Il trasferimento di munizioni a grappolo all’Ucraina e l’obbligo di assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario
Andrea Spagnolo (Università degli Studi di Torino, Membro della Redazione)
1. Il Dipartimento della difesa ha confermato che gli Stati Uniti trasferiranno all’Ucraina un certo numero di munizioni a grappolo. Il Presidente Joe Biden ha giustificato la decisione, definita difficile, con la necessità di fornire all’Ucraina una soluzione di transizione in attesa che gli stessi Stati Uniti producano e trasferiscano un maggior numero di proiettili per gli obici da 155 millimetri, che verranno provvisoriamente equipaggiati con le munizioni a grappolo (ibidem).
Tuttavia, in un’intervista del 7 luglio scorso, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha ammesso che l’invio di tali munizioni avrebbe anche la funzione di facilitare la controffensiva ucraina, permettendo alle forze armate dello Stato difensore di avanzare attraverso le fortificate linee nemiche russe.
In un recente studio presentato al Congresso degli Stati Uniti, le munizioni a grappolo sono definite come mezzi di guerra sganciati dall’aria o lanciati da terra che rilasciano una serie di sub-munizioni più piccole destinate a uccidere il personale nemico o distruggere veicoli su una vasta area.
Com’è noto, l’uso delle munizioni a grappolo è assai critico nella prospettiva del diritto internazionale umanitario, per due ragioni. La prima riguarda la vastità dell’area in cui esplodono le sub-munizioni, che rende difficile limitare l’impatto a obiettivi militari. La seconda riguarda l’alta percentuale di sub-munizioni che rimangono inesplose sul terreno, ponendo un serio pericolo per la popolazione civile anche al termine delle ostilità attive.
Non a caso, l’uso, la produzione, l’acquisizione, lo stoccaggio e il trasferimento di munizioni a grappolo è proibito dalla Convenzione di Oslo del 2008, che limita il divieto alle munizioni che contengono sub-munizioni di peso inferiore a venti chili (art. 2).
È ragionevole quindi interrogarsi sulla compatibilità di tali mezzi di guerra con le norme di diritto internazionale umanitario e, di conseguenza, sulla liceità del loro trasferimento dagli Stati Uniti all’Ucraina.
In questa prospettiva, si tratta certamente di un momento importante e critico. Sebbene sia la Russia, sia l’Ucraina abbiano già fatto ricorso a tali mezzi di guerra nel conflitto in corso (su cui si tornerà a breve), quello delle munizioni a grappolo rappresenta un caso di fornitura di armi espressamente vietate da una convenzione internazionale ratificata da un elevato numero di Stati. Sono infatti centoundici gli Stati parte della Convenzione di Oslo.
Tra questi non vi sono la Russia, l’Ucraina e gli Stati Uniti, ma vi sono ventitré Stati (su trenta) membri della NATO e venti Stati (su ventisette) membri dell’Unione europea; una buona rappresentanza, dunque, degli Stati che stanno fornendo armi all’Ucraina.
Nonostante l’ampia partecipazione alla Convenzione di Oslo, la mancata ratifica da parte degli Stati interessati rende superfluo discutere di un’ipotetica violazione del predetto strumento multilaterale da parte degli Stati Uniti, così come, al momento, risulta complicato tentare di percorrere la strada che porta a ritenere affermatosi un divieto di natura consuetudinaria di usare le munizioni a grappolo, o di trasferirle; basti pensare che, ad oggi, nemmeno il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), nella sua opera di codificazione del diritto internazionale umanitario consuetudinario si è spinto a tanto (cfr. D. Amoroso, Sulla compatibilità con il diritto internazionale umanitario dell’impiego di alcuni mezzi di combattimento nel conflitto in Ucraina, in Rivista di diritto internazionale 2023, p. 820 e Boothby).
2. La discussione, però, non può e non deve fermarsi qui. L’utilizzo delle munizioni è grappolo va senza dubbio testato alla luce del più generale divieto di utilizzare armi che per loro natura non sono in grado di distinguere tra civili e combattenti, in una parola: indiscriminate. La regola, che per il CICR ha natura consuetudinaria, si ricava dalla lettura dell’art. 51, comma 4, del primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977 (PA I), di cui sia Russia, sia Ucraina sono parti. Questa disposizione, che specifica e dettaglia il divieto di attacchi indiscriminati, nelle lettere c) e d) enuclea i due criteri che qualificano un’arma come indiscriminata: c) l’inidoneità dell’arma a essere diretta contro specifici obiettivi militari; d) la causazione di effetti che non possono essere limitati.
Nonostante l’apparente chiarezza della regola, gli Stati che hanno partecipato alle negoziazioni del primo protocollo hanno sempre chiarito che non esistono armi indiscriminate in ogni circostanza, bensì che il loro uso, volta per volta, può costituire un attacco indiscriminato. Il commentario alla disposizione (par. 1966) spiega che la posizione degli Stati è stata essenzialmente influenzata dal dibattito sulla liceità dell’uso delle armi nucleari.
L’inesistenza di una posizione chiara su quali armi siano considerate indiscriminate influenza anche il dibattito sulle munizioni a grappolo. Pur non potendo passare in rassegna le diverse sfumature dottrinali, è possibile identificare due macro-posizioni. Da un lato vi è chi ritiene che tali mezzi di guerra siano per loro natura indiscriminati, per le ragioni esposte all’inizio del post: l’eccessiva vastità dell’area oggetto di attacco e l’impossibilità oggettiva di limitare gli effetti, anche a lungo termine, di un attacco condotto con munizioni a grappolo (cfr. ad esempio Wiebe). D’altro canto, vi è chi sostiene la posizione opposta, argomentando che un obiettivo militare, o un insieme di obiettivi militari, possono ben essere dislocati in un’area ampia, lontana dalla popolazione civile e che dunque non si possono escludere attacchi con munizioni a grappolo rispettosi dell’obbligo di distinzione tra civili e combattenti (ancora Boothby).
Quanto alla prassi, limitando l’analisi al conflitto in Ucraina, è utile segnalare che la Commissione d’inchiesta istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel rapporto del 15 marzo 2023, ha giudicato illegali attacchi condotti con munizioni a grappolo da entrambi le parti del conflitto. In particolare, la Russia avrebbe utilizzato munizioni a grappolo nel tristemente noto attacco diretto contro la stazione ferroviaria di Kramatorsk e, più in generale, contro diversi centri abitati (ibidem, par. 30; v. anche il primo rapporto OSCE sulle violazioni del diritto internazionale umanitario nel conflitto in Ucraina, par. 44 e 49). L’Ucraina avrebbe condotto attacchi con munizioni a grappolo in aree residenziali della città di Izium, nella regione di Kharkiv, tra maggio e luglio 2022, quando questa era ancora sotto il controllo della Russia (rapporto, par. 36 e 37).
Si tratta, quindi, di armi non espressamente vietate, ma certamente controverse e il cui utilizzo comporta, con un’elevata probabilità, la violazione di norme e principi generali di diritto internazionale umanitario, in particolare il divieto di attacchi indiscriminati.
Non è un caso che gli stessi Stati Uniti abbiano adottato una policy piuttosto stringente sull’uso e sul trasferimento delle munizioni a grappolo. Una direttiva del Dipartimento della difesa del 2017 ne consente l’uso e il trasferimento solo quando sia ragionevolmente prevedibile che la percentuale di sub-munizioni inesplose (il dud rate) sia inferiore all’un per cento del numero totale di sub-munizioni.
A quanto sembra, l’invio di munizioni a grappolo all’Ucraina avverrà in deroga a tale direttiva, perché il Pentagono ha stimato che le armi individuate per il trasferimento, prelevate da uno stoccaggio del 1987, presentano un dud rate superiore al due per cento.
3. Gli elementi sin qui considerati portano da un lato a ritenere che gli Stati Uniti non sono soggetti ad alcuno specifico obbligo di non trasferire munizioni a grappolo all’Ucraina, ma che non si può escludere che tale trasferimento violi – o concorra a violare – altre norme di diritto internazionale umanitario di carattere generale.
Viene in rilievo, a tal proposito, l’obbligo di assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario, sancito per la prima volta nell’art. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e poi ribadito nell’art. 1 del PA I.
È un obbligo che ha acquisito natura consuetudinaria e che ha diverse dimensioni. Quella principale attiene all’obbligo degli Stati di assicurare che le persone che sotto il loro controllo partecipano a un conflitto armato siano adeguate formate dal punto di vista del diritto internazionale umanitario.
Vi è però anche una dimensione esterna, secondo cui tutti gli Stati, anche quelli non coinvolti in un conflitto armato, hanno l’obbligo di pretendere la corretta applicazione del diritto internazionale umanitario da parte degli Stati belligeranti (v. commentario all’art. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra, par. 153). In dottrina si è discusso sulla natura erga omnes di questo obbligo e in particolare sul limite delle azioni consentite per assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario (Longobardo, e, in senso critico, Focarelli). Il CICR, nella sua codificazione delle norme di diritto internazionale umanitario di natura consuetudinaria, ha chiarito che gli Stati frequentemente agiscono in via diplomatica, oppure adottano misure collettive, quali l’istituzione di tribunali internazionali e commissioni d’inchiesta per indurre Stati parte di un conflitto a rispettare il diritto internazionale umanitario.
Venendo al trasferimento di munizioni a grappolo all’Ucraina, pur tenendo conto della circostanza che agli Stati Uniti non si può applicare l’art. 1 del PA I, perché non ne sono parte, bensì solo l’art. 1 comune e il diritto consuetudinario, l’obbligo di assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario pone due seri interrogativi.
3.a. Il rispetto di tale obbligo avrebbe potuto/dovuto indurre gli Stati Uniti a evitare il trasferimento?
A favore di una risposta positiva militano le prime reazioni degli Stati alleati, che hanno giudicato negativamente il trasferimento di munizioni a grappolo. Il Governo del Canada ha affermato che si oppone all’uso delle munizioni a grappolo; la Ministra della difesa spagnola ha fermamente dichiarato che il proprio Governo si oppone al trasferimento di simili armi; il Premier britannico lo ha ‘scoraggiato’. Più tenui le posizioni della Germania e dell’Italia che, per il tramite dei loro Ministri della difesa si sono limitati a ricordare di essere Stati parte della Convenzione di Oslo. È interessante segnalare che anche il Segretario generale delle Nazioni Unite ha preso posizione, sostenendo, per il tramite del suo portavoce, l’auspicio che le munizioni a grappolo non siano più utilizzate nei conflitti armati.
3.b. L’altro interrogativo riguarda l’eventuale adozione di misure positive. È plausibile ritenere che sugli Stati Uniti gravi un obbligo di assicurare che l’Ucraina utilizzi le munizioni a grappolo nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario nel suo complesso?
A questo proposito è interessante segnalare un recente tweet (sic!) del Ministro della difesa ucraino, Reznikov, che ha esposto i cinque principi su cui si fonderà l’uso da parte delle forze armate ucraine delle munizioni a grappolo: 1. non verranno condotti attacchi sul territorio russo; 2. tali munizioni non verranno lanciate o sganciate su aree urbane; 3. verrà tenuta traccia di tutti gli attacchi; 4. verrà condotta una seria attività di bonifica delle aree soggette ad attacchi; 5. tutti gli alleati saranno tenuti informati degli attacchi.
Ora, sebbene tale precisazione sia comunque benvenuta, manca, almeno in questa forma comunicativa, un serio e concreto impegno al rispetto del diritto internazionale umanitario nel suo complesso, non potendo essere sufficienti, a tal riguardo le rassicurazioni circa l’uso esclusivo delle munizioni a grappolo sul territorio ucraino, in parte occupato dai russi, e la garanzia circa l’esclusione delle aree urbane. La prima rassicurazione non offre alcuna garanzia di rispetto del diritto internazionale umanitario perché anche sul territorio ucraino, inclusi i territori occupati, sono presenti aree densamente popolate. La seconda appare troppo generica, giacché sarebbe stato preferibile un richiamo esplicito all’art. 51, comma 4, del PA I, di cui l’Ucraina è parte, e poi perché l’obbligo di distinzione non comporta solo il divieto di attacchi contro aree urbane, ma più in generale il divieto di attacchi indiscriminati contro la popolazione civile.
L’obbligo di far rispettare il diritto internazionale umanitario, ne consegue, dovrebbe indurre gli Stati Uniti, ora che il trasferimento è certo, a esercitare una forte pressione diplomatica affinché sia assicurato il divieto di attacchi indiscriminati nell’uso delle munizioni a grappolo e a monitorare da vicino l’impiego di tali mezzi di guerra.
Se ciò non avvenisse, cioè se l’Ucraina dovesse violare il divieto di attacchi indiscriminati attraverso l’impiego di munizioni a grappolo fornite dagli Stati Uniti, a quest’ultimo Stato si potrebbe imputare un illecito internazionale per violazione di un obbligo di prevenzione (v. Zwijsen, Kanetake, Ryngaert, p. 156 e la giurisprudenza internazionale ivi citata).
Sullo specifico punto dell’imputazione agli Stati Uniti di un illecito internazionale, va anche segnalata la possibilità che si configuri la fattispecie della complicità, nel momento in cui si verificasse una violazione del diritto internazionale umanitario. Sebbene il commentario (p. 66, par. 5) della norma rilevante, l’art. 16 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati, preveda che lo Stato ‘complice’ agisca con l’obiettivo di facilitare la commissione di un illecito internazionale – ciò che non sembra potersi configurare nel caso di specie – vi è chi ritiene che potrebbe essere sufficiente la mera conoscenza della commissione di un illecito internazionale, specialmente nel caso del trasferimento di armi (cfr. David, Turp, Wood, Azarova).
In aggiunta a quanto detto sinora, si potrebbe sin d’ora prefigurare l’istituzione di un meccanismo internazionale che sovrintenda e coordini la bonifica delle aree colpite dalle munizioni a grappolo, ciò che, oltretutto, realizzerebbe anche l’obbligo di cooperazione previsto dal Protocollo sui residui bellici esplosivi (art. 7 e 8) allegato alla Convenzione sulle armi convenzionali, di cui sia l’Ucraina, sia gli Stati Uniti sono parte (v. ancora D. Amoroso, op. cit., p. 826).
5. In conclusione, la mera circostanza che gli Stati Uniti e l’Ucraina non siano parte della Convenzione di Oslo non assolve il primo Stato dal rispetto del fondamentale obbligo di assicurare il rispetto del diritto internazionale umanitario, in particolare del divieto di attacchi indiscriminati, che ha natura consuetudinaria. Se le forze armate ucraine dovessero violare tale divieto nel corso di attacchi condotti con munizioni a grappolo trasferite dagli Stati Uniti, non si dovrebbe a priori escludere la configurazione di un illecito internazionale. Un siffatto illecito, si può aggiungere, non sarebbe giustificabile come una risposta alle certificate e ripetute violazioni del divieto di attacchi indiscriminati imputabili alla Russia nel conflitto in Ucraina, essendo vietate forme di rappresaglia che comportano a loro volta violazioni di diritto internazionale umanitario.
La ferma condanna di queste violazioni non può accompagnarsi a una certa disinvoltura nel fornire armi il cui utilizzo mette a repentaglio la popolazione civile, violando norme fondamentali di diritto internazionale umanitario.
In questa prospettiva, le prese di distanza degli Stati alleati, illustrate nel paragrafo precedente, non sono casuali.
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