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LA TUTELA DELLA LIBERTÀ DI NAVIGAZIONE NEL MAR ROSSO E LA LEGITTIMA DIFESA NEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Enrico Zamuner (Università di Padova)

A partire dalla seconda metà di ottobre dello scorso anno, i gruppi di ribelli Houthi, che controllano larga parte dello Yemen a seguito della guerra civile che si protrae nel paese da circa un decennio, si sono resi responsabili di numerosi attacchi perpetrati con il lancio di missili o attraverso veicoli aerei controllati da remoto nei confronti di (inizialmente sole) navi commerciali in transito nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso, una via marittima che rappresenta il 15% del commercio marittimo globale. Cui si aggiunge il dirottamento di una nave di registro giapponese, ma battente bandiera delle Bahamas, la Galaxy Leader, catturata dagli Houthi il 19 novembre 2023 ed attualmente ancora nelle mani dei ribelli insieme al suo equipaggio (vedi qui). Gli attacchi hanno determinato un aumento considerevole dei costi associati al traffico marittimo, quali quelli derivanti da un allungamento delle rotte e dai costi di assicurazione. I costi medi della navigazione commerciale proveniente dall’Asia e diretta verso il Mediterraneo e la costa est degli Stati Uniti sono rispettivamente triplicati e duplicati fra il mese di dicembre 2023 e febbraio 2024 (per un approfondimento del tema, vedi qui e qui). Detti attacchi dovrebbero continuare secondo gli Houthi fintantoché non si interromperà l’operazione militare di Israele a Gaza. Il collegamento fra le due vicende è reso inequivocabile dalla dichiarazione del loro portavoce, secondo cui: “[i]f Gaza does not receive the food and medicines it needs, all ships in the Red Sea bound for Israeli ports, regardless of their nationality, will become a target for our armed forces”.

Per bocca del Presidente di turno, i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno condannato gli attacchi sottolineando “the importance of the navigational rights and freedoms of all vessels in the Gulf of Aden and Red Sea, in accordance with international law” e “the importance of enhancing international and regional cooperation to counter threats to peace and security in the region” (documento consultabile qui). Alla dichiarazione del Presidente del Consiglio di Sicurezza faceva eco quella del portavoce per gli affari esteri e la sicurezza dell’Unione europea secondo cui gli attacchi degli Houthi alle navi commerciali “threaten international navigation and maritime security, in grave contravention of international law” e a sua volta riponeva particolare enfasi sul fatto che “enhanced international and regional cooperation are crucial to counter threats to peace and security in the region”. Secondo gli Stati Uniti gli attacchi “have disrupted the free flow of commerce through the region and endangered innocent mariners.  Since October, the Houthis have launched numerous missiles and unmanned aerial vehicles at commercial vessels transiting near Yemen’s coastline, in clear violation of international law”. L’accento veniva posto dagli Stati Uniti sulle fonti di finanziamento e di approvigionamento delle armi dei ribelli con una aperta accusa nei confronti dell’Iran e si dichiaravano pronti a combattere “Iranian illicit financial support to the Houthis.  We call on the international community to stand firmly against the destabilizing activities of the Houthis and their Iranian backers”. Il Segretario americano per la difesa sottolinava come la minaccia al commmercio via mare rappresentata dagli attacchi degli Houthi “demands collective action” e rendeva pubblica il 18 dicembre 2023 la notizia dell’avvio dell’operazione “Prosperity Guardian”: “an important new multinational security initiative under the umbrella of the Combined Maritime Forces and the leadership of its Task Force 153, which focuses on security in the Red Sea. Operation Prosperity Guardian is bringing together multiple countries to include the United Kingdom, Bahrain, Canada, France, Italy, Netherlands, Norway, Seychelles and Spain, to jointly address security challenges in the southern Red Sea and the Gulf of Aden, with the goal of ensuring freedom of navigation for all countries and bolstering regional security and prosperity” (per maggiori informazioni, vedi qui). In una dichiarazione sottoscritta il 19 dicembre dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, Il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, l’Australia, Bahamas, Giappone, Liberia, Nuova Zelanda, Repubblica di Korea, Singapore, Yemen e Stati Uniti si legge l’azione militare degli houthi: “threatens the movement of food, fuel, humanitarian assistance, and other essential commodities to destinations and populations all over the world. The undersigned further encourage all states to refrain from facilitation or encouragement of the Houthis. There is no justification for these attacks, which affect many countries beyond the flags these ships sail under. We again call on the Houthis to release the Galaxy Leader crew and ship immediately and to cease additional attacks on commercial vessels in the region’s vital waterways”.

Il 31 dicembre gli Stati Uniti, in risposta a due distress calls provenienti da una nave container battente bandiera di Singapore, la Maersk Hangzhou, sono addivenuti ad uno scontro a fuoco con i ribelli yemeniti impegnati nel tentativo di attaccare la nave, i cui estremi venivano illustrati dal rappresentante degli Stati Uniti nel corso di una riunione del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite del 3 gennaio 2024. Nel resoconto della seduta si legge che: “Since 19 November 2023, there have been over 20 attacks by the Houthis […] The United States and its allies have launched multinational naval operations to protect ships in the southern part of the Red Sea and deter lawless non-State actors”. Segnalava in particolare “an incident during which the United States navy personnel issued verbal warnings to the Houthi attackers, but rather than cease their attacks, they responded by opening fire.  Three Houthi boats subsequently sank.  Additionally, two anti-ship missiles were fired from Houthi-controlled areas at United States Navy vessels”. 

Il 10 gennaio 2024 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 2722 co-redatta da Stati Uniti e Giappone con 11 voti a favore e le astensioni di Cina, Russia, Algeria e Mozambico. La risoluzione, nel chiedere che gli Houthi che cessino gli attacchi, rilascino la Galaxy Leader e che sia rispettato l’esercizio da parte delle navi commerciali del diritto e della libertà di navigazione, “takes note of the right of Member States, in accordance with international law, to defend their vessels from attacks, including those that undermine navigational rights and freedoms”. A stretto giro, il 12 gennaio, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’UE, nel dare l’endorsment dell’UE alla risoluzione 2722, sottolineava che “States have the right to defend their vessels against these attacks in accordance to international law”, notando che alla dichiarazione si allineavano anche i numerosi Stati candidati all’adesione (v. qui).

La risoluzione nella parte rilevante è oggettivamente ambigua, e si presta inevitabilmente a più interpretazioni, come si poteva supporre dal dibattito in seno al Consiglio che ne ha preceduto l’adozione, da quello che si è svolto contestualmente al voto e dalle dichiarazioni ufficiali che ne sono seguite. Da un lato l’assenza di un chiaro riferimento all’art. 51 potrebbe far ritenere che con l’espressione “right to defend” ci si voglia riferire sì a misure implicanti l’uso della forza ma che si limitino strettamente alla protezione fisica, in senso passivo, della nave nel corso della navigazione, ad esclusione pertanto di risposte armate che travalichino l’area in cui l’attacco prenda corpo in mare. Dall’altro lato non sembra peregrina una interpretazione che attribuisca all’espressione un significato che, sul piano sostanziale, equivalga a quello che si ricava dall’art. 51. Sta di fatto che le forze aeree e navali degli Stati Uniti, con il supporto del Regno Unito, hanno condotto, a partire dall’11 gennaio 2024, numerose operazioni militari contro le postazioni degli Houthi nel territorio dello Yemen, in coordinamento con (e l’assistenza di intelligence fornita da) Australia, Bahrain, Canada e Paesi Bassi (per un approfondimento, vedi qui).

Il contributo si limita a pendere in considerazioni tre questioni, fra loro strettamente connesse: la prima è quella della qualificazione giuridica degli attacchi degli Houthi nei confronti di navi commerciali nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. La seconda riguarda la conformità o meno al diritto internazionale della risposta armata degli Stati Uniti e del Regno Unito. La terza, cui si faranno solo degli accenni nella parte finale, attiene all’iniziativa assunta dall’Unione europea con l’avvio della missione Aspides.

Preme innanzitutto sgombrare l’orizzonte dall’ipotesi, che pure è stata avanzata in dottrina, che gli attacchi degli Houthi possano qualificarsi come (o essere assimilati ad) atti di pirateria. A far propendere in questo senso, fra le altre, è la considerazione dell’elemento soggettivo della fattispecie, sostanziato dalle motivazioni che hanno spinto sin qui i ribelli yemeniti a compiere gli attacchi. Non vi si scorge infatti alcuna finalità privata, nemmeno latamente intesa, né, soprattutto, alcuna indicazione che possa in qualche modo far ritenere che dette azioni siano sospinte da un animus furandi. Non convince in particolare la tesi – perché non adeguatamente sostenuta da dati della prassi – che vuole assorbire nella fattispecie della pirateria anche gli atti di violenza motivati da vendetta, odio o scopi politici. La natura, le modalità e la portata delle azioni degli Houthi, insieme alla dichiarata intenzione di ottenere la cessazione delle ostilità a Gaza da parte di Israele, costituiscono nel loro insieme elementi che mal si conciliano con la fattispecie della pirateria contemplata dal diritto consuetudinario e poco hanno a che vedere con l’ipotesi normativa prefigurata dalla Convenzione di Montego Bay (fra gli altri, si veda Tanaka, p. 487). Non si può dubitare invece che i deliberati e reiterati attacchi portati dagli Houthi alle navi commerciali nel Mar rosso possano essere qualificati, nel contempo, come flagranti violazioni di norme consuetudinarie che tutelano il diritto e la libertà di navigazione e come manifestazioni di uso della forza militare vietati dal diritto consuetudinario, in quanto tali costituenti una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali.

Il problema, assai spinoso, consiste nello stabilire se le azioni militari degli Houthi integrino la fattispecie dell’attacco armato di cui all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite e se valgano in tal modo a giustificare la “controffensiva” degli Stati Uniti e del Regno Unito nello Yemen, come da notifica che entrambi questi Stati hanno fatto al Consiglio di Sicurezza (testo delle notifiche qui e qui). Occorre precisare che le riflessioni che saranno svolte nel prosieguo partono dal presupposto che l’attacco armato idoneo a far scattare il diritto di legittima difesa possa essere posto in essere anche da attori non statali. Si tratta di una premessa che, va riconosciuto, meriterebbe tutt’altro approfondimento (se non altro per la considerazione che si deve al parere della Corte internazionale di giustizia nel caso Construction of a Wall, par. 139) ma che si ritiene di potere acquisire in questa sede, non solo perché trova in dottrina un sempre più largo consenso (fra gli altri si vedano Henderson pp. 209-211 e Buchanan e Tsagurias, pp. 53 ss.), ma perché appare la più coerente con il dato testuale che si ricava dall’art. 51, che non assume quale condizione per la propria applicazione che l’attacco sia sferrato da uno “Stato”.

Come è noto, nel caso Nicaragua la Corte ha tracciato una distinzione (peraltro assai criticata, non senza buone ragioni, ex multis, v. Ruys) fra forme più o meno gravi di uso della forza, asserendo che solo nella prima ipotesi ricorrono gli estremi dell’attacco armato prefigurato dall’art. 51 (par. 191). Ammesso e non concesso che una soglia di gravità dell’attacco debba essere superata per giustificare una reazione in legittima difesa, tale distinzione potrebbe in prima battuta apparire rilevante nel caso in commento, laddove si consideri che l’azione armata degli Houthi si è materializzata nel tempo, come una sommatoria di singoli attacchi dagli effetti limitati. Tuttavia, tali reiterate azioni, sia pure in sé e per sé di piccola scala – e che taluno potrebbe inquadrare alla luce della, anch’essa controversa, “accumulation of events theory” (Dinstein, pp. 206-207) – si inseriscono oggettivamente in un programma offensivo di ampia portata nell’ambito del quale le navi commerciali sono elevate dall’autore della condotta illecita al rango di legittimi obiettivi militari, delineando così un perimetro di costante ed imminente minaccia di uso della forza militare che sembra pertanto allinearsi ai contorni della fattispecie ricompresa nell’art. 51 della Carta.

Già nel caso Oil Platforms, che presenta non poche similitudini con quello in commento, la Corte aveva lasciato intendere che l’attacco rivolto a navi commerciali potrebbe assumere le vesti dell’attacco armato rilevante ai fini della legittima difesa. Significative sono le osservazioni che la Corte svolge circa l’incidente che, insieme ad altri di eguale natura verificatisi nel Golfo persico ai danni di navi americane e neutrali, coinvolse un mercantile battente bandiera degli Stati Uniti, la Sea Isle City, colpita da un missile proveniente dal territorio iracheno occupato dall’Iran mentre si trovava nelle acque territoriali del Kuwait; in risposta al quale gli Stati Uniti, il 19 ottobre 1987, nel dichiarato esercizio della legittima difesa ex art. 51 (par. 48), sferrarono un attacco contro una piattaforma iraniana sita in acque internazionali provocandone la distruzione. Prescindendo dalla questione (centrale nel caso Oil Platforms) dell’attribuzione all’Iran della responsabilità degli attacchi, che la Corte ha risolto in senso negativo per difetto di prove, in quanto non rileverebbe nel caso in commento per le ripetute e inequivocabili rivendicazioni degli attacchi da parte degli Houthi, ciò che conta di notare è che la Corte ha ipotizzato che: “the attack of 19 October 1987 might, had the Court found that it was necessary in response to the Sea Isle City incident as an armed attack committed by Iran, have been considered proportionate” (par. 77)

Ciò detto, resta tuttavia impregiudicata la necessità che la risposta armata provenga dallo Stato-vittima dell’attacco, vale a dire che la nave fatta oggetto dell’azione militare batta la bandiera dello Stato che invoca il diritto di legittima difesa. Secondo la Corte: “in order to establish that it was legally justified in attacking the Iranian platforms in exercise of the right of individual self-defence, the United States has to show that attacks had been made upon it for which Iran was responsible” (par. 51). Ancor più chiara la posizione della Corte con riguardo ad un altro incidente che ha coinvolto, sempre nel Golfo persico, una nave non battente la bandiera degli Stati Uniti: “the Texaco Caribbean, whatever its ownership, was not flying a United States flag, so that an attack on the vessel is not in itself to be equated with an attack on that State” (par. 64). Non è in altre parole sufficiente ai fini della esistenza del diritto di legittima difesa che lo Stato agente adombri la necessità di difendere un proprio interesse essenziale (Armed Activities on the Territory of the Congo, par. 148) o della comunità internazionale nel suo insieme, ovvero che questa possa essere invocata, senza essere soggettivamente qualificata, per la tutela della libertà di navigazione o del commercio internazionale via mare.

Va notato che nel momento in cui iniziavano le operazioni militari aree in territorio yemenita per colpire le basi degli Houthi non risulta che navi commerciali battenti la bandiera di Stati Uniti e del Regno Unito (con la sola eccezione di una petroliera battente bandiera britannica, la Swan Atlantic, si veda qui) fossero state colpite dai ribelli, quantomeno non nel quadro di un programma offensivo connotato da portata ed effetti significativi (per un approfondimento, si veda qui). Nella valutazione dell’esistenza di un diritto individuale di legittima difesa non sembra, a stretto rigore, che possano avere rilievo il numero e la portata degli attacchi nei confronti di navi commerciali che non battono la bandiera degli Stati che ricorrono alla forza armata. Che l’attacco ostile debba presentare una certa magnitudine e non possa essere considerato tale se isolato o riferito a una sola nave è quanto si evince pure dall’art. 3, lett. d) della Risoluzione 3314 (XXIX) sulla definizione di aggressione, là dove si fa riferimento a “marine fleets”. Pertanto, se l’analisi dovesse limitarsi a considerare unicamente gli attacchi nei confronti delle navi commerciali, si dovrebbe ritenere dubbio che la soglia richiesta dalla Corte sia stata superata nel momento rilevante e che un attacco armato nei confronti degli Stati Uniti e del Regno Unito si sia verificato nei termini che rilevano ai fini dell’applicazione dell’art. 51. Peraltro, non si ha notizia del fatto che qualche Stato di bandiera, vittima degli attacchi, abbia formalizzato una richiesta di assistenza, che avrebbe semmai imposto di valutare l’esistenza dei presupposti per l’esercizio della legittima difesa collettiva. A questo riguardo la Corte notava che “Despite having thus referred to attacks on vessels and aircraft of other nationalities, the United States has not claimed to have been exercising collective self-defence on behalf of the neutral States engaged in shipping in the Persian Gulf; this would have required the existence of a request made to the United States “by the State which regards itself as the victim of an armed attack” (Oil Platforms, par. 51). Non si può tacere poi il fatto che tali operazioni militari sono state condotte all’interno di uno Stato, lo Yemen che, a quanto risulta, non solo non ha formulato una specifica richiesta di assistenza ma, per bocca del Presidente del Consiglio presidenziale ha anzi stigmatizzato l’azione militare americana e britannica reputandola inefficace. Quanto rilevato non vale tuttavia a privare di qualsiasi pregio l’ipotesi che le operazioni militari mirate nel territorio dello Yemen possano leggersi ed interpretarsi come lecite alla luce del fatto, acclarato, che gli Houthi costituiscano una entità non statale che controlla de facto gran parte del territorio dello Stato e che le loro azioni sfuggano di converso al controllo del governo “legittimo”, così da ritenere che le azioni militari a titolo di legittima difesa si compiono in un’area sottratta alla giurisdizione dello Stato (si veda l’art. 10, (ii), della Risoluzione dell’Institut de droit international, sessione di Tallin, 2007) che pure ne ha la sovranità nominale. Certo è che né gli Stati Uniti né il Regno Unito hanno invocato il diritto di legittima difesa collettiva o evocato la unwilling or unable doctrine (per un commento, si veda Talmon).

Vero è che nel mar Rosso si sono verificati altresì attacchi a navi da guerra degli Stati Uniti e del Regno Unito, anche se i riscontri sono in larga misura riconducibili alle ricostruzioni proposte dagli stessi Stati interessati. Di particolare rilievo è quanto il Primo Ministro britannico riferiva in Parlamento il 15 gennaio 2024: “Since 19 November, Iran-backed Houthis have launched over 25 illegal and unacceptable attacks on commercial shipping in the Red Sea, and on 9 January they mounted a direct attack against British and American warships. They fired on our ships and our sailors—it was the biggest attack on the Royal Navy for decades—and so we acted. We did so in self-defence, consistent with the UN charter, and to uphold freedom of navigation, as Britain has always done”. In tali ipotesi, la soglia dell’attacco armato potrebbe considerarsi superata anche quando questo sia rivolto verso una singola nave da guerra (cfr. Ruys, p. 200) Infatti, così come la Corte “does not exclude the possibility that the mining of a single military vessel might be sufficient to bring into play the “inherent right of self-defence” (Oil Platforms, para. 72), allo stesso modo non si può escludere nemmeno che la legittima difesa individuale ex art. 51 possa essere invocata nel caso in commento (sul punto Buchan).

Mentre scriviamo gli attacchi armati degli Houthi proseguono e le dichiarazioni da questi diffuse a più riprese non lasciano prevedere una de-escalation nel breve periodo e tantomeno fa apprezzare come ragionevole una soluzione diplomatica. Si deve anzi considerare che il collegamento che viene stabilito dai ribelli fra la situazione nel Mar rosso e quella in evoluzione a Gaza portano piuttosto ad immaginare una futura intensificazione degli attacchi. In tale contesto è difficile non ravvisare la necessità di una risposta armata, non vedendosi all’orizzonte nessuna seria alternativa: l’idea che questa possa essere rappresentata da misure adeguate ed efficaci assunte dal Consiglio di Sicurezza non è allo stato plausibile. Tuttavia, un conto è il diritto di legittima difesa altro sono le modalità con cui questo deve essere esercitato, alla luce del principio di proporzionalità. E le differenti modalità scelte, rispettivamente, da Stati Uniti e Gran Bretagna e dall’Unione europea appaiono significative sotto questo profilo. Se i primi due Stati hanno risolutamente optato per l’uso della forza militare nei confronti delle postazioni Houthi nello Yemen, l’Unione europea, che pure non l’ha qualificata espressamente nel senso della legittima difesa, ha imboccato invece la strada di una risposta meramente difensiva. L’8 febbraio 2024, Il Consiglio dell’Unione, con DECISIONE (PESC) 2024/583, ha istituito la missione EUNAVFOR Aspides cui viene affidato il compito di condurre un’operazione di sicurezza marittima dell’Unione europea volta a salvaguardare la libertà di navigazione in relazione alla crisi nel Mar Rosso. Nel comunicato stampa del 10 febbraio si legge: “Operation ASPIDES will ensure an EU naval presence in the area where numerous Houthi attacks have targeted international commercial vessels since October 2023. In close cooperation with like-minded international partners, ASPIDES will contribute to safeguard maritime security and ensure freedom of navigation, especially for merchant and commercial vessels. Within its defensive mandate, the operation will provide maritime situational awareness, accompany vessels, and protect them against possible multi-domain attacks at sea”. Tuttavia, l’approccio graduale e più cauto dell’Unione, se pur preferibile in linea di principio in quanto prefigura azioni implicanti l’uso della forza armata che si connotano pur sempre come eccezioni al divieto generale di cui all’art. 2, par. 4 della Carta, e che come tali debbono essere interpretate ed attuate in maniera restrittiva, potrebbe rivelarsi tutt’altro che efficace. Ad ogni modo, l’efficacia della risposta armata in rapporto all’obiettivo che questa si prefigge di conseguire nel rispetto del principio di proporzionalità, che altro non può essere se non quello di neutralizzare, auspicabilmente in maniera definitiva, l’azione ostile degli Houthi, potrà essere apprezzata solo con l’evolversi della situazione e, pertanto, sul punto non si può che rinviare il giudizio a quando la situazione nella regione non sarà ulteriormente maturata. Peraltro, le modalità con cui la missione Aspides si svolgerà nel Mar Rosso, necessariamente con il dispiegamento di navi da guerra, lasciano intravedere non di meno uno scenario nel quale non sembrano per nulla scongiurati i rischi di una escalation, allorché gli Houthi dovessero, come si può ragionevolmente presumere, rivolgere i loro attacchi, intenzionalmente o accidentalmente, anche alle navi militari degli Stati che partecipano alla missione, allargando pertanto la possibilità che si materializzino i presupposti di fatto per il verificarsi di attacchi armati (si potrebbe dire pleno iure) suscettibili di moltiplicare anziché ridurre le ipotesi di ricorso alla forza armata in legittima difesa.     

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