TUTELA DELLA SICUREZZA O VIOLAZIONE DEL DIRITTO DEL MARE?
Il giorno 14 giugno 2019 il governo italiano ha adottato il “Decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”. Il testo solleva vari problemi, già affrontati da post su questo e su altri blog, ma tra di essi è sicuramente di rilievo la questione della liceità delle misure nei confronti di navi che intendano entrare nel mare territoriale italiano, anche alla luce delle vicende di questi giorni, che coinvolgono la nave Sea Watch 3.
Verso il superamento dell’ergastolo ostativo: gli effetti della sentenza Viola c. Italia sulla disciplina delle preclusioni in materia di benefici penitenziari
L’affermazione delle garanzie individuali nel sistema penale è sempre l’effetto di un processo che si sviluppa per gradi, complice la diversa sensibilità nella interpretazione delle norme di fonte legislativa, il loro contestualizzarsi rispetto ai mutamenti sociali e culturali, la valorizzazione delle garanzie costituzionali e sovranazionali, il diverso apprezzamento nel contemperamento degli interessi in campo. Il sistema sanzionatorio penale costituisce un osservatorio privilegiato per apprezzare questo processo di sviluppo: è sufficiente mettere a confronto le posizioni assunte dalla Corte costituzionale all’inizio del suo operare e quelle assunte di recente sulla disciplina delle pene per comprendere quanto profonda sia la distanza nella sensibilità culturale e giuridica che è alla base delle pronunce (si pensi, tanto per richiamare due pronunce citate dalla Corte EDU nella sentenza qui oggetto di riflessione, alle sent. n. 12/1966 e 149/2018). Ci sono, però, anche momenti che, pur preparati dalla evoluzione pregressa nella interpretazione delle norme, costituiscono momenti di cesura, capaci di segnare svolte importanti nelle scelte di politica sanzionatoria. A questi momenti appartiene la sentenza della Corte europea nel caso Viola c. Italia del 13 giugno scorso, nella quale i giudici della I Sezione dichiarano che sussiste la violazione dell’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani e degradanti) nella disciplina del combinato disposto degli artt. 4-bis e 58-ter ord. penit., nella parte in cui subordina la concessione della liberazione condizionale, ai condannati alla pena dell’ergastolo per uno dei delitti di cui al comma 1 dell’art. 4-bis cit., alla collaborazione con l’autorità giudiziaria (per un primo commento della sentenza si veda Mauri su questo blog).
NESSUNA SPERANZA SENZA COLLABORAZIONE PER I CONDANNATI ALL’ERGASTOLO OSTATIVO? UN PRIMO COMMENTO A VIOLA c. ITALIA
Diego Mauri, Università degli Studi di Firenze Lo scorso 13 giugno 2019, la Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in avanti: Corte EDU) ha reso la propria decisione nel caso Viola c. Italia (ricorso n. 77633/16), con una sentenza che molti attendevano e in quale avevano riposto – non ingiustamente,
Ritorno di Anzilotti
Il testo qui riprodotto è stato letto a Roma il 4 giugno 2019, nella sede del CNR, durante la tavola rotonda dal titolo «Gli effetti delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sul giudicato nazionale», organizzata dai gruppi di interesse DIEDI e DIEDU in occasione del XXIV Convegno nazionale della Società italiana di Diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea (SIDI). Micaela Frulli ha interpretato Dionisio Anzilotti donando al testo una vivacità che non avrei saputo nemmeno immaginare. È stato un piacere farle da spalla. Le sue battute sono in tondo, le mie in corsivo. Ho udito che della performance esiste più di un bootleg. Il testo è qui corredato da una nota metodologica e bibliografica.
Buon pomeriggio a tutti. Il XXIV Convegno nazionale della SIDI si celebra nel segno di Dionisio Anzilotti, Maestro venerato da tutti gli internazionalisti, italiani e non, «mostro sacro del diritto internazionale», così lo definì Roberto Ago. Non solo il titolo del convegno riprende quello della monografia anzilottiana del 1905; la presentazione dell’evento – che cita l’esordio di quel libro vecchio più d’un secolo, dove un Anzilotti trentottenne si spaurava davanti alla «nebulosità e incertezza che ancora avvolgono le premesse sistematiche e le stesse basi del diritto internazionale» – fa pensare, rileggetela, a un’invocazione di quello Spirito Magno: «Torna, o Dionisio, perché più d’un secolo dopo la situazione, in fondo, non è cambiata».
Maestro, grazie di aver risposto all’invocazione della SIDI.
Ci mancherebbe, anzi grazie a voi, ché le vostre preci devono aver dischiuso un passaggio tra il mondo sublunare e quello mio. Sa, le due sfere, quella di questo e quella dell’altro mondo (indica il cielo), son nettamente separate, sì che in verun caso si sovrappongono.
Organizzazioni internazionali e immunità ristretta per relationem secondo una recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti
Il tema dell’immunità giurisdizionale delle organizzazioni internazionali torna centrale in una recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America sul caso Jam et al. v. International Finance Corporation (per ulteriori commenti v. qui e qui). La Corte, con la sola eccezione del dissenting J. Breyer, ha stabilito che, nell’ordinamento giuridico statunitense, alle organizzazioni internazionali deve essere riconosciuta un’immunità dalla giurisdizione interna corrispondente a quella goduta dagli Stati, in forza del rinvio operato dall’International Organizations Immunities Act (IOIA) alle condizioni di trattamento già in vigore nei confronti dei Governi stranieri: la legge, approvata nel 1945, prevede, infatti, che le organizzazioni godano della «same immunity from suit and every form of judicial process as is enjoyed by foreign governments» (22 U.S.C., par. 288a(b)). Con la conseguenza che, essendo ormai pacificamente accolta nella legislazione statunitense di cui al Foreign Sovereign Immunities Act ( FSIA), la regola della cd. immunità ristretta, il rinvio anzidetto impone di ritenere applicabile la medesima regola anche nei confronti delle organizzazioni internazionali.
Il caso deciso dalla Suprema Corte coinvolge la International Finance Corporation (IFC), un’organizzazione internazionale appartenente al World Bank Group con sede a Washington, che finanzia iniziative private nelle aree meno sviluppate dei Paesi membri. La IFC era stata citata in giudizio da un gruppo di pescatori, agricoltori e abitanti di un villaggio del Gujarat, in India, per il risarcimento dei danni ambientali causati da una centrale elettrica realizzata grazie ai contributi dell’organizzazione. I ricorrenti avevano contestato all’IFC la mancata vigilanza sul rispetto dei Performance Standards on Environmental and Social Sustainability, un corpus di regole più rigorose di quelle stabilite della legislazione locale, imposte in via contrattuale ai destinatari del finanziamento e soggette a un meccanismo di valutazione interno alla stessa organizzazione.
“IMPERATIVITÀ” DELLA NORMA DI CONFLITTO UE E PRINCIPIO DISPOSITIVO NEL PROCESSO CIVILE ITALIANO
Le norme sui conflitti di leggi adottate dall’UE sulla base dell’art. 81, par. 2, lett. c, Tratt. FUE mirano fondamentalmente a far sì che un rapporto giuridico sia disciplinato dalla medesima legge quale che sia lo Stato membro dal cui punto di vista esso viene osservato. Tale obiettivo rischia di non essere soddisfatto allorché le norme in questione ricevano negli Stati membri un’applicazione non uniforme. Accresce questo rischio il fatto che le norme di conflitto, quando sono evocate nel quadro di un processo, possono subire l’influenza delle regole processuali del foro: regole di fonte interna, che variano talora in modo molto marcato da uno Stato membro a un altro.
Sul riconoscimento di governo nella crisi venezuelana: la trasformazione alchemica è completa?
Grande il doppio della Francia e con riserve petrolifere superiori a quelle dell’Arabia Saudita, il Venezuela è oggetto da almeno un decennio di un processo di disgregazione sociale e di indebolimento istituzionale che colpisce per l’inesorabile lentezza e per l’apparente assenza di soluzioni. Per molti aspetti, la vicenda di questo – un tempo ricco – Paese di 32 milioni di abitanti integra perfettamente alcune delle acquisizioni teoriche della ormai abusata teoria della maledizione delle risorse. Un sistema economico indebolito dalla scarsa diversificazione e dalla progressiva perdita di rilevanza del settore manifatturiero, si espone agli shock derivanti dal cambiamento del prezzo della materia prima di riferimento. Il sistema politico si avvita allo stesso tempo verso forme di autocrazia che derivano anche dall’esposizione alle ingerenze esterne e dal rischio endemico del colpo di Stato. Le autorità di governo si proteggono dal rischio politico e « fisico » ipotecando la ricchezza del Paese, garantendosi la fedeltà di un esercito ricco di colonelli e generali e creando milizie paramilitari. Contestualmente, l’equilibrio dei poteri tra le istituzioni va in frantumi e la catena della legittimazione politica che dovrebbe legare governanti e governati s’indebolisce sempre più fino alla repressione del dissenso e ai tentativi di svolta autoritaria.
Il riconoscimento della genitorialità a favore del genitore non biologico nel parere della Corte europea dei diritti dell’uomo del 10 aprile 2019
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea o Corte EDU) ha inaugurato la prassi di emanazione di pareri consultivi il 10 aprile 2019 (su richiesta n. P16-2018-001), su uno dei temi più problematici emersi negli ultimi anni in materia di rapporti di famiglia: quello dello status dei figli nati a seguito della gestazione per altri. Il parere è in grado di ravvivare l’ampio e acceso dibattito nell’opinione pubblica sul tema della maternità surrogata e presenta un rilievo particolare sotto il profilo del diritto internazionale privato, data l’assenza di un orientamento omogeneo delle legislazioni e delle giurisdizioni degli Stati parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
Lo sfuggente articolo 3, paragrafo 3, del regolamento Roma I: tra autonomia delle parti e salvaguardia degli interessi statali
Il regolamento n. 593/2008 (c.d. Roma I), che disciplina la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali nei processi celebrati dinnanzi ai giudici degli Stati dell’Unione europea, si fonda sul principio dell’autonomia delle parti. Quest’ultimo, secondo quanto affermato nel considerando 11 del regolamento stesso, è la «pietra angolare» del sistema europeo dei conflitti di leggi. Conferma di quanto appena detto è data dal fatto che il regolamento consente che due soggetti aventi la medesima nazionalità possano decidere che un contratto relativo a una situazione interamente interna a uno Stato sia disciplinato da un diritto straniero. Ciò perché, nel mondo degli scambi commerciali, sovente accade che un sistema giuridico sia percepito come particolarmente sviluppato nella regolamentazione di un dato tipo di rapporti (si pensi, ad es., al diritto inglese con riguardo alle materie della navigazione o dei mercati finanziari).
Ciononostante, il legislatore europeo ha comunque voluto astrattamente scongiurare il rischio che la scelta di un diritto straniero in situazioni puramente interne possa avvenire al solo scopo di eludere l’applicazione di alcune norme inderogabili dell’ordinamento giuridico che sarebbero state altrimenti applicabili al caso di specie. Con una disposizione di carattere generale, dunque, l’art. 3, par. 3, del regolamento Roma I introduce una limitazione al principio di autonomia delle parti, sancendo che «[q]ualora tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione siano ubicati, nel momento in cui si opera la scelta, in un paese diverso da quello la cui legge è stata scelta, la scelta effettuata dalle parti fa salva l’applicazione delle disposizioni alle quali la legge di tale diverso paese non permette di derogare convenzionalmente».
Il primo parere reso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi del Protocollo n. 16 alla CEDU: il nuovo strumento alla prova del dialogo tra giudici sul delicato tema della maternità surrogata
Dal 1° agosto 2018 è in vigore – per gli Stati che lo hanno ratificato – il Protocollo n. 16 allegato alla CEDU, il quale consente alle più alte giurisdizioni di un’Alta Parte contraente di richiedere alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli. Il Protocollo n. 16 ha introdotto una significativa innovazione nel c.d. sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali, considerando anche il rango della CEDU negli ordinamenti nazionali ed il ruolo talvolta ambiguo della Corte EDU, a metà tra quello di un giudice del caso concreto e quello di una corte quasi costituzionale (per un’analisi delle caratteristiche del nuovo strumento si vedano per tutti i contributi nel volume di Lamarque; v. anche Anrò).
Per una singolare coincidenza, la Francia è stata sia l’ultimo Paese a ratificare il Protocollo n. 16 (fino ad oggi), consentendone l’entrata in vigore, sia il primo le cui autorità hanno richiesto un parere ex Protocollo n. 16 attraverso una pronuncia del 5 ottobre 2018 dell’assemblea plenaria della Corte di cassazione francese iscritta nel registro della Corte il successivo 16 ottobre. La richiesta è stata giudicata ricevibile il 3 dicembre 2018 ed il giorno successivo la questione è stata assegnata alla Grande Camera.
A pochi mesi dall’arrêt francese, la Corte ha reso il primo parere ex Protocollo n. 16 lo scorso 10 aprile. Tale pronuncia, oltre ad essere di grande rilevanza per il delicato tema su cui verte, ovvero la maternità surrogata, è di grande interesse perché contribuisce a chiarire le caratteristiche del nuovo strumento.