diritto internazionale pubblico

Grande il doppio della Francia e con riserve petrolifere superiori a quelle dell’Arabia Saudita, il Venezuela è oggetto da almeno un decennio di un processo di disgregazione sociale e di indebolimento istituzionale che colpisce per l’inesorabile lentezza e per l’apparente assenza di soluzioni. Per molti aspetti, la vicenda di questo – un tempo ricco – Paese di 32 milioni di abitanti integra perfettamente alcune delle acquisizioni teoriche della ormai abusata teoria della maledizione delle risorse. Un sistema economico indebolito dalla scarsa diversificazione e dalla progressiva perdita di rilevanza del settore manifatturiero, si espone agli shock derivanti dal cambiamento del prezzo della materia prima di riferimento. Il sistema politico si avvita allo stesso tempo verso forme di autocrazia che derivano anche dall’esposizione alle ingerenze esterne e dal rischio endemico del colpo di Stato. Le autorità di governo si proteggono dal rischio politico e « fisico » ipotecando la ricchezza del Paese, garantendosi la fedeltà di un esercito ricco di colonelli e generali e creando milizie paramilitari. Contestualmente, l’equilibrio dei poteri tra le istituzioni va in frantumi e la catena della legittimazione politica che dovrebbe legare governanti e governati s’indebolisce sempre più fino alla repressione del dissenso e ai tentativi di svolta autoritaria.

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La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea o Corte EDU) ha inaugurato la prassi di emanazione di pareri consultivi il 10 aprile 2019 (su richiesta n. P16-2018-001), su uno dei temi più problematici emersi negli ultimi anni in materia di rapporti di famiglia: quello dello status dei figli nati a seguito della gestazione per altri. Il parere è in grado di ravvivare l’ampio e acceso dibattito nell’opinione pubblica sul tema della maternità surrogata e presenta un rilievo particolare sotto il profilo del diritto internazionale privato, data l’assenza di un orientamento omogeneo delle legislazioni e delle giurisdizioni degli Stati parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

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Il regolamento n. 593/2008 (c.d. Roma I), che disciplina la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali nei processi celebrati dinnanzi ai giudici degli Stati dell’Unione europea, si fonda sul principio dell’autonomia delle parti. Quest’ultimo, secondo quanto affermato nel considerando 11 del regolamento stesso, è la «pietra angolare» del sistema europeo dei conflitti di leggi. Conferma di quanto appena detto è data dal fatto che il regolamento consente che due soggetti aventi la medesima nazionalità possano decidere che un contratto relativo a una situazione interamente interna a uno Stato sia disciplinato da un diritto straniero. Ciò perché, nel mondo degli scambi commerciali, sovente accade che un sistema giuridico sia percepito come particolarmente sviluppato nella regolamentazione di un dato tipo di rapporti (si pensi, ad es., al diritto inglese con riguardo alle materie della navigazione o dei mercati finanziari).

Ciononostante, il legislatore europeo ha comunque voluto astrattamente scongiurare il rischio che la scelta di un diritto straniero in situazioni puramente interne possa avvenire al solo scopo di eludere l’applicazione di alcune norme inderogabili dell’ordinamento giuridico che sarebbero state altrimenti applicabili al caso di specie. Con una disposizione di carattere generale, dunque, l’art. 3, par. 3, del regolamento Roma I introduce una limitazione al principio di autonomia delle parti, sancendo che «[q]ualora tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si opera la scelta, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la scelta effettuata dalle parti fa salva l’applicazione delle disposizioni alle quali la legge di tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente».

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diritto internazionale pubblico

Dal 1° agosto 2018 è in vigore – per gli Stati che lo hanno ratificato – il Protocollo n. 16 allegato alla CEDU, il quale consente alle più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente di richiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli. Il Protocollo n. 16 ha introdotto una significativa innovazione nel c.d. sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali, considerando anche il rango della CEDU negli ordinamenti nazionali ed il ruolo talvolta ambiguo della Corte EDU, a metà tra quello di un giudice del caso concreto e quello di una corte quasi costituzionale (per un’analisi delle caratteristiche del nuovo strumento si vedano per tutti i contributi nel volume di Lamarque; v.  anche Anrò).

Per una singolare coincidenza, la Francia è stata sia l’ultimo Paese a ratificare il Protocollo n. 16 (fino ad oggi), consentendone l’entrata in vigore, sia il primo le cui autorità hanno richiesto un parere ex Protocollo n. 16 attraverso una pronuncia del 5 ottobre 2018 dell’assemblea plenaria della Corte di cassazione francese iscritta nel registro della Corte il successivo 16 ottobre. La richiesta è stata giudicata ricevibile il 3 dicembre 2018 ed il giorno successivo la questione è stata assegnata alla Grande Camera.

A pochi mesi dall’arrêt francese, la Corte ha reso il primo parere ex Protocollo n. 16 lo scorso 10 aprile. Tale pronuncia, oltre ad essere di grande rilevanza per il delicato tema su cui verte, ovvero la maternità surrogata, è di grande interesse perché contribuisce a chiarire le caratteristiche del nuovo strumento.

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1. Non si può dire che la disciplina dell’ingresso, soggiorno e allontanamento dello straniero rispetto al territorio italiano non sia bisognosa di urgente riordino: frutto della stratificazione alluvionale di normative dettate da ragioni occasionali, spesso solo propagandistiche; ulteriormente confusa dall’adozione di atti di adattamento a direttive europee inserite come corpi estranei in un sistema con esse non coordinato, tale materia appare oggi come un groviglio di norme disordinato e spesso incoerente. Si potrebbe pertanto comprendere la fretta di intervenire da parte dell’attuale governo, a costo di forzare un po’ i presupposti del ricorso allo strumento del decreto legge (suscitando i rilievi critici dei costituzionalisti per i quali v. qui). Appare tuttavia assolutamente inadeguata, e anzi controproducente, la tecnica legislativa adottata e del tutto illusoria la ratioche la supporta.

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diritto internazionale pubblico

Il Governo italiano è obbligato a rendere pubblico l’accordo di cooperazione sottoscritto con il Niger nel settembre 2017 (v. qui e qui) che non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e nemmeno reso disponibile nell’Archivio dei Trattati Internazionali Online (ATRIO) del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Così ha deciso il TAR del Lazio accogliendo il ricorso di alcuni avvocati dell’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione (ASGI) avverso un diniego opposto dal MAECI.

La sentenza pronunciata dalla Terza Sezione del TAR è importante per varie ragioni. In primo luogo, sancisce un obbligo generale a carico del Governo di rendere pubblico il testo di accordi internazionali che non siano espressamente coperti da segreto di Stato, sia quando questi siano conclusi in forma semplificata, sia quando questi siano applicati in pendenza dell’iter di autorizzazione alla ratifica. L’affermazione di tale obbligo giunge in un periodo storico in cui il Governo italiano conclude diversi accordi di cooperazione con gli Stati di provenienza e di transito dei migranti, finalizzati alla gestione dei flussi migratori, seguendo procedure semplificate di conclusione, che non prevedono autorizzazione parlamentare, e, in taluni casi, omettendo di pubblicarne i relativi testi.

L’accordo col Niger – e la sua applicazione – rappresentano per un verso un caso del tutto peculiare e, per un altro, sono sintomatici di alcune tendenze problematiche che verranno esposte per sommi capi in questo post, anche con riferimento, nel finale, alla recente posizione del Governo italiano sul Global Compact sulle migrazioni.

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diritto dell'Unione europea

Nell’ultimo anno, si sono registrate, da parte delle istituzioni dell’Unione europea (UE), due iniziative rilevanti quanto alla tutela dello Stato di diritto quale valore fondante dell’UE. Il 20 dicembre 2017, la Commissione europea ha attivato la procedura prevista dall’art. 7, par. 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE) in relazione ai provvedimenti assunti dal governo e dalla maggioranza parlamentare polacchi, lesivi dell’indipendenza del potere giudiziario (sul punto, v. Kochenov et al. e, in generale, sulla situazione in Polonia, Sadurski e von Bogdandy et al.). Il 12 settembre 2018, il Parlamento europeo ha deciso di fare altrettanto con riferimento all’Ungheria a causa di una serie di problemi inerenti – inter alia – al funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale, all’indipendenza della magistratura, alla protezione dei dati personali, alla libertà accademica e di religione, alla tutela dei diritti delle minoranze e dei migranti (al riguardo, v. Bachmann e, per un’introduzione alla situazione dell’Ungheria, Halmai e Sonnevend) Tali scelte, ancorché lodevoli sul piano politico, pongono dei problemi quanto alla loro tempestività – almeno per quel che riguarda l’Ungheria, ove gli inizi della crisi dello Stato di diritto possono essere fatti risalire al 2010 – e alla loro efficacia, data la difficoltà di arrivare a sanzionare effettivamente i due Stati membri per le violazioni del sistema valoriale dell’Unione.

Scopo del presente contributo è individuare e valutare i meccanismi di risposta ai quali potrebbe farsi ricorso nell’ambito dell’UE al fine di assicurare la tutela dello Stato di diritto e, in generale, dei valori su cui si fonda l’UE. Partendo dall’art. 7 TUE, la riflessione intende allargarsi ad altre figure, identificandone i punti di forza e di debolezza. Nelle conclusioni, si sosterrà la tesi che nessuno degli strumenti individuati risulta, da solo, idoneo a proteggere adeguatamente l’assetto assiologico dell’Unione e che, tuttavia, una combinazione degli stessi potrebbe portare a dei risultati convincenti.

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Il 9 luglio 2018, il Tribunal Supremo spagnolo ha accolto parzialmente il ricorso contenzioso-amministrativo presentato da l’Asociació de suport a Stop Mare Mortum. La sentenza dichiara che il Governo spagnolo ha parzialmente inadempiuto ai suoi obblighi di ricollocazione e lo ha condannato a portare a termine i procedimenti finalizzati al ricollocamento dei richiedenti protezione internazionale fino al raggiungimento della quota assegnatagli.

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diritto internazionale pubblico

A recent post on this blog has highlighted a certain trend among European states towards an opening of their courts to foreign direct liability cases. Meanwhile, the US Supreme Court has just struck another blow against transnational human rights litigation against corporations.

On 24 April 2018, the United States Supreme Court rendered its long-awaited judgment in Jesner et al v. Arab Bank PLC (Jesner, 584 U.S.).

The claim adds to the extensive list of lawsuits filed under the Alien Tort Statute (ATS), an 18th-century statute which grants US courts jurisdiction over “any civil action by an alien for a tort only, committed in violation of the law of nations or a treaty of the United States.” (28 U.S.C. para 1350).

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