall’altro, la Sezione lavoro del Tribunale di Firenze, con l’ordinanza del 27 maggio 2017, ha sospeso il concorso pubblico per assistente giudiziario «in modo da permettere ai cittadini comunitari» ed ai cittadini di Paesi terzi ad essi equiparati di partecipare, previa riapertura dei termini, alla procedura di selezione.
La “minaccia” nordcoreana e la risposta del Consiglio di sicurezza: impotenza o inefficacia?
Ancora una volta la Corea del Nord provoca la comunità internazionale il giorno della festa dell’indipendenza degli Stati Uniti: mentre il 4 luglio del 2006 il regime di Pyongyang effettuava il primo di cinque test nucleari condotti nell’arco di un solo decennio decade, esattamente undici anni più tardi ad allarmare è l’undicesimo lancio missilistico del 2017. Tra questi, in primis, i vicini Giappone e Corea del Sud oltre agli Stati Uniti, che, pur nelle diversità di orientamento politico e di metodo delle diverse amministrazioni che si sono succedute dal 2003 (anno di esercizio del diritto di recesso dal Trattato di non proliferazione nucleare da parte della Corea del Nord), hanno promosso e coordinato la maggior parte maggioranza delle iniziative internazionali tese a contenere i programmi di sviluppo nucleare e militare nordcoreani.
Preliminary Comments on the Google Case: Bridging the Transatlantic Digital Divide by Widening the Antitrust One.
On June 27 2017, the EU Commission issued the much-awaited press release and factsheet announcing it fined Google for abusing its dominant position on the market for online search engines. The decision has been adopted after a nearly decade-long procedure, investigating, inter alia, how search results are displayed by Google to its customers. This is the first pillar of the so-called Google saga, in the context of which the Commission sent to such US-based company other statements of objections (hereinafter, “SO”) involving also Android and AdSense.
The (alleged) violation of Article 102 TFEU occurred because Google has given to its own vertical search engine (i.e., Google Shopping) an illegal and anticompetitive advantage vis-à-vis its competitors on the separate but connected market of comparison shopping services, i.e. those online services used to filter and compare specific products (goods, hotels, restaurants, flights, etc.) based on parameters such as price, features, locations, reviews etc. To be sure, the case does not concern the so-called organic search results, let alone their manipulation, within the market for general online search engines, i.e. Google’s core business.