diritto internazionale pubblico
Practical Remarks on the Assessment of COVID-19 as Force Majeure in International Contracts
The COVID-19 pandemic and the resulting governmental lockdowns have made performances in international contracts extremely difficult if not virtually impossible. While international contracts normally address the consequences of infectious diseases and the related public health measures in appropriate force majeure clauses, such clauses are often hard to implement as they present high levels of language complexity and technicality, while at the same time tending to replicate the typical inaccuracies and inconsistencies of the boilerplate
L’IMPATTO DELLA PANDEMIA DA COVID-19 SULLE DONNE: CONSIDERAZIONI SUL POLICY BRIEF DEL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU DEL 9 APRILE 2020
Il 9 aprile 2020, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha presentato un policy brief relativo all’impatto del COVID-19 sulle donne. Nel documento sono individuati cinque diversi ambiti in cui la pandemia produrrà un impatto specifico sulle donne, aggravando disuguaglianze di genere preesistenti e generando nuovi problemi. La premessa alla base di questa analisi è che gli effetti della pandemia in corso saranno particolarmente gravi per le donne «simply by virtue of their sex».
Un passo avanti della giustizia penale internazionale contro l’ «istituzionalizzazione della tortura»: la CPI autorizza in appello l’indagine sui possibili crimini internazionali commessi in Afghanistan (e in Europa) durante la war on terror
Dopo un iter procedimentale complesso e assai dibattuto, il 5 marzo 2020 l’Appeals Chamber (AC) della Corte Penale Internazionale (CPI o Corte) ha autorizzato (Autorizzazione) la Procura diretta da Fatou Bensouda all’apertura di una indagine relativa alla situazione in Afghanistan e ai potenziali crimini di guerra e contro l’umanità commessi nell’ambito del conflitto armato che, nel paese stesso, e con implicazioni in diversi altri Stati, dal 2001 ha segnato l’inizio del decennio della war on terror.
Post Scriptum sulla sospensione dei termini processuali da parte della Corte europea per l’emergenza Covid-19
Come preconizzato nel nostro primo commento alle misure eccezionali adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in data 16 marzo 2020 (qui), il persistere della situazione di emergenza sanitaria a livello globale causata dalla diffusione pandemica del Covid-19 ha reso necessario un ulteriore intervento da parte della Corte per estendere temporalmente e specificare ulteriormente l’applicazione di tali misure.
DIRITTO ALL’ISTRUZIONE E ACCESSO AD INTERNET ALL’EPOCA DEL COVID-19
L’analisi di questo breve commento concerne due (dei molteplici possibili) profili: il primo consiste nel definire il nocciolo duro del diritto all’istruzione che deve essere garantito anche in situazioni di emergenza; il secondo si concentra sulle discriminazioni de facto nel passaggio dalle aule fisiche delle scuole alle aule virtuali in termini di capacità di accesso ad Internet e sugli obblighi in capo agli Stati di rimuoverle. Una riflessione sull’aspetto tecnologico dell’istruzione muove dalla consapevolezza, accertata dalla letteratura specialistica (si veda ad esempio, Fox, p. 13), dell’esistenza di un duplice digital divide, definito dall’OCSE come «gap between individuals, households, businesses and geographic areas at different socio-economic levels with regard both to their opportunities to access ICT and to their use of the Internet for a wide variety of activities». Non si tratta “solo” di accesso fisico ad Internet – problema che persiste in molti Paesi al mondo, anche in Europa, dove si rilevano significative differenze tra gli Stati membri e negli Stati membri (v. a riguardo Cruz-Jesus et al.) – ma anche del distacco socio-economico e della capacità di beneficiare appieno della c.d. tecnologia dell’informazione della comunicazione (ICT).
Il ruolo delle politiche commerciali a fronte della pandemia da COVID-19: brevi riflessioni alla luce del diritto OMC
Nel predisporre la risposta alla pandemia da COVID-19, gli Stati hanno dovuto far fronte alla necessità di aumentare la disponibilità, sul territorio nazionale, di presidi medici e sanitari, quali dispositivi di protezione individuale (DPI), ventilatori polmonari, disinfettanti e medicinali. L’accesso a questi beni sarà fondamentale anche per la ripresa della vita sociale ed economica e, al fine di una maggiore resilienza, potrà essere supportato da provvedimenti volti a costituire riserve adeguate. In questo contesto, le politiche commerciali possono giocare un ruolo importante, come emerge anche da un recente studio condotto in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), relativo al diverso contesto di disastro naturale.
PANDEMIA, IMPRESE E DIRITTI UMANI. L’APPLICAZIONE DEI PRINCIPI GUIDA ONU SU IMPRESA E DIRITTI UMANI AL TEMPO DEL COVID-19
Sino ad oggi il dibattito sull’impatto del COVID-19 sui diritti umani ha concentrato l’attenzione sul ruolo degli Stati e sulla legittimità delle misure di deroga o di limitazione delle libertà individuali adottate per contenere la diffusione della pandemia, in combinazione con quelle di tipo economico e sociale tese ad offrire una rete di sicurezza sia agli individui che alle imprese. Minore attenzione, invece, è stata riposta sul ruolo, non meno importante, del settore privato. I Principi Guida ONU su impresa e diritti umani del 2011 (UNGPs) ci ricordano in effetti, che se da un lato spetta agli Stati l’obbligo (positivo) di regolare le attività delle imprese in modo che queste ultime non violino i diritti umani (v. Fasciglione, pp. 37-47), dall’altro lato la responsabilità delle imprese di rispettare (CRtoR), disciplinata dal secondo Pilastro dei UNGPs, impone alle imprese di rispettare i diritti umani nel corso delle loro operazioni e dell’intera value chain (v. Bonfanti e Bordignon, in part. p. 501) e di adottare le misure necessarie per evitare che le proprie attività abbiano un impatto negativo sui diritti umani e nel caso in cui lo si sia cagionato, per prevenirlo, mitigarlo e rimediarlo.
IL DECRETO INTERMINISTERIALE PER GESTIRE L’EMERGENZA COVID-19 NELL’AMBITO DEGLI OBBLIGHI DELL’ITALIA AI SENSI DELLA CONVENZIONE SAR: L’INSOSTENIBILE “INTERMITTENZA” DEL LUOGO SICURO PER I MIGRANTI DIRETTI VERSO L’ITALIA
Sull’onda dei copiosi provvedimenti adottati nell’era del coronavirus, il 7 aprile 2020 è stato adottato anche un decreto interministeriale col quale si sancisce che, per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dal COVID-19, i porti italiani non assicurano i «necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (luogo sicuro)» ai sensi della convenzione SAR, limitatamente tuttavia ai casi di soccorso effettuati da parte di navi straniere al di fuori dell’area SAR italiana. Si tratta di un decreto quanto meno insolito, che merita alcune riflessioni, preliminarmente alle quali va innanzitutto ripercorso l’iter motivazionale alla base del medesimo.
Prime considerazioni sull’effettività delle risposte normative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alla diffusione del COVID-19
L’11 marzo 2020 il Direttore generale dell’OMS ha dichiarato che la diffusione del COVID-19 aveva ormai raggiunto il livello di una pandemia e ha raccomandato pertanto il rafforzamento della cooperazione per il contenimento del contagio. Poiché la propagazione del COVID-19 risultava imprevedibile e incontrollabile per la mancanza di un vaccino e trattamenti farmacologici specifici, nei giorni precedenti alcuni Stati, tra cui l’Italia, com’è noto, avevano adottato misure limitative della libertà di circolazione delle persone dapprima in alcune aree e poi nell’intero territorio nazionale, chiuso scuole, università e infine tutti gli esercizi commerciali non essenziali.
Contrasto al COVID-19 e/o demolizione dello Stato di diritto? Le misure ungheresi e la Convenzione europea
L’esame delle misure di emergenza votate dal Parlamento ungherese accuratamente condotto nel post di Simone Benvenuti induce a svolgere qualche riflessione “a caldo”, anche sulla conformità di dette misure rispetto all’art. 15 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dico “a caldo”, non solo per l’impossibilità di condensare, in poche righe, ed in pochissimo tempo, un’analisi che richiederebbe maggiori approfondimenti; ma anche perché una valutazione precisa di tali misure esigerebbe, evidentemente, di poterne considerare la prassi di attuazione di cui, allo stato, non può ancora disporsi.
Due sono allora gli aspetti di carattere generale sui quali, sin da ora, è possibile articolare qualche riflessione, fermo restando che su ulteriori questioni di tipo più specifico, considerazioni più meditate senz’altro potranno seguire.