Quando l’interesse superiore non è quello del fanciullo: le novità apportate dal d.l. n. 133/2023 in tema di accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati
Daniele Mandrioli (Università degli Studi di Milano, Membro della Redazione)
A fronte del crescente numero di sbarchi di persone migranti all’interno del nostro Paese, ancor prima della chiusura del tanto discusso Protocollo in materia migratoria con l’Albania (sul punto vedi Spagnolo), il Consiglio dei Ministri ha emanato un (ennesimo) decreto legge, il n. 133 del 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 ottobre 2023. Oltre a disporre misure in materia di accoglienza e di supporto alle politiche di sicurezza, con tale strumento si è deciso di intervenire sul tema – tanto delicato quanto complesso – dell’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati. È proprio rispetto a tale novità che il presente commento intende concentrarsi, al fine di offrire un’analisi dell’operato del Governo italiano sotto il profilo giuridico-internazionale.
Prima di esaminare le disposizioni del decreto ai nostri fini rilevanti, pare opportuno soffermarsi introduttivamente sulla questione dell’accertamento dell’età, sul suo ruolo nella gestione dei flussi migratori e sulla preesistente normativa in materia, così da poter meglio comprendere la portata delle recenti modifiche introdotte dal Governo.
Quando ci si riferisce a tale operazione, si è soliti intendere quell’insieme composito di procedure mediche, psicologiche, ma anche semplicemente investigative, atte a determinare l’età anagrafica di un individuo, così da chiarire se questi sia minorenne o maggiorenne (per una ricognizione sul tema, v. Aynsley-Green). Da un punto di vista tecnico, accertare l’età di una persona è una scienza inesatta: ancora oggi, nessun esame medico è in grado di fornire risposte certe e prive di alcun margine di errore. Si pensi, ad esempio, all’esposizione del paziente a raggi ionizzanti per misurare la maturazione ossea di alcune parti del corpo, come il polso, i denti e la clavicola. Il ricorso ai cosiddetti rilievi antropometrici è una pratica piuttosto comune, per quanto sia appurato che con tale esame non si possa giungere a un responso pienamente affidabile (è stimato che l’errore possa essere anche di due anni; sul punto si rimanda ai rapporti del CESE e dell’ECRE).
Nella gestione dell’immigrazione, l’attuazione di procedure di accertamento dell’età è una pratica meno eccezionale di quanto si possa presumere, date le conseguenze giuridiche che da essa possono derivare. Come noto, infatti, il soggetto minorenne beneficia di importanti garanzie in tema di prima accoglienza, di non respingimento e di riconoscimento dello status di rifugiato. A tale riguardo, si rimanda, con riferimento al diritto dell’Unione europea, alle direttive 2005/85/CE (art. 17), 2008/115/CE (artt. 10, 14 e 17), 2013/33/UE (artt. 7 e 25) e 2013/33/UE (artt. 21-24); sul piano nazionale, rileva invece il Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286 del 1998). Dalla lettura congiunta di tali disposizioni, emergono, tra le varie garanzie, il divieto di espulsione dei minori di anni diciotto, il divieto assoluto di non respingimento dei minori non accompagnati, nonché il riconoscimento di importanti tutele, processuali e sostanziali, ai fini della presentazione della domanda di protezione internazionale. In caso di incertezze dunque, conoscere l’età anagrafica dei migranti giunti nel nostro Paese diviene un presupposto fondamentale ai fini della corretta applicazione del diritto nazionale e dell’Unione europea.
Anche sotto il profilo giuridico internazionale, l’accertamento dell’età è una procedura di particolare rilevanza, dal momento che da essa può conseguire il sorgere di una serie di obblighi internazionali in capo agli Stati in materia di protezione del minore. Si pensi, innanzitutto, alle tutele garantite dalla Convenzione dei diritti del fanciullo, il cui godimento spetta a tutti gli individui che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno di vita (art. 1). A ciò si aggiungono i diritti sanciti dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, oltre alle più generali disposizioni previste in materia dal Patto sui diritti civili e politici (art. 24) e dal Patto sui diritti sociali, economici e culturali (artt. 10 e 12).
Considerando l’importanza che tale operazione riveste nell’effettiva tutela dei diritti del minore, non stupisce quanto dichiarato in materia dal Comitato dei diritti del fanciullo (v. commento generale 6 del 2005), secondo cui l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati ricopre un ruolo fondamentale nel dare concretezza al principio del superiore interesse del minore, sancito all’art. 3 della Convenzione dei diritti del fanciullo (per uno studio approfondito, v. Pobjoy). Secondo tale prospettiva, infatti, le procedure di accertamento dovrebbero essere sempre adottate nei modi e nei tempi più favorevoli per il presunto minorenne. In poche parole, il diritto internazionale, pur senza prevedere specifiche disposizioni in tema di accertamento, considera tale verifica come essenziale per realizzare ai diritti umani a favore dei minori stranieri non accompagnati giunti nel Paese di destinazione.
In epoca recente, il legislatore italiano si è ispirato a quanto suggerito dal diritto internazionale sul tema. Più precisamente, nel 2017 il Parlamento ha apportato interessanti novità, culminate nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della cd. ‘legge Zampa‘ (v. legge n. 47 del 2017; per una più completa panoramica, v. Cascone e Di Napoli).
Tra le principali disposizioni contenute nel testo, va anzitutto segnalata la configurazione del cd. ‘accertamento olistico-multidisciplinare‘, teso a determinare l’età del minore ricorrendo a diverse valutazioni, non esclusivamente mediche, che considerino non solo la maturazione fisica dell’individuo, ma anche quella mentale e psicologica. Più precisamente, dopo un colloquio identificativo da parte del personale qualificato della struttura di prima accoglienza, l’età anagrafica deve essere accertata dalle Autorità di pubblica sicurezza, assieme a un mediatore culturale, attraverso la lettura della documentazione personale eventualmente fornita dal minore. Soltanto qualora permangano fondati dubbi, la Procura può disporre esami «socio-sanitari» volti all’accertamento dell’età. Tale fase deve avvenire in un ambiente idoneo e deve essere realizzata da «professionisti adeguatamente formati (…) utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta». La legge specifica inoltre che devono essere evitati «esami socio-sanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona». È opportuno ricordare che nel corso di queste operazioni il presunto minore deve essere sempre supportato dal tutore volontario, figura appositamente istituita dalla legge Zampa in ottemperanza a quanto previsto dalla normativa dell’Unione europea (sul punto, v. Di Pascale e Cuttitta).
Ad ulteriore chiarimento degli interventi da effettuare in caso di accertamento, nel 2020 la Conferenza unificata Stato-Regioni è intervenuta pubblicando il “Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati”. Come si evince dal titolo stesso del documento, il suo principale obbiettivo consiste nel definire le modalità attraverso le quali accertare, in chiave multidisciplinare, la minore o maggiore età dei soggetti interessati (sul punto, v. Benvenuti). Innanzitutto, il team chiamato a comporre «l’équipe multidisciplinare e multiprofessionale» deve essere composto da un pediatra, uno psicologo e/o un neuropsichiatra, un mediatore culturale e un assistente sociale. Il loro compito è quello di condurre una serie di procedure, scomponibili in tre fondamentali passaggi: 1) un colloquio sociale, 2) una valutazione psicologica/neuro-psichiatrica e, soltanto in caso di dubbio, 3) una visita pediatrica auxologica.
Una volta concluso l’accertamento, la legge Zampa sancisce che, nel caso continuino a permanere dubbi sulla minore età, «questa si presume ad ogni effetto di legge»; tale soluzione enfatizza ancor di più come l’ordinamento italiano cerchi – seppure in maniera talvolta confusa e per lungo tempo in attesa di un decreto attuativo (v. Valente e Benvenuti) – di recepire quanto previsto dal diritto internazionale, considerando l’accertamento dell’età come uno strumento atto alla tutela del superiore interesse del fanciullo.
Il decreto legge n. 133 del 2023 si inserisce nel quadro normativo appena delineato, introducendo una serie di misure animate dalla «necessità e urgenza (…) in materia di protezione internazionale di minori stranieri non accompagnati» (v. testo del decreto). Concentrandosi esclusivamente sulle disposizioni relative all’accertamento dell’età, è ora prevista la possibilità di derogare alle procedure stabilite dalla legge Zampa in situazioni di particolare urgenza, ovvero «in caso di arrivi consistenti, multipli e ravvicinati, a seguito di attività di ricerca e soccorso in mare, di rintraccio alla frontiera o nelle zone di transito (…)». In tali circostanze, l’art. 5 del decreto consente «nell’immediatezza» all’Autorità pubblica di poter effettuare direttamente «rilievi antropometrici o altri accertamenti sanitari, anche radiografici, volti all’individuazione dell’età». In altre parole, laddove il numero di sbarchi sia particolarmente consistente, l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati può non esprimersi nelle tre fasi sancite dalla legge Zampa in lettura congiunta con il Protocollo Stato-Regioni, declinandosi anche semplicemente nella sola esposizione ai raggi X: si tratta di un esame che, come sopra ricordato, ha sollevato alcune perplessità relative al margine di errore, nonché al rischio per la salute del paziente di essere sottoposto a raggi ionizzanti (sul punto, si ricorda che, in un recente commento, il Comitato dei diritti del fanciullo ha espressamente richiesto agli Stati di astenersi dall’adottare tale procedura).
In tali circostanze, l’autorità pubblica può procedere a questo “accertamento semplificato” anche in assenza di un’autorizzazione scritta da parte del Tribunale. Per di più – ed è questo uno degli aspetti più critici del testo – anche i passaggi successivi vengono drasticamente accelerati. Innanzitutto, l’esito dell’accertamento viene verbalizzato e trasmesso direttamente alla Procura della Repubblica. Contestualmente, avviene la notifica a favore del sospetto (più che presunto) minore, il quale ha cinque giorni per impugnare il verbale. Ma vi è di più. Il decreto legge prevede che «quando, sulla base degli accertamenti (…), il soggetto è condannato per il reato di cui all’articolo 495 del codice penale, la pena può essere sostituita con la misura dell’espulsione dal territorio nazionale». La fattispecie penale qui richiamata è il reato di falsa attestazione di identità, secondo cui «chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni».
Giunti a questo punto, pare opportuno rendere maggiormente concreta la nostra analisi, cercando di prevedere quali risvolti pratici potrebbero derivare da tali interventi normativi. Immaginiamoci ora un presunto minore straniero non accompagnato appena giunto in Italia dopo un viaggio in mare. Una volta accolto dalle autorità nazionali, questi potrebbe essere immediatamente sottoposto ad accertamento dell’età (tramite una sola radiografia al polso), potenzialmente in assenza del mediatore linguistico e del proprio tutore, oltre che in mancanza di un’autorizzazione scritta da parte del Tribunale. Conclusa la visita radiografica, l’individuo dovrebbe vedersi notificato in tempi particolarmente brevi il verbale attestante la sua età così come accertata anche solo per mezzo dei rilievi antropometrici. A seguito di ciò, decorrono (soltanto) cinque giorni per l’impugnazione, periodo durante il quale il presunto/sospetto minorenne può richiedere una sospensione di eventuali azioni a suo carico.
È evidente che, in una tale situazione, anche solo comprendere cosa stia succedendo potrebbe non essere immediato per il minore; immaginiamoci poi quanto possa essere complesso dover esercitare entro cinque giorni i propri diritti processuali in un Paese straniero con riferimento a una questione tanto delicata come l’accertamento dell’età. In tutta evidenza, la tempistica ristretta rischia di compromettere la capacità di elaborare ogni valida strategia processuale.
Per giunta, laddove l’individuo non impugni il verbale, la Procura potrebbe celermente svolgere un’attività di indagine, che, nel caso in cui l’età dichiarata dal sedicente minore non coincida con quella accertata, potrebbe culminare in un’azione penale (sul fenomeno giuridico contemporaneo della criminalizzazione della migrazione, detta anche “crimmigration”, la letteratura è vastissima; si veda ad esempio Cuauhtemoc e Hernandez). Se poi, a seguito del processo, ne dovesse derivare una condanna, la sanzione da applicare potrebbe consistere, anziché nella reclusione, direttamente nell’espulsione dal territorio nazionale, come previsto dal decreto legge in commento. Adottando una prospettiva giuridico-internazionale, la principale criticità del decreto legge n. 133 del 2023 consiste nel modo in cui l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati viene concepito dal Governo italiano. Anziché momento per la realizzazione dell’interesse superiore del minore, l’accertamento pare ora uno strumento di gestione delle politiche migratorie nazionali. Anziché misura di garanzia volta all’applicazione dei diritti umani del fanciullo, esso diviene il primo e fondamentale passaggio per giungere celermente all’espulsione dei migranti (dichiarati) maggiorenni. Un tale utilizzo dell’accertamento desta perplessità non solo sul piano etico, ma soprattutto su quello giuridico internazionale. Per quanto nessuna norma di diritto pattizio o consuetudinario limiti gli Stati nella definizione delle modalità di accertamento dell’età all’interno dei propri ordinamenti domestici, è opportuno ribadire l’importanza che acquisisce in materia il principio del superiore interesse del minore. Come previsto all’art. 3 della Convenzione dei diritti del fanciullo (per giunta interiorizzato nell’ordinamento italiano ex art. 18 del d.lgs.142 del 2015): «in all actions concerning children, whether undertaken by public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies, the best interests of the child shall be a primary consideration». Declinando tale disposizione nell’ambito qui analizzato, si deve concludere che il diritto internazionale considera l’accertamento dell’età come un intervento disposto a favore del presunto minorenne, e non “a danno” del sospetto maggiorenne. Tale conclusione è stata recentemente ribadita dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Darboe e Camara c. Italia, occasione in cui la Corte ha chiarito come l’intervento degli Stati a protezione del fanciullo acquisisca ancor più rilevanza «where (…) personal relationships of an unaccompanied minor are at stake, in a migration context that makes him or her particularly vulnerable» (par. 123; per un commento alla sentenza, da alcuni criticata per non aver affrontato il tema delle modalità di accertamento adottate dall’Italia, v. Simon e Klaassen e Pannia). Rileggendo ora le disposizioni del decreto legge qui analizzato, è difficile concludere che l’interesse del minore conservi un ruolo centrale nella regolamentazione dell’accertamento così come prevista dalla riforma. Difatti, la predilezione di un iter velocizzato (se non addirittura sommario) a discapito di un sistema olistico-multidisciplinare porta con sé conseguenze particolarmente negative per i presunti minori interessati. Come riportato all’inizio del presente commento, un accertamento esclusivamente fondato sui rilievi antropometrici è criticabile perché trascura il livello di maturazione psicologica dell’individuo e il contesto culturale/etnografico di riferimento, e, soprattutto, perché non garantisce in ogni caso un risultato pienamente affidabile. Ricordando poi che dall’esito di tale accertamento possono dipendere le sorti del minore all’interno del Paese di destinazione, ne deriva, evidentemente, una scarsa considerazione dell’interesse superiore del fanciullo da parte della riforma qui esaminata. Tale conclusione è ancor più nitida se si considera, oltretutto, la tempistica particolarmente ristretta entro cui il presunto minore può opporsi al risultato dell’accertamento, nonché le conseguenze penali che potrebbero derivare a suo carico in caso di incongruenza tra l’età dichiarata e quella accertata. In effetti, il fatto che l’interesse del minore non sia stato posto al vertice dei valori considerati dalla riforma non è stato smentito neppure dal Governo stesso, il quale ha giustificato tale intervento normativo esclusivamente al fine di fronteggiare una situazione di emergenza nella gestione dei flussi migratori, senza mai richiamare in alcun passaggio l’importanza di tutelare adeguatamente i diritti fondamentali del fanciullo. È proprio con riferimento a tale condizione di “emergenza”, e alle sue eventuali ripercussioni giuridiche, che sono dedicate le ultime riflessioni di questo commento. Per quanto la disciplina dei diritti umani non escluda, in specifiche circostanze, la possibilità per gli Stati di prevedere parziali restrizioni nel godimento di alcune libertà fondamentali degli individui a salvaguardia degli interessi nazionali (sul punto, ex multis, v. McGoldrick; in questo Blog si veda Tammone), è innanzitutto da chiedersi se le numerose richieste di protezione internazionale avanzate da minori stranieri non accompagnati in Italia stiano davvero determinando particolari criticità nella gestione del fenomeno migratorio in Italia, e se, in questo specifico caso, tale emergenza possa legittimamente giustificare una compressione dei diritti umani posti a favore del minore. Se è pur vero che i numeri di tale fenomeno sono tendenzialmente in crescita nel corso di degli anni, rimane il fatto che, dati ufficiali alla mano, nel 2023 hanno fatto ingresso in Italia 15.005minori non accompagnati. Questi numeri, certamente importanti se si considerano le tragedie personali presumibilmente affrontate da questi ragazzi e queste ragazze, rappresentano soltanto una piccola percentuale della totalità dei migranti che hanno raggiunto le coste italiane nello stesso arco temporale, ovvero ben 141.519. Chiaramente, non va ignorato che la specifica tutela di cui i minori necessitano può rivelarsi particolarmente onerosa per lo Stato ospitante (a partire dalla predisposizione di centri di accoglienza ad hoc). Tuttavia, come più volte ribadito dalla Corte europea dei diritti umani nel corso di questi anni, le difficoltà e le emergenze degli Stati nella gestione del fenomeno immigratorio non esonerano gli stessi dagli obblighi internazionali assunti in tema di diritti umani (ex multis, v. Darboe e Camara c. Italia; M.S.S. c. Belgio e Grecia e Hirsi Jamaa e altri c. Italia). A maggior ragione, a tale conclusione si deve giungere quando sono interessate quelle categorie di persone particolarmente vulnerabili come, appunto, i minori stranieri non accompagnati (Darboe e Camara c. Italia, in particolare, v. par. 152): in tali circostanze, l’unica “stella polare” a cui ispirare la propria politica nazionale deve rimanere l’interesse superiore del (presunto) minore.In conclusione, la scelta del Governo di “puntare il dito” contro una categoria di migranti relativamente ristretta, per di più particolarmente vulnerabile, appare oltremodo incomprensibile. Se poi tale politica è perseguita per mezzo di un uso “distorto” dell’accertamento dell’età, oltre che incomprensibile, rischia di risultare, appunto, illegittima.
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