
Vaccine trade wars and composite procedures: gibt es noch Richter in Berlin?
On 4 March 2021, Italy decided to block a shipment of the Oxford/AstraZeneca Covid-19 vaccine that was destined for Australia. This remarkable move, notably made in response to AstraZeneca’s delay in providing the agreed doses of vaccines by the set deadlines, is the first of its kind since the Union introduced rules concerning the possibilities to limit exports of vaccines outside of the EU. Under the EU’s export scheme currently in place, companies are required to receive an explicit export authorization from national authorities where their Covid-19 jabs are produced before exporting them out of the EU. In turn, before adopting a decision on the matter, national authorities are obliged to send the draft measure to the European Commission, which may overturn the authorities’ decision.

Bisogna davvero essere pazienti con il diritto internazionale? Considerazioni attorno a «Broken – A Palestinian Journey through international law»
Marco Pertile (Università di Trento) Questo pezzo è la versione approfondita e rivista di un intervento che ho fatto il 30 novembre 2020 in occasione dell’incontro inaugurale del Gruppo di interesse «Cinema e diritto internazionale» della Società italiana di Diritto internazionale e di Diritto dell’Unione europea. La versione qui pubblicata

Cineforum non conveniens: quale diritto internazionale cercare nel cinema e quale no
Lorenzo Gradoni, Max Planck Institute Luxembourg for Procedural Law Ho letto questo testo il 30 novembre 2020 in occasione dell’incontro inaugurale del gruppo di interesse «Cinema e diritto internazionale» della Società italiana di Diritto internazionale e di Diritto dell’Unione europea. La versione qui pubblicata ripristina alcuni brani tagliati, conserva nei

Bosnia-Erzegovina, diritti di partecipazione politica e CEDU: nulla di nuovo sotto il cielo. Osservazioni sulla sentenza Pudarić della Corte europea dei diritti dell’uomo
La sentenza emanata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione) l’8 dicembre 2020 nel caso Pudarić v. Bosnia and Herzegovina (ric. 55799/18) conferma come, a 25 anni dai c.d. Accordi di Dayton (General Framework Agreement for Peace in Bosnia and Herzegovina), la situazione in questo Stato balcanico rimanga sostanzialmente improntata al mantenimento dello status quo basato sull’equilibrio etnico. Nonostante l’art. II della Costituzione bosniaca, che è uno degli allegati agli Accordi di Dayton, stabilisca la prevalenza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sul diritto interno, su una questione dirimente come la rappresentanza politica senza discriminazioni su base etnica, la Convenzione rimane inattuata. La sentenza Pudarić, infatti, è la quinta pronuncia della Corte di Strasburgo che condanna la Bosnia-Erzegovina per questo motivo.

Sezioni Unite, sentenza n. 20442 del 2020: il «contrappunto fugato» della sent. 238/2014 Corte cost.
Chiara Venturini (Università di Roma “Tor Vergata”) In data 7 luglio 2020 la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 20442 (depositata il 28 settembre 2020), sembrerebbe aver aggiunto una nuova voce al cantus firmus giurisprudenziale che non riconosce l’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione dello Stato del foro per

Sull’attualità e l’importanza degli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984
Le brutali violenze e gli abusi perpetrati in Egitto, in passato (caso Regeni), e più di recente (caso Zhaki), nonché il rischio che simili atti si ripetano in futuro, ci inducono a porre l’accento sugli strumenti normativi di cui la comunità internazionale si è dotata, per prevenire e reprimere atti di tortura. Si tratta di norme di diritto internazionale, poste a tutela di interessi collettivi, ritenuti di primaria importanza. Di particolare rilievo è la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New Tork il 10 dicembre 1984, di cui sono parti contraenti, ad oggi, 171 Stati, inclusi l’Italia e l’Egitto.

L’efficacia del Joint Procurement Agreement dell’UE nell’emergenza COVID 19 e la sua compatibilità con il diritto OMC
A partire dallo scoppio dell’emergenza COVID 19, la Commissione europea ha posto in campo una serie di iniziative di supporto agli Stati per acquisire l’ammontare necessario di farmaci e dispositivi di protezione a prezzi accessibili, non rinunciando al controllo sulla qualità e sulla sicurezza di tali prodotti. In questa prospettiva, la Commissione sta facendo sempre più di frequente ricorso alle procedure di appalto congiunto, in particolare a quelle previste dall’Accordo di aggiudicazione congiunta per le contromisure mediche (Joint Procurement Agreement to procure medical countermeasures/JPA), approvato con Decisione della Commissione del 2014, dalla «riserva RescEU» (F. Casolari, 2020; G. Bartolini, 2020) e dallo «strumento per il sostegno di emergenza» (Regolamento del Consiglio 2016/369; Regolamento del Consiglio 2020/521).

Search and Rescue Operations under the New Pact on Asylum and Migration
A number of measures concerning search and rescue (SAR) operations and disembarkations following those operations have been incorporated in the “new pact on asylum and migration” (hereafter pact) adopted by the European Commission on 23 September 2020. This has not happened by chance: as is well known, SAR operations in the Mediterranean Sea have been a key theme and a reason of legal and political disputes between EU Member States and the EU Institutions in recent years. Mediterranean coastal States have demanded solidarity, both in carrying out SAR operations and in relocating rescued people.

A margine dei recenti atti di riconoscimento di Israele: spunti di riflessione sulla responsabilità internazionale per violazione dell’obbligo di non riconoscimento e sulla sua giustiziabilità
Agnese Vitale (Università di Firenze) Con l’annuncio da parte degli Emirati Arabi Uniti (EAU) e poi del Bahrain di voler ristabilire normali relazioni diplomatiche con Israele, sale a quattro il numero di paesi arabi ad aver riconosciuto lo Stato ebraico (Egitto nel 1979, Giordania nel 1994), e altri paesi arabi

The future of data transfer rules in the aftermath of Schrems II
On 16th July 2020, in its landmark judgment in Data Protection Commissioner v Facebook Ireland Limited, Maximillian Schrems (Case C- 311/18, Schrems II), the European Court of Justice (“ECJ”) invalidated the Commission Implementing Decision (EU) 2016/1250 on the adequacy of the protection provided by the EU-US Privacy Shield (“the Privacy Shield Decision”). As a result, thousands of companies can no longer rely on the Privacy Shield Decision as a legal basis for transferring personal data from the EU to the US. In its judgment, the ECJ also affirmed the validity of Standard Contractual Clauses (“SCCs”) as a data transfer mechanism for international data transfers, but with a few conditions: companies are required to assess the data importer’s ability to comply with the contractual arrangements embedded in SCCs and adduce «additional safeguards» where appropriate. The implications of the case are much wider than just the invalidation of the Privacy Shield Decision. The judgment has important implications on the other tools that compose the data transfer toolbox offered by the GDPR and has raised uncertainties on the future of international data transfer more broadly.