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Nell’epoca globalizzata e connessa in cui viviamo sembra molto difficile mantenere segreti; soprattutto, quando il segreto in questione riguarda il diffondersi di una malattia «simile alla SARS», con un tasso di diffusione rapidissimo, causata da un virus mai osservato al microscopio. Eppure, ci sono fondati motivi per ritenere che le autorità cinesi abbiano taciuto per alcune settimane l’emergere e il diffondersi del virus successivamente denominato SARS-CoV-2, settimane importanti per evitare il diffondersi di quest’ultimo, dentro e fuori i confini cinesi. Ci sono anche fondati motivi per ritenere che le autorità cinesi non abbiano fatto tutto quanto ragionevolmente possibile per arginare la diffusione del virus.

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On 24 March 2020, the First Section of the European Court of Human Rights (ECtHR) gave formal notice to the Government of the United Kingdom of the application filed on behalf of Mr Muhammed Asif Hafeez in connection with his extradition to the United States, where he is indicted for charges of conspiracy to import heroin, methamphetamines and hashish, and aiding and abetting the manufacturing/distribution of heroin. (…) This post looks at the way in which the matter has been dealt with in the decision of the UK High Court of 31 January 2020, and advances some considerations on the main points of the dispute before the European Court of Human Rights in light of existing case law on article 3 and extradition.

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Dall’inizio della pandemia da COVID-19, negli Stati Uniti sono stati presentati almeno sette ricorsi contro la Cina, finalizzati ad ottenere il risarcimento dei danni subiti come conseguenza della diffusione dell’epidemia.

Ai fini della presente analisi queste cause possono essere divise in tre gruppi.

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Irini Papanicolopulu, Università di Milano-Bicocca Il 9 giugno 2020 il Ministro degli esteri dell’Italia, Luigi Di Maio, in visita ufficiale ad Atene, ha firmato un accordo   con la Grecia per la delimitazione della zona economica esclusiva tra i due Stati nel mare Ionio. L’accordo, definito storico dai media greci (si veda

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A long awaited decision of the European Court of Human Rights (ECtHR), one that will be discussed for long (see already herehere and here), has not disappointed all the European governments whose efforts are aimed to strengthen border controls on migrants, including asylum claimants. With the decision in the case of M.N. and Others v. Belgium (no. 3599/18), the ECtHR has adopted a self-restraint approach that creates an additional obstacle for those asylum claimants who would rely on international human rights law obligations as the only possible way of avoiding dangerous, sometimes deadly, journeys in order to submit an asylum application in Europe. The ECtHR concluded that States Parties to the European Convention on Human Rights (ECHR) do not have any obligation to issue humanitarian visas because the ECHR does not apply in the context of proceedings initiated by individuals through diplomatic representations of a State Party, with which such individuals have no connecting ties like nationality or which does not exercise any sort of physical control (more generally on Article 1 ECHR, see Besson and Milanovic). Whereas some readers may find it unsurprising, in light of recent case law (e.g. Grand Chamber, N.D. and N.T. v. Spain, nos. 8675/15 and 8697/15; and Ilias and Ahmed v. Hungary, no. 47287/15) as well as the CJEU’s findings on the same matter from a EU law perspective (X and X v. BelgiumC-638/16 PPU), other readers may qualify the ECtHR’s approach based on the lack of jurisdiction as ‘formalist’ or ‘ineffective’. This is particularly the case when the reasoning adopted by the ECtHR is compared with recent developments occurred not only within its case law but also with positions adopted by universal human rights bodies attempting to expand the applicability of human rights treaties, including via a ‘non-formalistic’ approach (Committee on the Elimination of Racial Discrimination, 12 December 2019, no. CERD/C/100/5, para. 3.44). 

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Oltre alle questioni affrontate nel precedente contributo (v. qui) relative agli obblighi di prevenzione/preparazione alle pandemie e all’eventuale obbligo di assistenza per l’Italia, l’emergenza COVID-19 ha altresì attirato l’interesse dell’opinione pubblica e della stampa italiana rispetto a due ulteriori questioni, relative all’impiego di medici stranieri nell’emergenza e alle polemiche connesse all’invio di personale militare di soccorso da parte della Russia, che presentano anche dei rilievi giuridici, qui di seguito affrontati.

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La crisi innescata dal COVID-19 ha confermato come i disastri (sul soddisfacimento dei criteri utilizzati nelle definizioni giuridiche di disastro relativamente a questo contesto vedi qui e, in generale, qui) rappresentano una delle principali problematiche per la Comunità internazionale, sollevando molteplici interrogativi anche di tipo giuridico. Alcuni aspetti, specificatamente connessi al contesto italiano, possono essere qui discussi, secondo un’agenda eterogenea connessa alle questioni che hanno maggiormente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e della stampa. In questo primo post ci soffermeremo: (a) sulle misure di preparazione e prevenzione che potevano attendersi rispetto alla pandemia; (b) e sul presunto dovere di assistenza verso l’Italia. Successivamente l’attenzione verterà (c) sull’impiego di medici stranieri nell’emergenza e (d) sulle polemiche connesse all’invio di personale militare di soccorso da parte della Russia.

Rispetto a queste problematiche inerenti all’Italia si possono offrire alcuni spunti di riflessione anche alla luce degli strumenti connessi al cd. International Disaster Law (d’ora in avanti IDL; su questo ambito di ricerca vedi, ad esempio, qui e De Guttry, Gestri e Venturini), specie in considerazione della stretta interrelazione che questo settore richiede fra input internazionali ed europei e misure da adottarsi a livello nazionale di vario tipo (istituzionali, normative ed operative), per prevenire, mitigare e rispondere a situazioni di disastro.

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La pandemia causata dal Covid-19 ha creato danni incalcolabili alla vita ed all’economia di molti Paesi nel mondo. Gli Stati Uniti tornano ciclicamente ad accusare unilateralmente la Cina di essere all’origine del virus e responsabile della sua diffusione. E la reazione di altri Governi e di altrettanti giuristi appare, in questo momento, di grande interesse per gli internazionalisti giacché in tale dibattito emergono, in mezzo alle proposte più stravaganti, diversi profili interessanti. Nei giorni scorsi di quarantena, col Prof. Carrascosa Gonzalez (v. il suo blog Accursio) abbiamo dialogato su questo tema, sicché sono lieto di offrire ai lettori del blog SIDI alcune note e pensieri del mio taccuino. Desidero articolarli secondo due orizzonti di riflessione strettamente collegati giacché toccano, sia dei profili di diritto internazionale “pubblico” (I), che di diritto internazionale privato e processuale (d.i.pr.) (II).

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Già da qualche tempo i c.d. big data e l’intelligenza artificiale sono utilizzati per migliorare la qualità dei servizi nel settore pubblico e privato. Per quanto concerne il primo, essi, difatti, possono essere favorevolmente sfruttati da Stati e organizzazioni internazionali per programmare e valutare attività e interventi, e rappresentare un importante strumento di governance: e il settore sanitario è da sempre, in questo senso, uno dei più coinvolti (si veda, ad esempio, il caso del progetto Global Pulse delle Nazioni Unite). 

Neppure il tracciamento delle epidemie umane mediante tali strumenti è una novità: applicazioni per seguire il movimento dei contagi sono state efficacemente utilizzate in occasione delle pandemie influenzali e, ancora di più, nel caso di Ebola. Sotto il profilo della sperimentazione, poi, nel Regno Unito, nel 2018, la BBC4 aveva lanciato, assieme ad alcune Università, un programma che provava a tracciare il modo in cui si sarebbe potuto muovere un virus “simulato” mediante una app (“Pandemic”) installata sugli smartphone di gruppi di volontari.  Ne fu tratto anche un documentario, ora disponibile online, intitolato “Contagion”.

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I limiti strutturali dell’OMS nella gestione della pandemia di COVID-19, hanno sollevato riflessioni e parallelismi sulla gestione internazionale delle precedenti emergenze sanitarie di rilevanza internazionale. Ci si è domandati, in particolare, se il precedente rappresentato dalla Risoluzione 2177/2014  relativa all’epidemia di Ebola nell’Africa Occidentale potesse replicarsi con il COVID-19.

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