LA MISSIONE EUNAVFOR ASPIDES DELL’UNIONE EUROPEA E L’APPLICAZIONE RATIONE TEMPORIS DEL DIRITTO DI LEGITTIMA DIFESA
Eugenio Carli (Università di Siena)
Introduzione
Il 19 febbraio l’Unione europea (UE) ha avviato EUNAVFOR Aspides, un’operazione militare di sicurezza marittima in risposta alla crisi attualmente in atto nel Mar Rosso. La missione – guidata dalla Grecia, che fornisce il comandante dell’operazione (livello militare-strategico), mentre l’Italia detiene il comando della forza (livello operativo e tattico) – rientra nell’ambito della Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) dell’UE, quel settore che «costituisce parte integrante» della Politica estera e di sicurezza comune e in base al quale l’UE può utilizzare mezzi civili e militari forniti dagli Stati membri «per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale» al di fuori del territorio degli Stati membri (Trattato sull’UE, art. 42).
Com’è noto, sulla scia del conflitto scoppiato il 7 ottobre 2023 tra Israele ed Hamas, si è verificato un numero crescente di incidenti al largo delle coste dello Yemen, tra cui attacchi a navi civili e commerciali, nonché il sequestro e la detenzione di navi commerciali. Questi attacchi, già condannati dal Consiglio di sicurezza (qui e, più recentemente, qui), sono perpetrati dagli Houthi, un gruppo politico e religioso armato formatosi tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso (vedi qui e qui), che controlla quasi interamente la parte occidentale dello Yemen e si dichiara parte dell’«asse di resistenza» guidato dall’Iran contro Israele, gli Stati Uniti e il blocco occidentale in generale.
Aspides (dal termine greco aspís, ovvero «scudo») è parte degli sforzi compiuti a livello internazionale, tra cui le operazioni militari navali Atalanta, anch’essa varata nell’ambito della PSDC, e Prosperity Guardian, a guida statunitense, al fine di tutelare la libertà di navigazione nel Mar Rosso e nelle acque internazionali delle zone marittime adiacenti, compresi il Mar Arabico e il Golfo Persico. Secondo quanto dichiarato anche dall’Alto rappresentante Borrell, la missione «[d]ovrebbe rimanere di natura difensiva» (decisione PESC 2024/583 (qui anche «decisione»), considerando 8).
Lo scenario bellico che attualmente caratterizza il Mar Rosso solleva alcune questioni di diritto internazionale, per le quali si rimanda su questo blog a Zamuner. Il presente post intende svolgere alcune brevi riflessioni sulla questione dell’uso della forza in legittima difesa da parte del personale impiegato per la missione («Forze UE») sotto il profilo della sua applicazione ratione temporis, alla luce delle norme che regolano questo istituto e del quadro normativo di riferimento.
Il mandato, gli obiettivi e l’uso della forza consentito
L’obiettivo strategico di Aspides è quello di «garantire una presenza navale dell’Unione nell’area di operazioni al fine di garantire la libertà di navigazione per le navi, in stretta cooperazione con i garanti della sicurezza marittima che condividono gli stessi principi» (decisione, art. 1, par. 4). A tal fine, il personale UE dovrà: a) scortare le navi nell’area di operazioni (ovvero l’area entro la quale si svolgono i compiti demandati alla Missione); b) garantire la conoscenza della situazione marittima nell’area di operazioni; e c) proteggere le navi da attacchi multi-dominio in mare in una sottozona dell’area di operazioni (ibid., par. 5).
Il compito di cui alla lett. c), in particolare, deve essere eseguito «nel pieno rispetto del diritto internazionale, compresi i principi di necessità e proporzionalità». Se ne deduce, quindi, un richiamo implicito al diritto, per le Forze UE, di esercitare azioni in legittima difesa le quali, come noto, devono essere conformi a questi due princìpi previsti dal diritto internazionale consuetudinario. Tale norma deve essere letta in combinato disposto con il preambolo della decisione, in cui si afferma che le Forze UE «dovrebbero agire nel rispetto del diritto internazionale applicabile, compreso il diritto internazionale consuetudinario, ricorrendo anche all’autotutela, ove siano soddisfatte le condizioni, per difendersi da un attacco imminente o in corso nei confronti di navi proprie o di terzi» (decisione, considerando 8). Inoltre l’operazione dovrebbe agire nel pieno rispetto della Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS) (ibid.).
Pertanto, la decisione 2024/583 fa salvo il diritto delle Forze UE di agire in autotutela o, secondo il termine più comunemente usato nel linguaggio giuridico italiano, in legittima difesa, per respingere eventuali attacchi sferrati dagli Houthi in una particolare zona dell’area delle operazioni, in conformità a quanto stabilito dal diritto internazionale vigente in materia. È ampiamente noto, infatti, come sia l’occorrenza di un attacco armato, ovvero l’ipotesi più grave di violazione del divieto dell’uso della forza sancito dall’art. 2, par. 4 della Carta delle Nazioni Unite, a costituire il presupposto necessario affinché uno Stato o, secondo buona parte della dottrina (v. i riferimenti in Palchetti, p. 242, nota n. 1), un’organizzazione internazionale, come l’UE, possa agire in legittima difesa.
Le disposizioni contenute nella decisione 2024/583 trovano la propria base giuridica, a livello di diritto primario, nell’obbligo in capo all’UE di rispettare il diritto internazionale nella conduzione delle politiche, PSDC inclusa, che si svolgono al di fuori del proprio spazio giuridico (artt. 3, par. 5 e 21, par. 1 TUE). Altri documenti di natura strategica emanati dal Consiglio dell’UE ribadiscono quest’obbligo con riferimento alle azioni nel settore della sicurezza e della difesa, mentre solo alcuni di questi menzionano il diritto di legittima difesa dell’UE, senza però definirne i contorni applicativi. Tra questi atti rilevano la Strategia europea in materia di sicurezza del 2009, il Concetto dell’UE per l’uso della forza nelle operazioni a guida UE del 2010 (parzialmente declassificato), la Bussola strategica per la sicurezza e la difesa dell’UE del 2022 e la Strategia per la sicurezza marittima dell’UE riveduta dello scorso ottobre (EUMSS).
Quest’ultima, in particolare, fornisce un quadro di riferimento per l’azione dell’UE rispetto alle «security challenges at sea» (EUMSS, p. 5) e fa leva su alcuni princìpi (rimasti immutati rispetto alla precedente Strategia del 2014), tra cui il rispetto degli obblighi internazionali applicabili, comprendenti le norme sui diritti umani e sul diritto internazionale del mare (EUMSS, pp. 5 e 11). Tuttavia, la EUMSS nulla dice riguardo all’uso della forza consentito nello svolgimento di operazioni di sicurezza a guida europea in mare. Per quanto riguarda il Concetto del 2010, questo stabilisce che l’uso della forza da parte dell’UE, ivi inclusa la legittima difesa, deve essere conforme agli obblighi internazionali convenzionali e consuetudinari e alle decisioni delle organizzazioni internazionali competenti (Concetto, p. 6, par. 2). Un riferimento alla nozione di legittima difesa è contenuto, inoltre, nella Strategia del 2009, in cui si sostiene che questa si è sviluppata col tempo alla luce delle nuove minacce; se prima essa «si basava sulla minaccia dell’invasione», oggi «la prima linea di difesa [dell’UE] sarà spesso all’estero», con la conseguenza che l’UE dovrà essere pronta «ad agire prima che una crisi insorga», poiché «[l]a prevenzione dei conflitti e delle minacce non inizia mai troppo presto» (Strategia, p. 34). Se tale affermazione, di natura meramente politica, ben si concilia con il tenore della decisione 2024/583, nondimeno essa non fornisce alcuna indicazione a livello giuridico su come – ovvero, per quanto qui maggiormente interessa, quanto preventivamente – l’UE intenda esercitare il diritto di legittima difesa.
La portata di questo istituto nel quadro di Aspides, in mancanza di altri riferimenti normativi, può quindi basarsi esclusivamente sulla decisione istitutiva della missione e sulle norme del diritto internazionale (consuetudinario) applicabili in materia, di seguito analizzate.
Le diverse interpretazioni ratione temporis della norma e il ricorso (ampio) alla legittima difesa nella decisione di avvio della missione
La decisione 2024/583 prevede in maniera esplicita, per la prima volta nell’ambito delle missioni di PSDC, il ricorso all’uso della forza in legittima difesa da parte delle Forze UE. Gli atti relativi alle altre operazioni navali attualmente in corso (Atalanta e Irini), così come le missioni di natura militare (ad esempio, EUMAM Ucraina e Althea), contengono solo dei riferimenti generici all’obbligo di rispettare il diritto internazionale applicabile nello svolgimento della missione. Questo dato conferma la natura prettamente difensiva di Aspides. D’altra parte, come abbiamo visto, il diritto di legittima difesa che spetta alle navi europee è formulato in termini apparentemente estensivi, poiché potrà essere esperito anche in presenza di un attacco armato giudicato imminente (oltre che per difendere anche navi di terzi).
È noto l’annoso e amplissimo dibattito, nato soprattutto a partire dall’inizio di questo secolo, circa la possibilità di agire in legittima difesa prima che l’attacco armato abbia luogo. L’art. 51 della Carta ONU (specialmente nel testo autentico redatto in lingua inglese) lascia, infatti, aperte più interpretazioni circa il momento a partire dal quale si può ritenere che tale tipologia qualificata di attacco si sia realizzata e il soggetto colpito possa legittimamente reagire, stabilendo che il relativo diritto debba essere esercitato qualora un attacco armato «occurs» contro un Membro dell’ONU.
Col tempo si è fatta strada la tesi favorevole all’allargamento ratione temporis della possibilità di reagire in legittima difesa (c.d. anticipatory self-defence). Tale valutazione si collega direttamente all’accertamento del requisito, corrispondente al diritto internazionale consuetudinario, della necessità della legittima difesa, che prevede che l’uso della forza costituisca l’unica opzione per poter rispondere a, o eventualmente evitare, l’attacco armato (secondo quanto sancito dalla celebre «formula Webster»). La tendenza «espansionistica» dell’istituto de quo si deve soprattutto all’esigenza di rispondere a minacce provenienti anche da attori non statali (gruppi terroristici in primis), aventi a disposizione armi sempre più avanzate e distruttive, spesso messe a disposizione da Stati «alleati», che produrrebbero effetti devastanti se non previamente neutralizzate (Ronzitti, pp. 36-37). Questo è senz’altro vero anche per quanto riguarda gli Houthi, il cui arsenale bellico – costituito da missili da crociera, missili balistici antinave, droni kamikaze e, secondo presunte dichiarazioni rilasciate dal leader del gruppo Abdulmalik al-Houthi e dai suoi affiliati, anche da armi sottomarine e missili ipersonici – è aumentato esponenzialmente nel corso degli anni, grazie soprattutto al supporto dell’Iran.
Dovendo qui semplificare e fermo restando che la differenza tra le varie terminologie impiegate non è percepita in maniera uniforme nella prassi degli Stati e in dottrina, la nozione di anticipatory self-defence ha ricevuto almeno tre diverse interpretazioni, che sono di seguito sintetizzate.
La lettura maggiormente estensiva della norma di cui all’art. 51 della Carta ONU (incarnata dalla nota dottrina Bush) considera attacchi armati anche le minacce soltanto potenziali (c.d. preventive self-defence), ma ha ricevuto forti critiche (celebre l’opinione di Conforti, che definisce la dottrina Bush una «rozza espressione di forza, p. 448; v. anche, tra gli altri, Kolb) ed è da escludere la sua legalità ai sensi del diritto internazionale vigente.
Un certo consenso in seno alla comunità internazionale sembra, invece, essersi formato sulla legittimità di un’azione difensiva per rispondere ad attacchi, o minacce, imminenti (c.d. pre-emptive self-defence). Tuttavia, manca ad oggi una interpretazione generalmente condivisa del concetto di imminenza, nonché dei criteri utili a definirlo. Pertanto, tale consenso ad oggi non si traduce ancora, con ogni probabilità, nella formazione di una norma consuetudinaria ad hoc, venendo a mancare sia l’elemento della diuturnitas, sia soprattutto quello dell’opinio iuris (Ruys, p. 526). A tal proposito, né la Corte internazionale di giustizia nei casi principali in cui si è pronunciata sull’applicazione dell’istituto della legittima difesa (Nicaragua e Attività armate in Congo), né la Commissione del diritto internazionale (CDI) relativamente all’art. 21 del Progetto sulla responsabilità degli Stati del 2001 riguardante la legittima difesa, né il Concetto strategico della NATO del 2022, né, infine, per quanto qui maggiormente interessa, alcun atto dell’UE, hanno sinora fornito conferme al riguardo.
Ciò che forse il diritto internazionale ad oggi consente è una terza interpretazione dell’art. 51, meno estensiva delle altre due summenzionate, ovvero la c.d. interceptive self-defence (v., ad es., Ruys, p. 527). Questa consiste nel diritto di esercitare la legittima difesa di fronte ad un attacco già sferrato, ma che non abbia ancora colpito il bersaglio o, per meglio dire, non abbia ancora prodotto conseguenze materiali (Dinstein, pp. 231-234). È quindi pur sempre attorno al concetto di «imminenza» che ruota il concetto; tuttavia, a differenza della pre-emptive self-defence, in cui la minaccia è sì imminente ma ancora inattuata, in questo caso la capacità e l’intento offensivi dell’attaccante sono accompagnati anche da specifiche misure di attuazione.
Nel caso di Aspides, come si è detto, non è noto come l’UE interpreti la nozione di «attacco imminente» utilizzata nella decisione 2024/583, ovvero se nel senso di una minaccia per l’appunto imminente ma non ancora realizzatasi (pre-emptive), oppure nel senso più restrittivo di una minaccia che si è già in parte concretizzata (interceptive). Gli atti che potrebbero fornire indicazioni a riguardo, quali il Piano operativo della missione e le regole di ingaggio ivi contenute (approvati lo scorso 19 febbraio in concomitanza con l’avvio dell’operazione) non sono accessibili. In mancanza di riferimenti espliciti, il linguaggio della decisione sembrerebbe far propendere per la prima ipotesi. Secondo autorevole dottrina, i fattori da tenere in considerazione al fine di qualificare un attacco come imminente comprendono, tra gli altri, la natura della minaccia, la probabilità di un attacco e la portata prevista di questo e i danni su persone e cose presumibilmente attendibili in mancanza di un’azione difensiva, mentre la mancanza di prove certe su dove avverrà l’attacco o la sua esatta natura non impediscono che esso possa essere ritenuto imminente, laddove vi sia una base ragionevole e oggettiva che possa far concludere in tal senso (Bethlehem, pp. 775-776).
Se si accoglie questa interpretazione, i natanti europei potrebbero usare la forza qualora sia chiaramente nota l’intenzione – sebbene non ancora messa in atto – di effettuare il lancio di missili, droni o il dispiegamento di bombe sottomarine da parte dei ribelli Houthi, contro di essi o altre navi commerciali che transitano in quelle acque. Parimenti, la mancata conoscenza dell’obiettivo di tali attacchi e della loro esatta natura – ipotesi peraltro plausibili alla luce della vasta gamma di armamenti fino ad oggi utilizzati da questo gruppo armato e dell’imprevedibilità nelle tipologie di attacco – non dovrebbe precludere il diritto di ricorrere alla legittima difesa da parte delle Forze UE. È chiaro come in un siffatto contesto giochino un ruolo fondamentale gli strumenti di allerta preventiva e di intelligence messi in campo dall’UE al fine di prevedere quanto più possibile le mosse degli Houthi. Se realmente l’UE avallasse la dottrina delle pre-emptive self-defence, non si potrebbe sottovalutarne il peso ai fini dello sviluppo sia dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo di una possibile consuetudine, eventualmente a carattere regionale.
Se, invece, si dovesse propendere per la soluzione dell’interceptive self-defence, gli attacchi da qualificare come «imminenti» sarebbe soltanto quelli in corso, ma che non hanno ancora prodotto effetti distruttivi. In questo caso, la nozione di attacco «in corso», anch’essa contenuta nel preambolo della decisione, dovrebbe invece essere intesa in senso «collettivo» e riferirsi a un insieme di azioni offensive, che abbiano già colpito almeno parte degli obiettivi prefissati. Questo è quanto sembra aver avuto luogo con riferimento al primo episodio di uso della forza in legittima difesa registrato nel quadro di Aspides da parte delle Forze UE, in cui la fregata tedesca Hessen ha abbattuto due droni kamikaze di matrice iraniana, che si trovavano in volo al momento della loro distruzione. Una situazione analoga si è verosimilmente verificata in altri tre episodi di poco successivi, che hanno visto le navi militari messe a disposizione da Francia, Italia e Grecia abbattere alcuni droni provenienti dai territori controllati dagli Houthi. In tutti e quattro i comunicati emanati dal servizio stampa della missione relativi agli incidenti si legge, peraltro, che «[a]ny response will always come as a consequence of an attack and be necessary, proportionate and limited to international sea or air-space». Il linguaggio usato è vago, ma sembra quasi smentire la possibilità che le Forze UE possano agire preventivamente rispetto agli attacchi degli Houthi.
Infine, non è possibile escludere una terza ipotesi, per cui l’UE farebbe propria sia l’una che l’altra dottrina nel quadro di Aspides. Gioca a favore di questa lettura il fatto che, come detto, il preambolo della decisione parla sia di attacchi imminenti, sia di attacchi in corso (ongoing nella versione inglese). Laddove per attacco «in corso» si dovesse intendere un singolo attacco iniziato ma che non ancora colpito l’obiettivo (ad esempio, un missile che si trovi ancora in volo), la prima tipologia di attacco (imminente) sarebbe ricompresa nella nozione di pre-emptive self-defence, mentre la seconda (in corso) in quella di interceptive.
A conferma della controversa applicazione del diritto di legittima difesa nel quadro di Aspides, giova accennare al dibattito parlamentare che si è svolto in Italia relativamente alla partecipazione del nostro Paese alla missione (approvata dal Parlamento lo scorso 5 marzo, in ottemperanza alla legge-quadro n. 145 del 21 luglio 2016 sulle missioni internazionali). Questo, infatti, si è incentrato soprattutto sulla necessità, infine accolta, che la missione rimanga esclusivamente – e non, come nella relazione presentata inizialmente dal Governo alle Camere per l’approvazione, «eminentemente» (ivi, pp. 12 e 13) – difensiva; tale profilo si può collegare anche alla questione dell’esercizio ratione temporis del diritto alla legittima difesa da parte delle navi italiane. A tal riguardo, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Tajani ha sottolineato come la missione non potrà intraprendere azioni preventive «di tipo militare», precisando tuttavia che essa avrà «compiti esecutivi di autodifesa estesa, cioè di neutralizzare attacchi che abbiano come bersaglio diretto navi mercantili scortate e il contrasto ad eventuali tentativi di sequestro delle imbarcazioni [come], ad esempio, [la] soppressione di missili o droni in arrivo» (comunicazione, pp. 12-13). Tale affermazione sembra quindi avvalorare l’ipotesi della interceptive self-defence. Inoltre, nelle proposte di risoluzione formulate da alcuni gruppi parlamentari a seguito della relazione del Governo, successivamente approvate, si dichiara che la protezione delle imbarcazioni nel quadro di Aspides possa essere attuata «in forma passiva, neutralizzando gli attacchi in arrivo, oppure in forma attiva, eliminando le sorgenti di fuoco e i mezzi e le infrastrutture militari dell’aggressore», aggiungendo che, mentre la decisione 2024/583 consentirebbe soltanto l’opzione passiva, «è opportuno che anche la seconda venga presa in considerazione, nel caso l’evoluzione della situazione la renda necessaria» (Camera, pp. 17-18; Senato, p. 130). Tale posizione sembra quindi accogliere l’esercizio di un’eventuale pre-emptive self-defence da parte delle navi italiane qualora lo scenario bellico dovesse deteriorarsi.
È chiaro, in ogni caso, come qualsiasi considerazione circa la portata temporale del diritto alla legittima difesa esercitabile dalle Forze UE nel quadro di Aspides dovrà essere svolta alla luce della prassi che andrà delineandosi durante lo svolgimento della missione, stante, come detto, la mancanza di riferimenti normativi espliciti.
Conclusioni
L’ampia portata ratione temporis del diritto di legittima difesa nella decisione relativa alla missione Aspides si inserisce nella tendenza dell’UE a considerare con sempre più attenzione le minacce provenienti da attori non statali (v. Bussola, p. 11 ss.). Se, nel caso di specie, tale interpretazione si giustifica proprio con la gravità delle condotte poste in essere dagli Houthi, dall’altra non è chiaro fino a che punto l’UE consideri un attacco come imminente e, di conseguenza, quanto «in anticipo» essa sia legittimata a rispondere.
È evidente come questo abbia delle implicazioni a livello giuridico. In primo luogo, l’adesione a una delle due dottrine summenzionate sarebbe importante ai fini della ricostruzione degli elementi costitutivi di una consuetudine ad hoc, soprattutto nel caso della interceptive self-defence. D’altra parte, l’adesione a una delle due tesi, soprattutto a quella più controversa della pre-emptive self-defence, e una conseguente prassi che veda le Forze UE ricorrere all’uso della forza in via meramente preventiva, ad esempio in mancanza di dati certi sulla provenienza, l’entità e/o l’effettività stessa delle minacce, potrebbe far sorgere dubbi circa la legalità dell’azione. Anche l’ipotesi «cumulativa» consistente nel considerare valide ambedue le interpretazioni solleverebbe alcune questioni relative all’eccessivo ampliamento della norma in questione.
Un altro problema è dato dalla complessa «interoperabilità giuridica» tra le Forze UE partecipanti ad Aspides. Innanzitutto, non è da escludere la possibilità che gli Stati che forniscono assetti ai fini della missione agiscano in legittima difesa diversamente dalla linea comune stabilita dall’UE. Significativo, in tal senso, è l’episodio del 2 marzo, in cui il cacciatorpediniere italiano «Caio Duilio», già attivo nel Mar Rosso da alcune settimane, ha abbattuto un drone lanciato dagli Houthi, mentre si trovava in volo a circa 4 miglia dall’imbarcazione; l’azione della nave militare italiana, dichiarata di «autodifesa», è tuttavia formalmente avvenuta al di fuori del quadro giuridico di Aspides. A tal proposito, la previsione per cui la legittima difesa è esercitabile dalle «forze schierate per l’operazione» e dalla missione in quanto tale (decisione, considerando 8 e art. 1, par. 5, lett. c) lascia impregiudicata, a nostro parere, la questione se sia l’UE in quanto soggetto giuridico autonomo, oppure i singoli Stati che inviano i propri mezzi e personale, i titolari di questo diritto. Nel primo caso, la tesi per cui anche le organizzazioni internazionali possano ricorrere all’uso della forza in legittima difesa ai sensi del diritto internazionale ne uscirebbe, chiaramente, rafforzata.
Inoltre, potrebbero sorgere problemi riguardo all’attribuzione di eventuali condotte illecite, essendo le navi partecipanti alla missione non altro che organi statali messi a disposizione dell’UE. Ai fini dell’attribuzione di un’eventuale condotta illecita all’UE, si dovrebbe quindi valutare se quest’ultima abbia esercitato un controllo effettivo su quella condotta, secondo quanto stabilito dall’art. 7 del Progetto della CDI sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali. In caso contrario, soprattutto laddove la nave europea reagisca in legittima difesa sovvertendo la catena di comando e gli ordini impartiti a livello UE, verosimilmente non si avrebbe un controllo effettivo da parte dell’UE su quella condotta che, se reputata illecita (ad esempio, poiché esercitata in maniera «eccessivamente preventiva»), dovrebbe essere attribuita allo Stato di nazionalità della nave, secondo le regole previste dal diritto consuetudinario in materia di responsabilità degli Stati (v., tra gli altri, Carli, pp. 390-392; d’Argent, pp. 26-27).
Infine, non bisogna dimenticare almeno altri due profili attinenti alla questione della legittima difesa esercitabile dalle Forze UE, che sono preliminari rispetto al tema qui trattato (sui quali v. ancora Zamuner). Innanzitutto, come ricordato all’inizio, qualsiasi uso della forza da parte delle navi partecipanti ad Aspides è da considerarsi lecito solo qualora le azioni offensive poste in essere dagli Houthi possano qualificarsi come attacchi armati, secondo quanto stabilito dall’art. 51 della Carta ONU e dal diritto internazionale consuetudinario. Inoltre, la liceità delle azioni in legittima difesa (in tal caso, collettiva?) intraprese dalle navi UE dovrà essere in particolare valutata, qualora la forza sia utilizzata per rispondere ad un attacco armato che non è indirizzato verso le navi degli Stati partecipanti alla missione, bensì verso navi (anche non militari) di altri Stati, ipotesi che la decisione 2024/583, come abbiamo visto, ammette (v. considerando 8).
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