Stickydiritto internazionale pubblicoGlobal South

Un racconto del diritto internazionale nella musica pop. B side: heavy metal

Gianpaolo Maria Ruotolo (Università di Foggia)*

(segue)

3. Il diritto internazionale nel contesto heavy metal: una breve introduzione

Le rappresentazioni culturali del diritto, e del diritto internazionale in particolare, sono innumerevoli e variegate. Vanno da quelle scritte, pensate e fruite dai professionisti, come manuali, lavori scientifici, sentenze, a quelle che raccontano del diritto internazionale nei più diversi contesti culturali, come musica, fumetti, letteratura (va detto che i romanzi scritti da Philippe Sands sono del tutto particolari, poiché il loro Autore, prima di essere uno scrittore, è un internazionalista, che in essi narra storie familiari profondamente legate ad eventi storici in cui il diritto internazionale gioca un ruolo centrale), cinema (su quest’ultimo, anche per alcune considerazioni metodologiche più generali e anche molto critiche, v. Gradoni), e così via.

Ciò che cercherò di fare ora è capire se l’heavy metal, come genere musicale complessivamente inteso, prevede una rappresentazione del diritto internazionale in qualche modo “orientata”, cioè se ricostruisce quel fenomeno giuridico (o, più precisamente, alcuni dei suoi elementi fattuali) con l’intento di metterne in luce solo alcuni aspetti, positivi o negativi che siano.

Questa, lo so, non è certo una peculiarità della rappresentazione del fenomeno in ambito musicale, poiché approcci simili vengono utilizzati nei contesti più diversi: si pensi al caso della politica, con narrazioni parziali volte a promuovere il cambiamento di un certo contesto di potere o il suo mantenimento, come nel caso dei sovranismi.

Proverò quindi a capire se e soprattutto come un determinato approccio musicale possa influenzare il modo in cui certe questioni regolate dal diritto internazionale – e quindi indirettamente il diritto internazionale stesso – sono “narrate” nel contesto della musica estrema.

Ovviamente, il contesto sociale, culturale ed economico in cui un fenomeno nasce, cresce e si sviluppa ne influenzano in modo significativo le caratteristiche di fondo: qui basti ricordare che l’heavy metal nasce nel mondo occidentale, in particolare in quello anglosassone, e si caratterizza per la volontà di reagire all’autorità costituita (si ascoltino i britannici Judas Priest, Breaking the law, 1980), di esprimere il disagio di determinate classi sociali, in particolare quelle appartenenti alla classe operaia bianca, o di enfatizzare il potere, anche a fini parodistici o critici (si ascoltino i newyorkesi Anthrax, I am the law, 1986, brano ispirato al personaggio dei fumetti del Giudice Dredd).

Però, quando il genere si diffonde su tutto il pianeta e quindi diventa “globale” (e questo accade a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso), e soprattutto quando arriva in aree socialmente e culturalmente molto diverse da quelle di origine, come l’Europa dell’Est, l’Africa, l’Asia o il Sud America, assume caratteristiche altre, che, sfruttandone l’atteggiamento di protesta, gli fanno assumere una funzione sociale alquanto diversa da quella dei contesti di origine.

Queste caratteristiche influenzeranno, come vedremo, il modo in cui vengono raccontati fatti giuridicamente rilevanti, e in particolare quelli di rilevanza internazionale.

Inoltre, il maggiore o minore successo di un genere musicale in un determinato ambito geopolitico è molto significativo: l’enorme popolarità dell’heavy metal – che è invece sempre rimasto un genere di nicchia in Occidente – in Paesi in via di sviluppo come India, Polonia, Bielorussia, Estonia e Lituania e in tutte le ex-repubbliche sovietiche, ma anche in molti Paesi del Medio Oriente (dove è peraltro spesso vietato), indica un desiderio di cambiamento sociale, di occidentalizzazione o una risposta/reazione alla globalizzazione (quest’ultimo, come vedremo, è un tema ricorrente di certo heavy metal brasiliano).

Devo ribadire che il mio approccio sarà casistico e trasversale ai “sottogeneri” del metal, poiché i limiti di questo lavoro non mi consentono di effettuare una suddivisione specifica basata su questi ultimi.

4. Il diritto internazionale nell’heavy metal: alcuni casi dal Global North

Ogni strumento sociale che miri a mantenere l’ordine e valorizzare lo status quo, come l’ordinamento internazionale, si caratterizza per una tendenza a reprimere il disordine: ciò diviene particolarmente evidente, nel caso del diritto internazionale, con il divieto generalizzato della minaccia e dell’uso della forza.

La musica heavy metal porta invece proprio il disordine in primo piano, rinvigorendolo e celebrandolo attraverso il suo suono. Contrariamente alle canzoni non-metal di cui ho parlato nella A Side, le quali in genere rifiutano la violenza associata alla guerra, molte band heavy metal, anche a causa delle caratteristiche musicali del genere, compongono infatti tracce che descrivono vividamente azioni militari: queste spesso ritraggono soldati impegnati in combattimenti, i quali mostrano coraggio e resilienza mentre operano dietro le linee nemiche o partecipano a contrattacchi, assedi militari, bombardamenti e manovre (Hill, Spracklen (eds), Heavy Fundametalisms: Music, Metal and Politic). Ora, mentre le rappresentazioni della guerra da parte di alcune band heavy metal, appunto, appaiono come tentativi di rappresentare e anche celebrare il caos e la distruzione senza esprimere al riguardo scetticismo o muovere critiche, altre adottano un approccio differente.

Gli Iron Maiden, band britannica tra i fondatori della c.d. New wave of british heavy metal, aprono sempre i loro concerti riproducendo la registrazione del discorso di Churchill del 4 giugno 1940:

We shall go on to the end, we shall fight in France, we shall fight on the seas and oceans, we shall fight with growing confidence and growing strength in the air, we shall defend our Island, whatever the cost may be, we shall fight on the beaches, we shall fight on the landing grounds, we shall fight in the fields and in the streets, we shall fight in the hills; we shall never surrender!

per poi eseguire diversi brani che affrontano temi legati al diritto internazionale, in particolare nel contesto dei conflitti armati e dei diritti umani, spesso esplorati attraverso narrazioni storiche.

Aces High (1984), ad esempio, narra le esperienze dei piloti della RAF durante la seconda guerra mondiale, sottolineando il costo psicologico e fisico della guerra e concentrandosi sul combattimento aereo, consapevole delle implicazioni giuridiche dei bombardamenti aerei e della necessità di protezione dei non combattenti.

There goes the siren that warns of the air raid

Then comes the sound of the guns sending flak

Out for the scramble, we’ve got to get airborne

Got to get up for the coming attack

Jump in the cockpit and start up the engines

Remove all the wheelblocks, there’s no time to waste

Gathering speed as we head down the runway

Got to get airborne before it’s too late

The Trooper (1983), ancora, trae ispirazione dalla Battaglia di Balaklava, un’azione militare intrapresa il 25 ottobre 1854 dalla cavalleria leggera britannica contro le forze russe durante la guerra di Crimea, che causò numerose vittime tra la cavalleria, e che fu celebrata anche nel poema di Alfred Tennyson The Charge of the Light Brigade (1854), pubblicato appena sei settimane dopo l’evento.

La canzone solleva interrogativi sulla condotta delle forze armate e sul rispetto dei principi di distinzione e di proporzionalità in guerra, che sono poi divenuti centrali grazie alle Convenzioni di Ginevra.

You’ll take my life, but I’ll take yours too
You’ll fire your musket, but I’ll run you through
So when you’re waiting for the next attack
You’d better stand, there’s no turning back

The bugle sounds, the charge begins
But on this battlefield, no one wins
The smell of acrid smoke and horses’ breath
As I plunge on into certain death

Run to the Hills (1982) affronta poi il tema dell’occupazione del Nord America e delle sue conseguenze sui nativi americani, con un approccio critico alla colonizzazione e alle violazioni dei diritti umani che l’hanno accompagnata.

White man came across the sea
He brought us pain and misery
He killed our tribes, he killed our creed
He took our game for his own need

We fought him hard, we fought him well
Out on the plains we gave him hell
But many came, too much for Cree
Oh, will we ever be set free?

Il diritto internazionale, come noto, si occupa dei diritti delle popolazioni indigene in documenti come la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni; la narrazione di Run to the Hills ci aiuta a ricordare gli obblighi che gli Stati hanno oggi nei confronti delle comunità indigene, in particolare in termini di autodeterminazione e preservazione culturale.

Ancora più legata al diritto internazionale, in particolare al contesto dei conflitti armati e al diritto internazionale umanitario, è la musica della band svedese Sabaton, che tratta esclusivamente di temi storici e militari, al punto da aver aperto un canale YouTube, che narra proprio il contesto storico di ogni loro canzone. Ebbene, le canzoni dei Sabaton, che riflettono sulle esperienze dei soldati e sulle complessità giuridiche della guerra, possono fungere da lente attraverso cui esaminare le implicazioni del diritto internazionale umanitario (DIU).

Gli esempi potrebbero essere molti.

Per citarne uno, Christmas Truce (2021) è un toccante omaggio alla nota “tregua di Natale”, una serie di cessate il fuoco non ufficiali che si verificarono nei giorni intorno al Natale del 1914 in varie zone del fronte occidentale della prima guerra mondiale. Già la settimana prima di Natale, alcuni soldati delle truppe tedesche e britanniche di stanza su lati opposti del fronte iniziarono, andando contro la volontà dei rispettivi comandi e quindi degli Stati, a scambiarsi saluti e canti natalizi e attraversare le linee per portare regali ai soldati di stanza dall’altra parte. La vigilia di Natale e il giorno di Natale stesso, poi, un gran numero di soldati delle unità tedesche e britanniche (e, in misura minore, francesi) lasciarono spontaneamente le trincee per incontrarsi nella terra di nessuno per fraternizzare, scambiarsi cibo e doni, oltre a celebrare cerimonie religiose e funebri comuni per i caduti, e improvvisare addirittura partite di calcio.

Silence

Oh, I remember the silence

On a cold winter day

After many months on the battlefield

And we were used to the violence

Then all the cannons went silent

And the snow fell

Voices sang to me from no man’s land

And today we’re all brothers

Tonight we’re all friends

A moment of peace in a war that never ends

Today we’re all brothers

We drink and unite

Now Christmas has arrived and the snow turns the ground white

Hear carols from the trenches, we sing O holy night

Our guns laid to rest among snowflakes

A Christmas in the trenches, a Christmas on the front far from home

Come noto, il DIU è l’insieme di norme di diritto internazionale che mirano a limitare gli effetti dei conflitti armati; esso protegge principalmente le persone che non partecipano o non partecipano più alle ostilità e limita i mezzi e i metodi di guerra. Una sua parte importante è contenuta nelle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 che sono state sviluppate e integrate da due ulteriori accordi: i Protocolli aggiuntivi del 1977 relativi alla protezione delle vittime dei conflitti armati. Molte disposizioni del diritto internazionale umanitario sono ora accettate come diritto internazionale generale.

Anche la canzone Angel of Death (1986) degli Slayer, band di Los Angeles tra i fondatori del thrash-metal, contiene una provocatoria descrizione di questioni profondamente collegate al diritto internazionale umanitario e non solo, poiché narra con dovizia di dettagli le atrocità commesse dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, con attenzione particolare agli esperimenti disumani condotti sui prigionieri da Josef Mengele ad Auschwitz, illustrandone vividamente i crimini di guerra e contro l’umanità:

Auschwitz, the meaning of pain

The way that I want you to die

Slow death, immense decay

Showers that cleanse you of your life

Forced in like cattle, you run

Stripped of your life’s worth

Human mice, for the Angel of Death

Four hundred thousand more to die

Pumped with fluid, inside your brain

Pressure in your skull begins pushing through your eyes

Burning flesh, drips away

Test of heat burns your skin, your mind starts to boil

Frigid cold, cracks your limbs

I crimini contro l’umanità e i crimini di guerra sono oggi entrambi contemplati nello Statuto della Corte Penale Internazionale (CPI), che definisce chiaramente entrambe le categorie agli art. 7 e 8. La differenza principale tra i due risiede nella loro natura e nelle circostanze in cui vengono commessi: mentre i primi, che non sono necessariamente legati a un conflitto armato, sono costituiti da attacchi estesi o sistematici contro una popolazione civile con la consapevolezza dell’attacco, e possono includere atti come l’omicidio, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione o il trasferimento forzato della popolazione, la prigionia o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale, la tortura, lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione forzata o qualunque altra forma di violenza sessuale di analoga gravità, la persecuzione contro un gruppo o una collettività, la sparizione forzata di persone, l’apartheid, i secondi sono rappresentati da infrazioni gravi delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, che si sostanzino in omicidio volontario, tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici, il cagionare volontariamente grandi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute, la vasta distruzione e appropriazione di beni non giustificata da necessità militari e compiuta illegalmente ed arbitrariamente, il costringere un prigioniero di guerra o altra persona protetta a prestare servizio nelle forze armate di una potenza nemica, il privare volontariamente un prigioniero di guerra o altra persona protetta del suo diritto ad un equo e regolare processo, la deportazione, il trasferimento o la detenzione illegali, la presa di ostaggi. Nella categoria rientrano poi anche le violazioni di altri obblighi, di diritto internazionale generale (l’elenco qui).

I Metallica, probabilmente la band heavy metal più famosa al mondo, nella loro One(1988, ispirata ad un romanzo del 1938, Johnny Got His Gun di Dalton Trumbo), raccontano la storia di un soldato della prima guerra mondiale che, ferito da una mina, perde gli arti e i sensi, rimanendo intrappolato nel suo corpo. Non solo i testi, ma anche la musica racconta il dramma di questo soldato, passando da una cupa riflessione sulla sua condizione a un potente crescendo che, mostrando non solo le ferite fisiche subite ma anche le cicatrici psicologiche che le accompagnano, trasmette all’ascoltatore l’intensità della angoscia del militare, sottolineando la brutalità della guerra, senza alcuna glorificazione del combattimento.

Darkness imprisoning me

All that I see

Absolute horror

I cannot live

I cannot die

Trapped in myself

Body my holding cell

Landmine has taken my sight

Taken my speech

Taken my hearing

Taken my arms

Taken my legs

Taken my soul

Left me with life in hell

Il diritto internazionale proibisce l’uso delle mine antiuomo attraverso la Convenzione sulla proibizione dell’uso, dello stoccaggio, della produzione e del trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione, firmata a Ottawa nel 1997. La Convenzione, ad oggi ratificata da 156 Stati, impone una serie di obblighi volti a limitare le gravi conseguenze umanitarie e ambientali delle mine antiuomo, che continuano a causare vittime civili anche anni dopo la fine dei conflitti. Le mine antiuomo producono, infatti, un impatto indiscriminato, colpendo non solo i soldati ma anche i civili, in particolare donne e bambini, e ostacolano la ricostruzione delle società colpite dalla guerra. Tuttavia, non tutti i Paesi hanno aderito al trattato: ad esempio, gli Stati Uniti, pur avendo adottato politiche per limitare l’uso delle mine antiuomo, non hanno ratificato la Convenzione, mantenendo una posizione ambivalente riguardo all’uso delle mine in contesti specifici.

Anche Holy Wars… The Punishment Due (1990) dei Megadeth rappresenta un commento sulle complessità della guerra, qui nel contesto dei conflitti religiosi e, già nel titolo, racchiude l’ambivalenza della guerra santa e le conseguenze che derivano da tali conflitti. La canzone riflette le dimensioni storiche e psicologiche della guerra, in particolare il modo in cui la religione può essere manipolata per giustificare un atto di aggressione (qui la definizione adottata dall’Assemblea generale; il relativo crimine è punito dall’art. 5 dello Statuto della CPI). Come noto, il concetto di guerra santa è stato storicamente letto come una sanzione divina, come una forma di punizione o protezione. La narrazione contenuta nella canzone può essere utilizzate per illustrare le conseguenze devastanti che le ideologie religiose possono avere, riecheggiando i sentimenti sulle implicazioni umanitarie della guerra, dove la giustificazione degli interventi militari spesso porta ad abusi.

Brother will kill brother, spilling blood across the land
Killing for religion, something I don’t understand
Fools like me who cross the sea and come to foreign lands
Ask the sheep for their beliefs, ‘Do you kill on God’s command?’

A country that’s divided, surely will not stand
My past erased, no more disgrace, no foolish naïve stand
The end is near, it’s crystal clear, part of the master plan
Don’t look now to Israel, it might be your homeland

Holy wars

La canzone solleva anche la questione del rapporto tra libertà religiosa e sicurezza internazionale. Va detto che la prassi recente del Consiglio di sicurezza, almeno nel contesto del terrorismo internazionale, sembra leggere sempre più di frequente la religione, o almeno alcune sue visioni radicali – anche se non apertamente, e anzi spesso con una serie di clausole relative alla non attribuzione del terrorismo a nessuna religione o cultura, che, bisogna dirlo, suonano spesso come excusationes non petitae – come un elemento di rischio per la sicurezza internazionale, e quindi di minaccia alla pace (per un’analisi mi permetto di rinviare qui).

Mentre la libera espressione delle convinzioni rientra senza dubbio nel contesto della libertà religiosa internazionalmente tutelata, il fanatismo religioso, soprattutto nelle sue forme più radicali, potrebbe infatti non essere compatibile nemmeno con un’interpretazione ampia dei diritti fondamentali tutelati dal diritto internazionale: se, da un lato, la prassi più recente del Consiglio di sicurezza non legittima in alcun modo il legame tra terrorismo e religioni, dall’altro, ciò non pare valere per alcune forme estreme di espressione religiosa, che implicano la totale soppressione dei diritti altrui, in particolare del diritto alla vita. Va chiarito ciò non è applicabile sic et simplicter a una religione che limiti i diritti fondamentali così come sono concepiti nel contesto occidentale (si pensi, ad esempio, al rapporto di alcune religioni con la libertà delle donne), ma solo quando le forme di espressione, organizzazione e imposizione di un dato sentimento religioso abbiano un impatto negativo sul nocciolo duro dei diritti fondamentali, e in particolare sul diritto alla vita. In tali casi, è probabile che ci si trovi di fronte ad un esercizio abusivo della libertà religiosa, che, come è noto, si verifica quando un diritto viene esercitato dal suo titolare in modo manifestamente incompatibile o contrario allo scopo per cui è stato concepito e riconosciuto.

Passando al black metal, un sottogenere emerso in Norvegia nei primi anni ‘90 e tristemente famoso per i sanguinosi eventi che si sono verificati nel c.d. inner circle, esso è caratterizzato da ritmi veloci, uno stile vocale stridente, chitarre fortemente distorte suonate con la tecnica del c.d. tremolo picking, registrazioni lo-fi, strutture di canzoni non convenzionali, temi trasgressivi, sentimenti anti-establishment e un rapporto profondo con la natura e l’ambiente.

I fondamenti estetici e ideologici di questo genere possono essere giustapposti al diritto internazionale ambientale, e al più ampio impatto delle espressioni culturali sulla coscienza ambientale: uno dei dischi più influenti del genere è intitolato A blaze in the northern sky (Darkthrone, 1991), un’altra band norvegese porta il nome di Carpathian Forest, sulle copertine degli album black metal sono spesso raffigurati paesaggi idealizzati, con fotografie granulose scattate di notte che mostrano alberi e neve, come in Under a Funeral Moon dei Darkthrone (1993) o foto naturalistiche, come quella per l’album Frost degli Enslaved (1994), che mostra un fiordo avvolto nella nebbia.

L’approccio ultraconservatore del genere alla natura, rappresentato nei testi e nella sua iconografia, riflette un profondo legame con l’ambiente che è anche al centro delle attenzioni del diritto internazionale dell’ambiente, che adotta un approccio precauzionale volto a bilanciare gli interessi economici con la sostenibilità ecologica. Il genere può quindi servire come piattaforma per aumentare la consapevolezza sulle questioni ecologiche e la sua attenzione tematica sulla natura e la ribellione fornisce una lente unica attraverso cui esaminare la relazione tra espressioni culturali e diritto internazionale ambientale.

Più di recente, forti preoccupazioni ambientali ispirano la musica dei Gojira, band death metal francese che di recente ha raggiunto livelli di fama planetaria per aver suonato in occasione dell’apertura dei giochi olimpici parigini del 2024. In Amazonia (2021):

Burn

Another Gold mine is unveiled

The source of our sorrow

Learn

Embedded in these walls of green

Is the curse that we follow

There’s fire in the sky

You’re in the Amazon

The greatest miracle

Is burning to the ground

Ciò riflette anche una tendenza più ampia nel diritto internazionale ambientale, in cui le narrazioni culturali, ivi comprese quelle musicali, possono influenzare la percezione pubblica e l’elaborazione delle politiche sulle questioni ambientali.

Nel caso degli Orphaned Land, band israeliana, poi il delicatissimo e oggi particolarmente drammatico tema della convivenza israelo-palestinese viene affrontato, prima ancora che nei testi, anche e forse soprattutto nella musica: la band propone infatti un death metal con forti influenze orientali e folk sia arabe sia israeliane (elementi musicali mizrahi e maghrebini, arabi, turchi e altri mediorientali e nordafricani, con particolare influenza della musica ebraica yemenita e, nei loro primi anni, di quella marocchina, oltre che della musica sefardita e di altre sonorità mediterranee. Hanno inserito anche versioni metalizzate di vari piyyutim in tutti i loro album).

Nel videoclip di Like Orpehus la band racconta la convivenza israelo-palestinese attraverso la comune passione dei giovani di entrambi gli Stati per l’heavy metal:

And this life is the pain of being born

Man, child and woman all are one

I sing before you all

5. (segue): alcuni casi dal Global South

Come ho già detto, la musica heavy metal si è ormai evoluta in un fenomeno globale, con scene distinte che emergono in varie regioni, tra cui il Sud del mondo, dove l’approccio riflette i contesti culturali, sociali e politici locali, che differiscono significativamente da quelli delle zone di origine del genere, gli Stati occidentali.

Come vedremo da alcuni esempi, nel Global South l’heavy metal è infatti spesso servito come strumento di resistenza a regimi politici oppressivi e ingiustizie sociali: in Paesi come la Turchia, ad esempio, è stato un veicolo per esprimere dissenso contro l’autoritarismo e si è intrecciato con la ricerca di identità portata dalle sfide della democratizzazione, contribuendo all’articolazione di punti di vista culturali che hanno sfidato le narrazioni religiose e nazionaliste prevalenti.

È appena il caso di ribadire, poi, come l’espressione musicale sia condizionata dall’effettività dei diritti fondamentali: in questo senso la storia degli Acrassiscauda, la prima band metal irachena, è paradigmatica. Formatasi a Baghdad nel 2001, la band emerge come un significativo fenomeno culturale sullo sfondo della guerra e dei disordini sociali ed è protagonista del documentario Heavy Metal in Baghdad che ne ha raccontato lotte e aspirazioni e ha evidenziato la posizione unica dei musicisti metal iracheni all’interno della più ampia comunità heavy metal. Le esperienze della band riflettono infatti un più ampio ruolo della musica nelle zone di conflitto, in particolare quella medio-orientale, con riguardo alla quale è forse il caso di ricordare come, i talebani, durante il loro primo periodo al potere in Afghanistan (1996-2001) avessero proibito strumenti come il pianoforte, il flauto e il liuto, e l’ISIS, in Siria e Libia, abbia analogamente cercato di eradicare strumenti come il sassofono, la batteria e la tastiera, considerati “non islamici”.

Anche la band brasiliana Sepultura ha spesso affrontato temi di competenza del diritto internazionale, in particolare nel contesto della decolonizzazione, dei diritti dei popoli indigeni, dei diritti umani, delle preoccupazioni ambientali.

Ad esempio, il loro album Roots (1996) esplora le lotte dei popoli indigeni del Brasile e l’impatto del colonialismo.

Kaiowas (1993), poi,è un brano strumentale ispirato da una tribù indiana brasiliana che viveva nella foresta pluviale e, che stando alle note di copertina dell’album, “committed mass suicide as a protest against the Brazilian government… who took away their land and beliefs”. Il realtà la tribù, in una lettera inviata al Governo brasiliano per protestare contro l’adozione di un’ordinanza giurisdizionale che le imponeva di abbandonare le terre sulle quali era da sempre stanziata, dichiarava solo di esser pronta ad accettare la propria estinzione (la storia è anche narrata in un film del 2020, “My blood is red”).

L’impegno dei Sepultura verso le questioni ambientali è evidente anche in altri brani, come Territory (1993), che critica lo sfruttamento delle risorse naturali, il fenomeno dell’accaparramento del territorio e le conseguenze di tali azioni sulle comunità locali.

Unknown man
Speaks to the world
Sucking in your trust
A trap in every word

War for territory
War for territory

Il diritto internazionale affronta il fenomeno del land grabbing attraverso vari strumenti e meccanismi (v. Nino) volti a regolamentare l’acquisizione di terreni, proteggere i diritti umani e promuovere lo sviluppo sostenibile. Il fenomeno, spesso caratterizzato da acquisizioni di terreni su larga scala da parte di entità straniere o élite locali, ha sollevato infatti preoccupazioni in merito alle violazioni dei diritti umani e alla sostenibilità ambientale: l’accaparramento di terre spesso porta anche a pratiche agricole non sostenibili, con conseguente degrado ambientale e perdita di biodiversità.

Il diritto internazionale riconosce quindi la terra come una risorsa critica, che deve essere gestita in modo responsabile. Le Nazioni Unite hanno istituito meccanismi per monitorare e affrontare le violazioni dei diritti umani associate alle acquisizioni di terreni su larga scala e i treaty bodies documentato numerosi casi di violazioni dei diritti umani associate all’accaparramento di terreni, evidenziando la necessità di strumenti di protezione delle popolazioni vulnerabili.

Tuttavia le differenze di regolamentazione interna delle transazioni fondiarie possono facilitare o ostacolare l’accaparramento di terre. In molti Paesi in via di sviluppo, ad esempio, la scarsa tutela prevista per i piccoli proprietari terrieri, unita alla corruzione degli organi dello Stato, crea un ambiente favorevole all’accaparramento e allo sfruttamento.

Il tema del rapporto tra popolazione e territorio viene affrontato anche da un altro gruppo thrash metal brasiliano, i Tamuya Thrash Tribe, che addirittura intitolano uno dei loro brani con un principio di diritto internazionale come l’Uti Possidetis (2016).

Leave these lands

They still refuse

They want to die

With stupid pride

This war for territory

Will have to end

The kings agreed

To exchange our lands

We’ve been living here

For so many years

While they drink their wines

In golden glasses

But this is where we want to be

This is the land of the Guaranys

They should know this land was given to us

And freely we shall give to our heirs

Leave these lands

We still refuse

If we have to die

We’ll die with pride

Come noto, il principio dell’uti possidetis, chenasce nel contesto della decolonizzazione per la definizione dei confini statali, originariamente in America Latina, stabilisce che i gli Stati di nuova indipendenza ereditano i confini territoriali già fissati dalla madrepatria. Il principio, che mira a evitare conflitti e ad assicurare stabilità nelle relazioni tra nuovi Stati, è stato anche fortemente criticato per aver perpetuato confini artificiali, che non riflettono le realtà sociali e culturali dei popoli.

In Biotech is Godzilla (1993) i Sepultura affrontano ancora questioni ambientali facendo riferimento al Vertice di Rio del 1992:

Rio Summit, ‘92

Street people kidnapped, hid from view

‘To save the Earth’, our rulers met

Some had other secret plans

Strip-mine the Amazon

Of cells of life itself

Gold rush for genes is on

Natives get nothing

Come noto, il Summit di Rio, la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, si è tenuto a Rio de Janeiro (Brasile) nel giugno 1992 e ha rappresentato una delle tappe fondamentali del processo di cooperazione ambientale internazionale. Ha coinvolto 172 governi, 108 capi di Stato e numerose organizzazioni non governative, e ha prodotto la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, con la quale sono stati stabiliti alcuni principi chiave del diritto internazionale ambientale. Secondo la Dichiarazione, l’unico modo per raggiungere una crescita economica a lungo termine è garantire che essa sia indissolubilmente legata alla tutela ambientale. In particolare, il Principio 7 sottolinea come gli Stati abbiano responsabilità “comuni ma differenziate” nel processo di cooperazione verso la tutela e il ripristino degli ecosistemi, e il Principio 15 richiede l’uso di un approccio precauzionale nella tutela dell’ambiente.

L’Africa, come per ogni altro contesto, è troppo grande e frammentata per essere affrontata in maniera unitaria, anche quando si parla di heavy metal; quindi mi limiterò qui a qualche esempio: c’è da dire che proprio i brasiliani Sepultura sono una delle influenze più notevoli nella scena heavy metal africana, sotto la quale si è evoluta la scena locale.

La scena metal nigeriana ha visto l’ascesa di band come Blood Covenant e The Toads, che incorporano lingue e temi locali nella loro musica, affrontando temi come la corruzione, la disuguaglianza sociale e l’impatto del colonialismo.

Meritano qualche parola in più gli Arka’n Asrafokor, band del Togo che ha ottenuto riconoscimenti per la sua miscela unica di musica tradizionale togolese e metal. Il nome della band, che si traduce in “Il suono del popolo”, riflette il suo impegno nell’affrontare problemi sociali e di identità culturale attraverso la musica; anche il contenuto dei loro testi spesso ruota attorno a temi come la giustizia sociale, le lotte politiche e soprattutto l’importanza del patrimonio culturale tradizionale, come in Tears of the dead.

Passando velocemente al continente asiatico, e lasciando da parte Cina e Giappone, troviamo The Hu, un gruppo folk metal mongolo formatosi nel 2016 a Ulan Bator, che ha recentemente raggiunto fama mondiale e che fonde sonorità metal con quelle tradizionali mongole, di cui utilizza anche gli strumenti e la lingua: nei suoi brani (si ascolti ad esempio la loro Yuve Yuve Yu,“Il canto dell’eterno”, del 2019) il gruppo esprime con forza l’orgoglio delle proprie origini e la necessità di non subire passivamente l’influenza occidentale quindi focalizzando l’attenzione dell’ascoltatore sulla necessità di tutelare il patrimonio culturale delle popolazioni indigene.

6. Una (piccola) conclusione

L’indagine che sto conducendo mi pare suggerire come la musica heavy metal dimostri una frequentazione molto più assidua con le questioni di diritto internazionale rispetto alla musica pop non-metal, probabilmente a causa delle caratteristiche musicali del genere e del suo approccio cosmopolita.

Inoltre, credo che si possa evidenziare una differenza di approccio tra gli artisti del metallo di origine occidentale e gli altri. Si tratta, ovviamente, di una linea di tendenza, della quale possono essere tracciate eccezioni.

I primi, ad ogni modo, sembrano adottare, se complessivamente intesi, approcci in linea con interpretazioni “tradizionali” del diritto internazionale, visto come un insieme di regole sostanzialmente cristallizzate che dovrebbero essere essenzialmente applicate, piuttosto che modificate (Hegemonic International Law); le posizioni critiche espresse anche in questo contesto paiono però paiono mosse da intenti anch’essi egemoni, in qualche modo (v., ad es., i Megadeth di United Abominations del 2007).

Le band provenienti dai Paesi del Global South, invece, propongono una narrazione di reazione alle strutture di potere esistenti nel diritto internazionale, viste come volte a perpetuare le disuguaglianze storiche e contemporanee tra il Nord e il Sud del mondo. Per loro, quindi, il diritto internazionale non è un sistema neutrale di regole per la coesistenza tra Stati sovrani, in quanto storicamente plasmato da dinamiche coloniali che persistono ancora oggi.

Questa interpretazione mi pare più simile alle prospettive avanzate dalla dottrina contemporanea nota come Third World approaches to international law (TWAIL).

Questa scuola di pensiero critica, pur non essendo del tutto omogenea, costituisce, come noto, un movimento sia intellettuale che politico che interpreta il diritto internazionale come un meccanismo che perpetua lo sfruttamento del Terzo Mondo mantenendo la sua subordinazione alle potenze occidentali: gli studiosi affiliati al TWAIL, spesso indicati come TWAILers, mirano ad affrontare e riformare ciò che percepiscono come una dimensione oppressiva del diritto internazionale, rivisitandone i fondamenti coloniali.

È stato pure notato, però, che il movimento TWAIL stesso è stato significativamente influenzato da studiosi provenienti da Europa e Nord America, e che una parte sostanziale della dottrina con questo approccio origina e viene diffusa all’interno del Nord globale. In questo credo che si possa individuare una somiglianza con le correnti heavy metal provenienti dal Sud del mondo, che, come abbiamo visto, utilizzando un genere nato nel Nord del mondo, anglosassone, ma che poi si è diffuso nel Sud, recependone le istanze.

* Alcuni passaggi di questo lavoro sono stati esposti nel corso di due seminari che ho tenuto il 18 novembre 2024 nell’Università Roma Tre (ringrazio Giulio Bartolini per l’invito) e il 27 novembre 2024 nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (ringrazio Francesca Benatti e Giuseppe Portonera). Per l’idea di suddividere il testo in due “facciate”, come se fosse un vinile, sono debitore a Diego Mauri.

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Gianpaolo Maria Ruotolo

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