diritto dell'Unione europeadiritto internazionale pubblicomigrazione

INTRIGO INTERNAZIONALE: IL COMPLESSO INTRECCIO GIURISPRUDENZIALE SULLA NOZIONE DI «PAESE SICURO» TRA ROMA, LUSSEMBURGO E STRASBURGO

(Francesco Luigi Gatta, Università di Palermo)

Il 18 dicembre 2024, in un comunicato diffuso in occasione della giornata internazionale del migrante, le Nazioni Unite hanno sottolineato le problematiche legate a «the increasingly complex environment in which migration occurs». Tra i fattori di “crescente complessità” si possono certamente includere anche concetti ed istituti di natura giuridica, forgiati dal diritto nel difficile tentativo di governare i flussi migratori. Tra questi, uno dei più controversi è quello di Paese di origine sicuro (POS), su cui è sorto un accesso dibattito, veicolato da una intensa (ma spesso sommaria ed imprecisa) copertura mediatica. Ma perché la questione attrae tanta attenzione e scatena discussioni così vivaci?

Il tema dei POS è incendiario perché intercetta la posizione e gli interessi di una molteplicità di soggetti, rendendo difficile trovare un equilibrio: è, al contempo, una questione di politica interna e di diplomazia internazionale, di rapporti tra ordinamenti e tra fonti giuridiche, di separazione tra poteri dello Stato, di denaro e risorse, infine – ma non per rilevanza – di rispetto dei diritti fondamentali della persona migrante. È, quindi, un tema decisivo e complesso. Decisivo, perché la nozione di POS rappresenta un tassello fondamentale per il successo dell’odierno sistema di governance dei flussi migratori adottato dai paesi del c.d. Global North, un ingranaggio chiave per una gestione efficiente e securitaria della frontiera come luogo di filtro e selezione di chi è meritevole di protezione. È altresì complesso, perché si inserisce in un sistema multilivello di ordinamenti e corti che interagiscono tra loro, nonché di fonti giuridiche in evoluzione.

In questo scenario, allora, il controllo dell’istituto diviene cruciale: chi decide che un paese è sicuro? E chi, e come, controlla tale designazione? Nel dicembre 2024 sono intervenute due importanti pronunce della Corte di Cassazione, destinate ad alimentare il dibattito ed infittire il già complesso “intrigo internazionale” legato alle molteplici implicazioni del concetto di POS. Delle decisioni italiane si fornirà una prima lettura nei paragrafi che seguono, ponendole successivamente in raccordo con le posizioni delle corti di Lussemburgo e Strasburgo. Preliminarmente, però, occorre dar conto di come l’odierno dibattito sui POS riguardi un concetto il cui senso originario, in realtà, è stato rovesciato e “tradito”.

Il “successo” del concetto di POS e il rovesciamento della sua ratio originaria

Il concetto di POS trova fondamento nel diritto internazionale dei rifugiati, discendendo dalle nozioni di rifugiato e refoulement, di cui agli artt. 1 e 33 della Convenzione di Ginevra del 1951. La “sicurezza” del paese, infatti, è legata all’assenza di rischi e criticità per la vita e l’incolumità del richiedente protezione. Nella sua impostazione originaria, però, il concetto non funge solo da perno della tutela dell’individuo. Viene declinato anche come criterio di gestione degli oneri legati alla protezione, secondo una logica di solidarietà e condivisione delle responsabilità: principi che informano intrinsecamente il sistema internazionale di governance dei rifugiati (cfr. i preamboli della Convenzione di Ginevra, §4, e dell’atto costitutivo dell’IOM, §§3 e 7; la Dichiarazione di New York sui rifugiati e i migranti, §68; il Patto Globale sui rifugiati, §§3-5 e 14-16; nel diritto dell’Ue, artt. 67.2 e 80 TFUE). I paesi maggiormente afflitti dal peso della gestione delle popolazioni di rifugiati potevano trasferirne una porzione presso un paese “sicuro”, che li avrebbe accolti e protetti, così alleviando, almeno in parte, la pressione sul paese di asilo (Freier et. al., “The Evolution of Safe Third Country Law and Practice”, in The Oxford Handbook of International Refugee Law (Eds. Costello et. al), Oxford University Press, Oxford, 2021, p. 518 ss). La “protezione altrove”, attuabile tramite la nozione di paese sicuro, era dunque intesa in una chiave solidaristica di burden-sharing.

La prospettiva muta nel corso degli anni ’80 e ’90, complici le grandi crisi umanitario-migratorie generate da conflitti e atti di genocidio. Nei contesti regionali europeo e Nord-americano si assiste al crescente ricorso, nella legislazione domestica ovvero in accordi intergovernativi, alla nozione di paese sicuro, intesa, però, in un’ottica rovesciata: non più quella solidaristica, bensì quella deflattiva e di contenimento dei flussi. La “sicurezza” non è più quella del paese ricevente, ma di quello di partenza (e/o transito), su cui è riversata la responsabilità della protezione: il burden-sharing diviene burden-shifting. In questa diversa e contemporanea accezione, la nozione di POS è estremamente dibattuta, con due quesiti fondamentali: è legittimo il ricorso a tale prassi? E se sì, a quali condizioni?

Quanto al primo interrogativo, ci si chiede se sia ammissibile per uno Stato abdicare la propria responsabilità per la tutela di un richiedente asilo (pur avendone la capacità, in termini di mezzi e risorse), semplicemente in ragione del fatto che la protezione è disponibile altrove. Secondo una posizione, la Convenzione di Ginevra non offrirebbe una “base giuridica” sufficientemente chiara per legittimare il ricorso a simili “deviazioni” di responsabilità. Per altra, poiché la stessa Convenzione non la autorizza, né la proibisce, tale condotta è, in principio, ammissibile (su questo dibattito, v. Foster, Moreno-Lax, Taylor, UNHCR 2002, UNHCR 2018).

La questione, ad ogni modo, appare superata dal dato della prassi, da cui si evince come il ricorso ai POS sia ormai ampiamente diffuso, a testimonianza dell’appetibilità di tale bordering tool nella prospettiva degli Stati destinatari dei flussi. Tale prassi, peraltro, si è tradotta in forme di positivizzazione normativa: nel diritto interno, ad esempio, il Migration Act australiano, ovvero il Transit Country Ayslum Ban introdotto negli Stati Uniti dalla amministrazione Trump nel 2019 per contrastare «the large number of meritless asylum claims» (§I.A); a livello pattizio, l’accordo Canada-Stati Uniti. Nel diritto dell’Unione, il POS è disciplinato dalla direttiva 2013/32 (artt. 36 e 37), che prevede altresì le fattispecie di “paese terzo sicuro” (art. 38), “paese terzo europeo sicuro” (art. 39), “paese di primo asilo” (art. 35).

Si tratta di meccanismi che, pur nelle diverse configurazioni e metodologie attuative, condividono la medesima ratio: l’attivazione di una sede alternativa per il riconoscimento della protezione internazionale e l’erogazione dei diritti che ne discendono. La seconda e cruciale questione, allora, diviene quella della natura e delle condizioni che tale “protection elsewhere” deve garantire. La tecnica del POS, infatti, per essere legittima, deve assicurare che la “sicurezza” del paese non si estrinsechi nella mera capacità di offrire una protezione, bensì nella capacità di offrire la protezione, in forma effettiva e adeguata agli standard internazionali. Ma chi sceglie i paesi rilevanti e chi ne “misura” la “sicurezza”?

Roma: lo scontro istituzionale e le pronunce della Cassazione

Su questi quesiti si è consumato in Italia un aspro scontro istituzionale, esacerbato da un dibattito mediatico che lo ha essenzialmente sintetizzato nel “braccio di ferro” tra magistratura e governo sulle politiche migratorie. Il contrasto dura da anni (“porti chiusi”, procedura di frontiera, garanzia finanziaria in alternativa al trattenimento, Protocollo con l’Albania) e ha portato i contendenti a sfoderare diverse “armi” istituzionali. Da un lato, decretazione d’urgenza e modifiche legislative (ad esempio, per lo spostamento di competenza sulla convalida del trattenimento dei richiedenti asilo dai tribunali specializzati alle Corti d’Appello; per la trasformazione della fonte giuridica recante la lista POS, da ministeriale a legislativa); dall’altro, non-applicazione della normativa interna e una “pioggia” di rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia. In questa saga, l’ultimo capitolo è rappresentato da due attese pronunce della Cassazione rese a fine 2024.

i. La sentenza sul sindacato del giudice rispetto alla lista governativa dei POS

La pronuncia ha origine da un rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. effettuato dal Tribunale di Roma nel contesto di una controversia sulla domanda di protezione internazionale di un cittadino della Tunisia, rigettata in quanto tale paese rientra nella lista governativa dei POS. Il fulcro della questione riguardava il perimetro del sindacato giurisdizionale sulla designazione di un POS da parte dei competenti Ministeri: un tema sensibile non solo da un punto di vista politico, ma anche giuridico, stanti le ripercussioni in termini di certezza del diritto e coerenza giurisprudenziale, dovute alle diverse e contrastanti posizioni dei giudici del merito.

La Cassazione, anzitutto, delinea ruoli e competenze dei due poteri in causa. Il giudice deve occuparsi del profilo decisorio particolare, in quanto «garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo» (§4). Al governo, invece, compete il piano generale e «il compito di gestire il fenomeno migratorio», poiché esso rappresenta «la sede meglio attrezzata» per valutazioni complesse a proposito di «fenomeni giuridici e sociali» (§5). La gestione della lista dei POS, pertanto, è una prerogativa governativa, la cui titolarità non può essere incisa dal giudice. La terminologia impiegata dalla Cassazione sul punto è piuttosto esplicita: da un lato, il giudice «non si sostituisce al Ministero degli affari esteri», «non può andare al di là… del singolo caso in quella data controversia», «sconfinando» (§14). Dall’altro, la designazione dei POS è «riservata» al governo, le relative determinazioni «spettano in generale al Ministro», nell’esercizio di «un potere valutativo riservato insindacabilmente all’autorità governativa» (§14). Ognuno ha e deve mantenere il proprio spazio decisorio, delineato in funzione delle relative competenze: il governo, agendo sul piano generale, si occupa di Stati, designandoli come sicuri; il magistrato, a livello particolare, si occupa degli individui che da tale designazione sono impattati, nell’ambito del contenzioso portato alla sua attenzione.

Dunque, la lista dei POS è intangibile? La Cassazione chiarisce che la magistratura può (e deve) intervenire sulla designazione governativa del POS: non ex ante (perché la titolarità del potere di ritenere un paese sicuro è saldamente nelle mani dei Ministeri), ma solo ex post (per verificare che l’esercizio di quel potere sia avvenuto correttamente). Due, in particolare, sono le ragioni per cui un controllo giurisdizionale non è solo possibile, bensì doveroso.

La prima deriva direttamente dalla ratio di efficientamento ed economia che il concetto di POS reca con sé. La Cassazione ne individua chiaramente i profili di utilità per lo Stato: il POS rappresenta «una agevolazione per l’autorità amministrativa» (§6.2.), che consente di «deflazionare il carico di lavoro inerente alla valutazione delle domande di protezione internazionale», mediante «una distinzione tra richiedenti meritevoli e non» (§7). La Corte, d’altro canto, è anche attenta nel sottolineare l’altro lato della medaglia, vale a dire, il carattere rilevante e decisivo della designazione di un POS sulla spettanza del diritto d’asilo e sulla sua concreta tutelabilità.

Dal primo punto di vista, evidentemente, poiché la domanda di protezione internazionale può essere respinta proprio sulla base dell’applicazione, nel caso di specie, del concetto di POS. Dal secondo punto di vista, in quanto la nozione di POS comporta la «rimodulazione in senso restrittivo delle garanzie individuali» (§7). La compressione delle garanzie di due process del richiedente, in sede amministrativa e giurisdizionale, infatti, è significativa: la provenienza da un POS determina il passaggio dalla procedura d’esame della domanda da ordinaria ad accelerata, l’accorciamento dei termini, un onere di allegazione aggravato per il richiedente cui si contrappone asimmetricamente un onere motivazionale attenuato per l’amministrazione. Inoltre, nelle more della procedura, il richiedente può non essere autorizzato a permanere sul territorio dello Stato membro. In tale scenario, dunque, nel rapporto tra richiedente, portatore di un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, e l’amministrazione, da cui il medesimo diritto è inciso, sorge “fisiologicamente” uno spazio per il sindacato giurisdizionale. Proprio perché il meccanismo dei POS ha un impatto decisivo e grave sulla tutela, e perché il giudice riveste il ruolo sopra ricordato di «garante dell’effettività… dei diritti fondamentali del richiedente asilo».

Ma non è solo una questione di (ri)bilanciamento di interessi contrapposti Stato-migrante. La seconda ragione per cui lo scrutinio del giudice è necessario è legata alla circostanza per cui la designazione del POS da parte del governo non è un atto libero e discrezionale in senso “assoluto”, vale a dire, “sciolto” da condizioni determinate ex lege. Non è, infatti, un atto politico, che si pone – nelle parole della Cassazione – «fuori dal diritto e dalla giurisdizione» (§13). Al contrario, si tratta di un atto avente carattere giuridico soggetto a requisiti normativi, delineati dal diritto dell’Ue e recepiti dal legislatore nazionale (si tratta di quelli di cui all’allegato 1 della direttiva 2013/32). Ed è allora sul rispetto di tali requisiti che si apre il secondo e ulteriore spazio di sindacato del giudice, poiché «l’esistenza di una dettagliata disciplina (procedurale e sostanziale) applicabile al relativo potere amministrativo implica che il rispetto di tali requisiti e criteri è suscettibile di verifica in sede giurisdizionale» (§13).

Risolto positivamente il nodo del “se” rispetto all’ammissibilità di un sindacato giurisdizionale sulla lista POS, la Cassazione definisce il “come” esso possa e debba compiersi. L’ampiezza e le modalità di intervento sono direttamente associate ai due profili che si sono evidenziati, diversi essendo, a seconda dell’oggetto, gli aspetti che il giudice deve considerare e le conseguenze derivanti dalla sua decisione.

Il primo profilo attiene a un sindacato de jure, volto a rilevare un eventuale contrasto della designazione governativa di un POS con i requisiti normativi per la “sicurezza” di un paese. Lo spazio del sindacato è però circoscritto dalla Cassazione a ipotesi eccezionali di «manifesto discostamento dalla disciplina europea» e a casi in cui la sicurezza del paese non sia «icto oculi più rispondente alla situazione reale» (§14). La soglia è alta, poiché la conseguenza è la disapplicazione della lista POS in riferimento al paese interessato: l’atto governativo sopravvive, ma il giudice ne prescinde, non tenendo conto della vincolatività della qualificazione ministeriale di quel dato paese come sicuro, ai fini della decisione del caso concreto.

Il secondo profilo del sindacato del giudice è un accertamento de facto (un «test di coerenza», §14) della sicurezza del paese nei confronti del singolo richiedente, in ragione della sua peculiare situazione e delle circostanze specifiche in cui si trova. Non, quindi, un controllo generale sulla correttezza e sull’attualità della designazione del paese come sicuro, bensì un accertamento in fatto della condizione soggettiva di quello specifico richiedente rispetto al suo paese di origine (che ben potrebbe rimanere complessivamente “sicuro”, per altri richiedenti). In questo caso, conclude la Cassazione, non si pone un tema di rilevanza della lista governativa POS in generale, e non c’è quindi spazio (e ragione) per ricorrere all’istituto della non applicazione rispetto all’atto del governo recante la lista dei paesi.

ii. L’ordinanza interlocutoria sulla mancata convalida del trattenimento in Albania

La seconda decisione di rilievo sui POS è l’ordinanza interlocutoria della Cassazione, originata dalla controversia promossa dal Ministero dell’Interno rispetto alla mancata convalida del trattenimento di un cittadino egiziano, salvato in mare e condotto nel centro di Gjader in esecuzione del controverso Protocollo Italia-Albania (su cui v., per i profili di compatibilità rispetto al diritto internazionale, Saccucci; rispetto al diritto dell’Ue, Celoria e De Leo). Il Tribunale di Roma aveva negato la convalida, ritenendo non applicabile il decreto ministeriale recante la lista dei POS nella parte in cui designava l’Egitto – paese del richiedente asilo condotto in Albania – come sicuro, a causa di un presunto contrasto con il diritto dell’Ue (v. il comunicato stampa del Tribunale; per un commento della decisione v. Borraccetti, Mentasti, Savino).

Il contrasto si sarebbe configurato con l’art. 37 della direttiva procedure (2013/32), come interpretato dalla Corte di giustizia nella sentenza CV del 4 ottobre 2024 (C-406/22), in cui la Grande Sezione aveva chiarito che un paese terzo non può essere designato come sicuro qualora talune parti del suo territorio presentino rischi e criticità. Nel caso di specie, l’Egitto risultava incluso nella lista governativa POS, ma con un’eccezione per talune categorie di soggetti (oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani, individui suscettibili di persecuzione). Il Tribunale di Roma ne ricavava che tale esclusione di natura personale-soggettiva, fosse da equiparare all’eccezione di tipo territoriale delineata dalla Corte di giustizia. In altri termini, la sicurezza di un paese sarebbe dovuta sussistere al 100%, nell’interezza delle sue componenti tanto territoriali, quanto soggettive. Tale logica del “o tutto, o niente” era osteggiata dal Ministero dell’Interno, che sosteneva, invece, la non assimilazione delle eccezioni territoriali con quelle personali. Ed è questa, in sostanza, la tesi che la Cassazione mostra di sposare.

Pur disponendo il rinvio della decisione della causa – stante la pendenza di numerosi giudizi pregiudiziali innescati da tribunali italiani e di altri Stati membri sul tema dei POS (infra) –, la Suprema Corte ha deciso di offrire il proprio punto di vista interpretativo per «contribuire al dialogo» con il giudice europeo (§11), la cui decisione è attesa nella primavera 2025. La Cassazione “suggerisce” di escludere una lettura estensiva ed automatica del principio espresso dalla Corte di giustizia nella sentenza CV, in cui la Grande Sezione si è limitata a pronunciarsi sulle sole eccezioni territoriali. Ma non è solo questione di “silenzio” della Corte di Lussemburgo sulle eccezioni personali (silenzio che, del resto, verrà presto rotto con la prossima decisione sui rinvii pregiudiziali italiani). Le eccezioni di natura soggettiva, per la Cassazione, sono anche, e soprattutto, strutturalmente differenti, poiché hanno «un grado di oggettività dell’accertamento diverso rispetto all’eccezione geografica o territoriale», di modo che «non c’è una perfetta simmetria tra le due ipotesi» (§16).

Lussemburgo: sicurezza “totale” del paese solo nella prospettiva territoriale? (in attesa di una lista POS europea)

Lo snodo cruciale per la definizione del “perimetro” della sicurezza di un paese si incentra sulla lettura della sentenza CV con cui la Corte di Giustizia, per la prima volta, si è pronunciata sulla nozione di POS ex art. 37 della direttiva procedure. Non essendo possibile per ragioni di spazio soffermarsi su tale decisione (si rinvia alle analisi di Belardo, Cometti, Ferri, Morlotti, Munari, Peers), basti ricordare che la Grande Sezione ha collegato il concetto di sicurezza del paese alla situazione presente nell’interezza del suo territorio: un paese non è sicuro, ai fini del rimpatrio di richiedenti asilo, se una porzione del suo territorio non è sicura secondo le condizioni dettate dall’allegato I della direttiva (nel caso di specie: la Moldavia, considerata POS dalla Repubblica Ceca, ad eccezione della Transnistria, regione problematica a causa di rilevanti ingerenze russe).

Alla sentenza si ricollega una “pioggia” di rinvii pregiudiziali innescati da vari Tribunali italiani (Firenze, Bologna, Roma, Palermo: per una panoramica: v. Greco, Iannuccelli). La Corte di giustizia dovrà chiarire il profilo della sicurezza di un paese rispetto alle eccezioni personali e se queste siano equiparabili o meno a quelle territoriali. Dovrà indicare, inoltre, quali saranno le conseguenze rispetto alla applicabilità della nozione di POS. Al riguardo si può osservare che, in un rapporto del 2022 relativo alla normativa e alla prassi dei POS, l’Agenzia dell’Ue per l’asilo afferma che la sussistenza di una o entrambe le eccezioni – territoriale e personale – neutralizza l’applicabilità del concetto di POS («In these cases, the safe country of origin concept is not applicable, and thus, the regular asylum procedure is applied», p. 8). La parola passa ai giudici di Lussemburgo, che indicheranno la (ir)rilevanza del profilo personale-soggettivo rispetto alla sicurezza del paese di origine del richiedente.

In attesa della Corte di giustizia, vale la pena rilevare come il tema dei POS non sia estraneo a controversie e tensioni istituzionali anche nell’ordinamento dell’Unione. Apparsa negli anni ’90 in atti istituzionali non vincolanti, la nozione trova positivizzazione nel diritto derivato con la direttiva procedure 2005/85 che, già 20 anni fa, prevedeva la possibilità di una lista europea comune, dimostrando piena consapevolezza «dell’importanza politica della designazione dei paesi di origine sicuri, soprattutto in vista delle implicazioni… per i diritti dell’uomo… e per le politiche dell’Unione europea nel settore delle relazioni esterne» (Considerando 19). La direttiva accordava al Consiglio, mediante procedura speciale, la facoltà di adottare (e modificare) un elenco comune POS su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento (art. 29). Un meccanismo mai realizzatosi, poiché proprio il Parlamento, tramite ricorso per annullamento, aveva contestato con successo la disposizione della direttiva attributiva del potere decisionale al Consiglio, rivendicando per sé un ruolo maggiormente incisivo, rispetto alla mera consultazione, tramite l’applicazione della procedura di codecisione (Parlamento europeo c. Consiglio, C-133/06).

“Colpita” da tale contenzioso, la possibilità di stilare una lista POS europea scompare nella successiva direttiva procedure del 2013. Nel 2015, nondimeno, la Commissione Juncker, in piena crisi rifugiati, aveva (ri)proposto un regolamento per l’istituzione di un elenco comune POS (seppur solo con riguardo alla Turchia e ai paesi dei Balcani occidentali: p.3). La riforma avrebbe dovuto garantire maggior coerenza e uniformità nella gestione dei richiedenti asilo tramite il sistema dei POS; tuttavia, non avendo ricevuto supporto, nel 2019 la stessa Commissione, ormai a fine mandato, aveva ritirato la proposta.

La lista europea POS (ri)torna, infine, nell’attuale regolamento procedure asilo del 2024, che ne prevede la compresenza con liste POS nazionali (art. 61.2). La designazione a livello di Ue dovrebbe «garantire l’applicazione uniforme dei concetti da parte di tutti gli Stati membri», «favorire la convergenza nell’applicazione delle procedure» e «scoraggiare i movimenti secondari dei richiedenti protezione internazionale» (considerando 81. Sul POS nel sistema disegnato dal Nuovo Patto, v. la scheda di sintesi del Parlamento europeo). Quanto al rapporto tra le liste POS, quelle nazionali potranno essere diverse da quella dell’Ue, tranne nell’unica ipotesi in cui un paese terzo venga sospeso dalla lista europea (art. 64.2), su iniziativa della Commissione, a causa di un «cambiamento significativo della situazione» (art. 63.1.): in questo caso gli Stati membri dovranno allinearsi alla designazione comune dell’Unione. Il meccanismo semplificherà il tema dei POS? La compresenza di liste europee e nazionali condurrà a una convergenza nelle designazioni, o la “sicurezza” di un paese secondo Bruxelles sarà diversamente intesa rispetto a Roma, o Atene?

Strasburgo: la necessaria verifica della (in)sicurezza del paese di rimpatrio

Tra le posizioni dei giudici italiani e l’attesa per la Corte di giustizia, può essere utile uno sguardo al punto di vista della Corte di Strasburgo. L’inserimento di questa Corte nel dibattito – a meno di un coinvolgimento diretto con richiesta di parere consultivo ex art. 1, Protocollo 16 CEDU da parte di una delle «più alte giurisdizioni» di uno Stato membro – si può ricollegare alla giurisprudenza sulla “sicurezza” del paese di rimpatrio di un richiedente asilo, sviluppata e consolidata ormai da tempo. Da questa casistica emerge un messaggio di fondo: la tutela dei diritti umani nel caso particolare deve sempre prevalere su presunzioni generali di sicurezza.

Tale assunto deriva da una lettura in chiave “proceduralizzata” dell’art. 3 CEDU, da cui discende un obbligo di diligenza per le autorità nazionali che intendono espellere un richiedente senza esaminare nel merito la sua domanda di protezione: verificare scrupolosamente, attivandosi motu proprio e servendosi di tutte le più aggiornate e rilevanti informazioni disponibili, la “sicurezza” del Paese in cui il richiedente verrà espulso (Ilias e Ahmed c. Ungheria, GC, §§139-141). Tradotto nei termini del dibattito sui POS: il giudice nazionale può e deve sempre verificare che il paese sia concretamente sicuro, a prescindere da elenchi stilati ex lege, accordi bilaterali, o designazioni governative. Questa affermazione è dunque in linea con quanto stabilito dalle sentenze sopra ricordate della Cassazione del 19 dicembre 2024 e della Corte di giustizia in CV a proposito del potere-dovere del sindacato giurisdizionale.

La Corte Edu, invece, tendenzialmente non entra nel merito della designazione in generale di un POS: il giudizio complessivo sulla sicurezza spetta alle autorità nazionali, che rimangono libere di designare un paese terzo come sicuro per finalità di politica migratoria (con riguardo all’Italia v., ad esempio, Hirsi Jamaa e altri c. Italia sugli accordi con la Libia e Khlaifia e altri c. Italia sull’accordo con la Tunisia). Si tratta di una facoltà che rientra nel margine di manovra degli Stati che, in principio, possono attribuire la qualifica di POS anche a paesi palesemente insicuri e in cui «reliable sources have reported practices… manifestly contrary to the principles of the Convention» (Hirsi Jamaa, cit., §128). La CEDU, insomma, a differenza del diritto dell’Ue, non sembra vincolare a priori la designazione di un POS, mediante criteri e requisiti generali normativamente stabiliti.

Ad ogni modo, il ricorso a designazioni POS unilaterali non esonera lo Stato dalle proprie responsabilità ai sensi della CEDU (Hirsi Jamaa, cit., §§127-129). La Corte lo ha ribadito di recente, con due sentenze dell’ottobre 2024 a proposito di due accordi di diversa natura giuridica: in H.T. c. Germania e Grecia, relativamente all’accordo amministrativo “para-Dublino” concluso tra Germania e Grecia nel 2018 per il rimpatrio fast-track di richiedenti asilo (c.d. “accordo Seehofer”); in M.A. e Z.R. c. Cipro, rispetto all’accordo internazionale per la riammissione informale di migranti in posizione irregolare tra Cipro e Libano.

Cosa si intende a Strasburgo per “sicurezza” di un paese? Quali parametri vanno accertati? La sicurezza è valutata in termini di «accessibility and reliability» del sistema di accoglienza e asilo del paese di destinazione, sia esso quello di origine o di transito del richiedente (Ilias e Ahmed, cit., §§139-140). Mentre il primo profilo attiene alla realistica fruibilità delle procedure d’asilo e al loro effettivo funzionamento, il secondo si ricollega all’adeguatezza del quadro normativo interno e alla sua applicazione nella prassi. A titolo esemplificativo, nella prima prospettiva, nel caso cipriota appena ricordato, la sicurezza del Libano – paese in cui i ricorrenti siriani erano stati espulsi – è stata de facto esclusa alla luce dell’incapacità concreta di fornire assistenza ai richiedenti asilo, nonostante la presenza dell’UNHCR e di altri attori internazionali attivi nel supporto umanitario ai rifugiati (M.A. e Z.R., cit., §92). Quanto al secondo profilo della « reliability», in M.K. e altri c. Polonia, la Corte ha dichiarato contrarie all’art. 3 CEDU le espulsioni dalla frontiera polacca verso la Bielorussia proprio a causa, tra l’altro, della nota inaffidabilità del relativo sistema d’asilo: la Polonia, infatti, non poteva legittimamente aspettarsi che le richieste d’asilo dei ricorrenti potessero essere «seriously examined» dalle autorità bielorusse (§178).

Tornando al dibattito sui POS a livello europeo, ci si può chiedere, infine, quali siano per Strasburgo i contorni della sicurezza di un paese, e se questa sia perimetrata da profili “territoriali” e/o “personali”, secondo quanto inteso dalla Cassazione e dalla Corte di giustizia. Sul punto, la Corte Edu valuta la (in)sicurezza in termini assoluti, con riguardo alla situazione complessiva del paese e/o con riferimento allo specifico richiedente asilo. Lo si evince, ad esempio, dalla “giurisprudenza Dublino”, che ha fatto venire meno la presunzione generale che fungeva da perno del sistema europeo comune d’asilo: gli Stati membri dell’Ue non sono sempre e necessariamente “sicuri” per i richiedenti asilo. La praticabilità del “trasferimento Dublino”, pertanto, va valutata caso per caso, dovendo essere esclusa qualora nello Stato membro di destinazione vi siano criticità sistemiche (M.S.S. c. Belgio e Grecia, §§346-50), ovvero individuali, con riguardo al particolare richiedente “dublinato” (Tarakhel c. Svizzera, §§116-122).

Nella definizione del perimetro della sicurezza di un paese non sembrano rilevare, almeno espressamente, profili di natura territoriale. La Corte di Strasburgo si ricollega al parametro del (mal)funzionamento complessivo dell’apparato nazionale di accoglienza e asilo senza particolari distinzioni geografico-territoriali (ad Atene così come nelle isole greche; a Lampedusa così come a Trieste). Se vengono riscontrate criticità di portata sistemica (in termini di gravità e ripetitività, sebbene anche localizzate e non estese all’intero territorio) il trasferimento del richiedente non può avere legittimamente luogo. Così in M.S.S., la Grecia si poneva sotanzialmente come paese integralmente insicuro, per fattori come «the practical difficulties involved in the application of the Dublin system…, the deficiencies of the asylum procedure and the practice of direct or indirect refoulement on an individual or a collective basis» (M.S.S., cit., §347). Ne era derivato l’obbligo di “disapplicare” i criteri Dublino che designavano la Grecia come paese competente (e quindi sicuro) per i richiedenti asilo, dovendosi viceversa applicare la “clausola di sovranità”, norma che consente lo spostamento di responsabilità per l’esame della domanda di protezione, in deroga ai criteri generali, sul paese presso cui il richiedente si trova (nel caso di specie, il Belgio, ex art. 3.2. del regolamento Dublino allora vigente).

A livello personale, infine, particolari categorie soggettive di richiedenti possono rendere un paese non sicuro nei loro confronti, senza tuttavia intaccarne la “sicurezza” complessiva. In Tarakhel, l’Italia era considerabile come paese generalmente sicuro, ma non per la peculiare categoria dei ricorrenti (minori accompagnati da genitori). In questo caso, per la Corte Edu, il trasferimento era astrattamente possibile, a patto che le autorità procedenti si assicurassero che ai richiedenti fosse garantita una «special protection» in ragione della loro specifica condizione personale («the applicants will be received in facilities and in conditions adapted to the age of the children, and that the family will be kept together», Tarakhel, cit., §§117-118).

Considerazioni conclusive

Il concetto di POS nell’Unione europea si trova a un punto di svolta, in prospettiva normativa e giurisprudenziale. Normativa, stante l’avvicendamento della nuova disciplina di diritto secondario sulle procedure d’asilo (che muta anche tipologia: da direttiva a regolamento, applicabile da giugno 2026). Giurisprudenziale, in quanto la Corte di giustizia è stata chiamata a gran voce a fornire un chiarimento sugli esatti contorni della nozione di POS e, in particolare, sul profilo delle eccezioni territoriali e personali. Di queste eccezioni, in Italia, viene data una lettura differente: vari tribunali ordinari optano per l’equiparazione; mentre la Corte di Cassazione le considera distinte, secondo quanto “suggerito” alla Corte di giustizia nell’ordinanza non decisoria del 30 dicembre 2024. D’altro canto, la Corte Edu fornisce alcuni spunti giurisprudenziali che potrebbero contribuire a meglio tracciare la nozione europea di POS.

In un complesso scenario di cause pendenti e diritto in fase di evoluzione, rispetto al controverso tema dei POS sembra, però, potersi ricavare una conclusione, su cui le corti di Roma, Lussemburgo e Strasburgo sono concordi: nessun elenco, a qualsiasi livello formulato, nazionale o sovranazionale, può impedire ad un giudice di ascoltare le ragioni di chi ritenga di essere perseguitato per ragioni attinenti la sua condizione personale.

Previous post

Trick or T(h)reat: disinformazione online e minacce ibride nel panorama europeo. Alcune considerazioni alla luce dell’annullamento delle elezioni in Romania.

Next post

This is the most recent story.

The Author

Francesco Luigi Gatta

Francesco Luigi Gatta

No Comment

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *