Verso una più efficace protezione degli adulti fragili nell’Unione europea
Pietro Franzina (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
La Commissione europea ha presentato il 31 maggio 2023 due proposte volte ad accrescere la protezione degli adulti nelle situazioni con elementi di internazionalità.
Gli adulti di cui parla la duplice iniziativa sono persone che hanno compiuto diciotto anni e che non sono in grado di provvedere da sole ai propri interessi a causa di una limitazione o di un’alterazione delle proprie facoltà cognitive, determinata, ad esempio, da patologie legate all’età o da traumi cerebrali. La loro protezione comporta perlopiù la nomina di una persona incaricata di fornire all’interessato il sostegno di cui questi potrebbe aver bisogno per determinarsi in ordine alla propria persona o al proprio patrimonio, o di rappresentarlo nel compimento degli atti compiuti a questo scopo. Ciò avviene solitamente in forza di una misura giudiziale, come la nomina di un’amministrazione di sostegno secondo il diritto italiano o l’avvio di una Betreuung nel diritto tedesco o di una curatelle secondo il diritto francese. Diversi ordinamenti statali, peraltro, permettono all’interessato, quando è ancora dotato di capacità, di concludere dei negozi volti ad organizzare in via anticipata la propria futura protezione, rilasciando in favore di uno o più fiduciari delle particolari procure per fini di protezione. Anche di questi strumenti – la Vorsorgevollmacht in Germania, il mandat de protection future in Francia, l’enduring power of attorney in Irlanda, etc. – si occupano le due proposte della Commissione.
La prima proposta sollecita l’adozione di una decisione del Consiglio dell’Unione che autorizzi gli Stati membri che ancora non l’hanno fatto (come l’Italia, la Spagna e la Polonia, fra gli altri) a ratificare la convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000 sulla protezione internazionale degli adulti “nell’interesse dell’Unione”, o a rimanerne vincolati a questo titolo, se già ne sono parti (come accade per la Finlandia, la Francia, la Germania, la Grecia e il Portogallo, per nominarne alcuni). La seconda proposta prefigura invece un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che, pur rinviando per vari aspetti alla convenzione, assicurerebbe, nei rapporti fra gli Stati membri dell’Unione, una cooperazione più intensa di quella che la convenzione dell’Aja è già di per sé in grado di realizzare.
In sintesi, le due proposte, concepite dalla Commissione come elementi di un pacchetto unitario, darebbero vita in questo campo ad un duplice livello di armonizzazione delle norme di diritto internazionale privato: da un lato, per effetto della decisione, tutti gli Stati membri dell’Unione abbraccerebbero una disciplina di base – la convenzione dell’Aja del 2000 – comune anche a un certo numero di Stati terzi (per ora il Regno Unito, anche se solo con riguardo alla Scozia, la Svizzera e il Principato di Monaco); dall’altro, grazie al regolamento, la convenzione opererebbe nei rapporti interni all’Unione in una versione modificata, capace di produrre effetti più incisivi di quelli altrimenti raggiungibili grazie ad essa.
Base giuridica
Le due proposte hanno per base giuridica l’art. 81 TFUE, in tema di cooperazione giudiziaria in materia civile. Prefigurano un’armonizzazione “integrale” delle norme di diritto internazionale privato in materia di protezione degli adulti, giacché interessano la disciplina della competenza giurisdizionale, della legge applicabile, della circolazione internazionale delle misure di protezione e della cooperazione fra autorità di Stati diversi.
Allineandosi alla posizione della dottrina maggioritaria (riassunta nella risposta data dalla European Association of Private International Law alla consultazione pubblica promossa dalla Commissione nel 2022, punti 9 ss.), la Commissione riconosce ora che la protezione degli adulti è estranea al “diritto di famiglia”, e che l’adozione di misure di cooperazione giudiziaria in quest’area non esige quindi l’impiego della procedura legislativa speciale prevista dall’art. 81, par. 3, TFUE (questa relegherebbe il Parlamento europeo a un ruolo meramente consultivo ed esigerebbe una deliberazione unanime in sede di Consiglio). È vero che molte persone fragili trovano proprio tra i loro familiari il sostegno di cui possono avere bisogno in ragione della loro condizione. È anche vero, tuttavia, che le esigenze che si tratta di soddisfare in questo campo fanno capo essenzialmente alla persona interessata, e investono, al più, solo in modo mediato le relazioni familiari che lo riguardano. La protezione degli adulti, in altre parole, è intesa principalmente a garantire la dignità e l’autonomia del beneficiario: non costituisce, propriamente, una conseguenza giuridica delle relazioni familiari che possono esistere fra l’interessato e chi interviene per assisterlo o per rappresentarlo, né incide come tale sulla fisionomia di quelle relazioni.
La prima delle due proposte, quella che dovrebbe condurre alla ratifica della convenzione dell’Aja del 2000 da parte di tutti gli Stati membri, concerne le relazioni esterne dell’Unione europea. L’Unione non può divenire essa stessa parte della convenzione, essendo questa aperta solo agli Stati, non dunque alle organizzazioni internazionali. Il solo modo, per l’Unione, di integrare la convenzione nell’acquis comunitario consiste allora nell’autorizzare gli Stati membri a divenirne o rimanerne parti “nell’interesse dell’Unione”, analogamente a quanto è accaduto qualche anno fa per la convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla protezione dei minori (dalla quale peraltro la convenzione del 2000 mutua l’impianto e molte soluzioni). Per compiere un passo in questa direzione è comunque necessario verificare che la conclusione della convenzione ricada nel perimetro della competenza, appunto, esterna dell’Unione.
Non esistendo, al momento, alcuna misura legislativa dell’Unione riguardante la protezione degli adulti, si è sostenuto in dottrina che il criterio pertinente, a questo scopo, sia quello posto dall’art. 216, par. 1, TFUE nella parte in cui riconosce il potere dell’Unione di concludere una convenzione quando ciò sia “necessario” al fine di “realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati”. Per giustificare la proposta, la Commissione ha accolto, invece, un orientamento diverso. Forte della seconda proposta – quella volta all’adozione di un regolamento “complementare” alla convenzione – ha ritenuto che venisse in rilievo in questo caso la parte dell’art. 216, par. 1, TFUE in cui si prevede che l’Unione ha il potere di concludere un accordo internazionale quando questo “possa incidere su norme comuni o alterarne la portata”. In sintesi, proponendo contestualmente la ratifica della convenzione e l’adozione di un regolamento teso corroborarne gli effetti, la Commissione ha fatto del secondo intervento la condizione logico-giuridica per affermare in capo all’Unione il potere di decidere in ordine al primo intervento. Detto altrimenti: l’Unione, nell’intendimento della Commissione, dovrebbe considerarsi competente a decidere sulla ratifica della convenzione perché è pronta a dotarsi di una misura legislativa interna i cui effetti verrebbero alterati se la convenzione non fosse in vigore per l’insieme degli Stati membri.
Agli occhi della Commissione, il ragionamento ha verosimilmente il pregio di inquadrarsi entro uno schema conosciuto: la competenza esterna dell’Unione per la conclusione di convenzioni di diritto internazionale privato è stata sin qui sempre ritenuta sussistente in ragione dell’incidenza delle convenzioni di volta in volta considerate sulla legislazione già adottata. La via alternativa, invece, avrebbe richiesto la dimostrazione di un requisito – quello della “necessità” di una ratifica generalizzata della convenzione dell’Aja del 2000 da parte degli Stati membri per conseguire gli obiettivi dei trattati – su cui la Commissione ha probabilmente ritenuto di non disporre di argomenti sicuri (non devono essere parsi tali quelli affacciati a questo fine nello studio che la Commissione ha fatto eseguire nel 2022 per delineare i possibili scenari di un intervento normativo in quest’ambito, p. 132 ss.).
Diritti fondamentali dell’interessato e diritto internazionale privato
Entrambe le proposte della Commissione richiamano la convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità. La loro adozione, come suggerito da tempo dalla dottrina, assicurerebbe in effetti una più piena attuazione degli obblighi assunti da tutti gli Stati membri dell’Unione e dall’Unione stessa in forza della convenzione.
L’art. 12 della convenzione delle Nazioni Unite, dopo aver riconosciuto il diritto delle persone con disabilità al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica, impone agli Stati contraenti di adottare delle misure volte a consentire l’accesso delle persone interessate al sostegno di cui queste potrebbero aver bisogno per esercitare la propria capacità. La convenzione esige che tali misure rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona da proteggere, siano messe al riparo da possibili conflitti di interesse, siano calibrate sulle condizioni e le specifiche esigenze dell’interessato, siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario.
Per quanto la convenzione non lo dica in modo esplicito, la realizzazione dei diritti fondamentali delle persone con disabilità impegna gli Stati in rapporto alle situazioni puramente interne come in rapporto a quelle che presentano nessi con più Stati. Per queste ultime, peraltro, le strategie che gli Stati devono adottare per conformarsi agli imperativi posti dalla convenzione sono diverse da quelle che si impongono in situazioni che si esauriscano all’interno di un solo paese. Nei casi internazionali, quegli imperativi comportano che gli Stati coinvolti siano pronti a stabilire fra loro qualche forma di cooperazione e siano disposti ad aprire reciprocamente i rispettivi ordinamenti, tramite le norme di diritto internazionale privato (sul tema, di recente, Franzina). Ad esempio, lo Stato X rischierebbe di venire meno all’obbligo di salvaguardare l’interessato da eventuali influenze indebite se negasse per principio ogni rilievo alle misure di protezione assunte nello Stato Y, giacché, così facendo, esporrebbe l’interessato al rischio di subire delle indebite interferenze nello stesso Stato X, perlomeno fin quando le autorità locali non abbiano assunto a loro volta delle proprie misure di protezione. Analogamente, le autorità dello Stato X rischierebbero di frustrare le volontà e le preferenze dell’interessato ove affermassero per principio che la procura per fini protettivi rilasciata da quest’ultimo a un suo fiduciario è priva di qualsiasi effetto nell’ordinamento dello Stato X solo perché compiuta conformemente alla legge dello Sato Y, con cui pure la fattispecie risulta collegata.
La realizzazione dei diritti sanciti dalla convenzione delle Nazioni Unite nei casi internazionali non implica, va da sé, un’apertura incondizionata alle determinazioni di altri paesi, cioè una disponibilità senza limiti ad applicare le rispettive norme e dare effetto ai provvedimenti delle rispettive autorità. Esige, semmai, la messa a punto di norme di diritto internazionale privato ispirate ai valori della convenzione stessa (la dignità, l’autonomia, la non discriminazione e l’integrazione sociale dell’interessato), pensate per minimizzare gli inconvenienti che l’internazionalità della situazione rischia altrimenti di provocare. Gli inconvenienti più comuni che un diritto internazionale privato coerente alla convenzione delle Nazioni Unite dovrebbe proporsi di contrastare sono la discontinuità della protezione dell’interessato nello spazio (è il caso che si verifica quando l’interessato è protetto nello Stato A ma non nello Stato B), la moltiplicazione non coordinata delle misure di protezione relative alla medesima persona (come avviene quando si occupano dell’interessato, senza raccordare i rispettivi interventi, tanto le autorità dello Stato A quanto quelle dello Stato B), il disaccordo quanto agli effetti materiali delle diverse misure di protezione relative alla medesima persona (è quanto accade, ad esempio, quando il rappresentante dell’interessato è legittimato a compiere un certo atto secondo la legge dello Stato A, mentre quell’atto integra una violazione delle prescrizioni dello Stato B), l’assenza di di un quadro di dialogo e mutua assistenza fra autorità di Stati diversi (come nell’ipotesi in cui le autorità dello Stato A non dispongono di “canali” di comunicazione efficaci per acquisire presso lo Stato B, dove magari l’interessato viene a trovarsi, delle informazioni necessarie per determinarsi sulla sua protezione).
La convenzione dell’Aja del 2000, benché conclusa quando la convenzione delle Nazioni Unite era ancora oggetto di trattative, poggia sui valori che quest’ultima propugna e delinea delle soluzioni coerenti ad essi per quanto concerne la competenza giurisdizionale, la legge applicabile, il riconoscimento delle misure di protezione straniere e la cooperazione fra autorità.
Un esempio per tutti. La convenzione si preoccupa di assicurare un agevole accesso alla giustizia da parte di chi voglia chiedere l’adozione di misure volte alla protezione della persona o del patrimonio di un adulto fragile. Le norme sulla competenza giurisdizionale contenute nella convenzione mirano a far sì che a decidere sulla protezione possa essere un giudice particolarmente ben collocato per conoscere le circostanze dell’adulto e per intervenire prontamente (non solo per istituire un regime di protezione, ma anche per modificarlo o per revocarlo, se del caso). Si spiega alla luce di questi scrupoli l’art. 5, secondo cui la competenza giurisdizionale spetta per regola alle autorità dello Stato in cui l’interessato risiede abitualmente. La convenzione, allo stesso tempo, mostra di essere consapevole che possono esistere dei casi in cui i giudici di altri Stati sono in una posizione egualmente buona, se non migliore, per apprezzare le esigenze dell’adulto in questione, e prefigura – a questo fine – degli altri titoli di giurisdizione. Questo ampliamento delle opportunità di ascolto giurisdizionale è però improntata nella convenzione a una logica protettiva (l’esercizio della giurisdizione da parte di altri giudici è possibile solo quando ciò appaia conforme all’interesse dell’adulto), ed è corredata dalla predisposizione di meccanismi per assicurare l’efficace coordinamento dei procedimenti paralleli. Le autorità dello Stato di cittadinanza, ad esempio, possono intervenire solo se si ritengono meglio collocate per proteggere l’interessato. E se decidono di intervenire, devono avvisare i giudici dello Stato di residenza abituale e devono astenersi dall’adottare proprie misure ove questi ultimi ne assumano di proprie o stabiliscano che l’adulto non ne richieda alcuna.
Articolazioni di questo genere sono coerenti ai valori della convenzione delle Nazioni Unite perché riducono il pericolo che l’internazionalità della situazione ostacoli la protezione dell’interessato, evitando nello stesso tempo il rischio che l’istituzione di una pluralità di fori concorrenti possa condurre all’emanazione di misure inconciliabili. La garanzia – egualmente assicurata dalla convenzione dell’Aja – di un’agevole circolazione internazionale delle misure rafforza ulteriormente la protezione degli interessati permettendo loro di far valere senza particolari ostacoli nei diversi Stati contraenti le decisioni rese nello Stato alle cui autorità la convenzione dell’Aja attribuisca la competenza.
La combinazione di regole universali e regionali
Non stupisce che la Commissione abbia deciso di fare della convenzione dell’Aja del 2000 il regime internazionalprivatistico di base in materia di protezione degli adulti. Le ragioni sottese a questa scelta sono almeno quattro.
Per cominciare, le opinioni espresse da studiosi e pratici in merito alla convenzione sono nell’insieme estremamente positive: si tratta di un regime che si fa carico, salvo qualche limitata lacuna, dell’insieme delle questioni che possono sorgere in rapporto alla protezione di un adulto in casi internazionali, dettando soluzioni di provata efficacia sul piano pratico, capaci di contemperare esigenze diverse (l’efficace protezione dell’interessato nei vari scenari in cui tale protezione può rendersi necessaria, la salvaguardia delle aspettative nutrite dai terzi che entrano in contatto con l’interessato o con chi lo rappresenta, l’efficiente intervento delle autorità pubbliche coinvolte, come quelle che amministrano le strutture in cui può essere assicurata la protezione dell’adulto, etc.).
In secondo luogo, si è formata attorno alle norme della convenzione una prassi applicativa non trascurabile, oltretutto tradottasi in un manuale pratico (di imminente pubblicazione, ma disponibile sin d’ora in una versione preliminare), elaborato in seno alla Conferenza dell’Aja nel quadro della Commissione speciale tenutasi nel 2022 e dedicata, appunto, alla convenzione del 2000.
La convenzione, in terzo luogo, è già ora in vigore per quasi metà degli Stati membri e potrebbe essere ratificata da altri Stati membri dell’Unione prima ancora che il Consiglio imponga loro di farlo (è il caso, ad esempio, del Lussemburgo). Nulla indica che questi Stati siano pronti ad abbandonare quel regime per dar vita ad una disciplina diversa, da costruire ex novo. Vi è semmai un diffuso orientamento favorevole a consolidare quel regime.
È bene infine rammentare che la convenzione dell’Aja è in vigore per diversi Stati terzi, vicini all’Unione. In un futuro non troppo remoto potrebbe essere ratificata da altri Stati terzi, come suggerisce, ad esempio, la risposta data dal Messico a un questionario diffuso nel 2020 dal Permanent Bureau della Conferenza. Il dato sembra essere particolarmente significativo nella prospettiva dell’Unione perché nel campo della protezione degli adulti non ha molto senso tracciare una linea di demarcazione netta fra situazioni soggette a regole regionali e situazioni per le quali operano invece delle norme a vocazione universale. Una stessa persona può infatti avere degli interessi, personali o patrimoniali, sia dentro l’Unione che fuori di essa; e visto che la condizione di vulnerabilità di una persona adulta può durare per molti anni, se non per decenni, non è improbabile che quegli interessi conoscano, nel tempo, una sequenza di localizzazioni diverse, ora all’interno dello spazio regionale, ora al di fuori dei suoi confini. Scenari di questo genere sono più facili da regolare se la disciplina che opera a livello regionale è coerente allo standard globale della materia.
Senonché, come anticipato, la convenzione dell’Aja del 2000, pur offrendo una disciplina di base coerente alle esigenze della Commissione, detta delle soluzioni che faticano in qualche caso a soddisfare l’elevatissimo grado di fiducia reciproca che gli Stati membri dell’Unione si sono abituati a perseguire nel campo della cooperazione giudiziaria in materia civile. Si aggiunga che la convenzione, a dispetto delle sue qualità d’insieme, offre in qualche caso delle soluzioni solo parzialmente soddisfacenti.
Da qui l’idea della Commissione, già affacciata in uno studio preparato nel 2016 per il Parlamento europeo, di affiancare alle regole della convenzione delle disposizioni regionali, volte ad aumentare l’efficacia del regime convenzionale nei rapporti fra gli Stati membri e a rimediare ai limiti che esso presenta.
Si tratta, beninteso, di una formula collaudata. Il precedente forse più significativo riguarda la cooperazione internazionale in funzione del ritorno di minori sottratti o trattenuti in uno Stato diverso da quello della loro residenza abituale. La disciplina dell’Unione europea, oggi racchiusa nel regolamento Bruxelles II ter, rappresenta lo sviluppo di quella dettata dalla convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione di minori, che ne costituisce per così dire lo sfondo, continuando ad operare nelle relazioni intercorrenti fra i singoli Stati membri, da un lato, e gli Stati terzi vincolati dalla convenzione.
Prima di dar conto di alcuni degli interventi che la Commissione propone di effettuare per accrescere la funzionalità della convenzione dell’Aja in ambito europeo, giova spendere qualche parola sul coordinamento dei due testi, ossia la convenzione stessa e il futuro regolamento.
Giova premettere che la proposta di regolamento prefigura, in generale, degli interventi assai diversi fra loro. Ai fini che qui interessano è bene distinguere due categorie di interventi: da un lato, gli interventi che attengono solo all’attuazione della convenzione sul piano interno; dall’altro, gli interventi comportanti l’adozione di regole che si discostano, in maniera più o meno marcata, dalle previsioni della convenzione.
Gli interventi del primo tipo non fanno sorgere, evidentemente, dei problemi di coordinamento, collocandosi in un’area in cui i singoli Stati contraenti sono liberi, in base alla convenzione, di adottare le misure che reputano preferibili, anche coordinandosi fra loro. Si inscrive in questo insieme di innovazioni la creazione negli Stati membri di registri pubblici sui poteri di rappresentanza, e la loro interconnessione, previste dal capo VIII del regolamento.
Considerazioni diverse valgono, invece, per il secondo gruppo di interventi, quelli implicanti degli scostamenti dal dettato della convenzione. Occorre partire, a questo proposito, da una duplice considerazione.
Va rilevato, per cominciare, che la convenzione dell’Aja prevede espressamente, all’art. 49, che due o più Stati contraenti possano derogare alla convenzione stessa, nei loro reciproci rapporti, tramite un accordo internazionale o uno strumento regionale, salvo precisare che tali deroghe operano solo quando si tratti della protezione di una persona la cui residenza abituale si trovi in uno degli Stati in questione. I regimi di deroga, inoltre, lasciano ovviamente impregiudicati gli obblighi che tali Stati hanno assunto in forza della convenzione nei confronti degli altri Stati contraenti.
Giova osservare, in secondo luogo, che la convenzione si limita a fissare, per quanto riguarda l’efficacia delle misure di protezione e la cooperazione fra autorità, dei requisiti minimi, senza impedire ai singoli Stati contraenti di dotarsi, se lo desiderano, di un regime più favorevole alla realizzazione degli obiettivi della convenzione. Indica, cioè, i presupposti in presenza dei quali le autorità di uno Stato contraente devono ritenersi obbligate, secondo la convenzione, a dare effetto alle misure provenienti da un altro Stato contraente o alle richieste di assistenza delle autorità di un tale Stato, ma non esclude che il primo Stato possa riconoscere quelle misure o prestare l’assistenza richiesta anche quando una o più delle condizioni previste dalla convenzione faccia difetto, se così stabiliscono le norme interne o quelle elaborate per regolare i rapporti fra gli Stati interessati.
La proposta di regolamento rispecchia questa duplice opportunità accordata agli Stati contraenti di deviare dal regime convenzionale. Ai sensi dell’art. 59, il regolamento opera, innanzitutto, quando l’adulto di cui trattasi abbia la residenza abituale in uno Stato membro, salvo non ricorrano delle particolari circostanze, indicate dalla norma, in cui l’applicazione del regolamento violerebbe gli obblighi dovuti a uno Stato estraneo all’Unione ma vincolato dalla convenzione; il regolamento si applica anche quando, a prescindere dalla condizione appena indicata, si faccia questione della efficacia di misure di protezione rese in uno Stato membro. La convenzione continuerà dunque ad operare, sul terreno del riconoscimento e della esecuzione delle decisioni, quando si discorra della efficacia di una misura di protezione resa in uno Stato contraente estraneo all’Unione europea, mentre verrebbe rimpiazzata dalle norme regionali quando sia in gioco l’efficacia di una misura di protezione pronunciata in uno Stato membro. Analogamente, la cooperazione fra autorità obbedirebbe nei rapporti fra gli Stati membri alle disposizioni del regolamento, mentre risponderebbe alle norme della convenzione ogniqualvolta si tratti di richieste provenienti da, o rivolte a, uno Stato contraente che non faccia parte dell’Unione.
In che cosa il regolamento si discosta dalla convenzione dell’Aja…
È qui possibile segnalare, e unicamente nelle grandi linee, solo tre delle deviazioni dal regime convenzionale prefigurate dalla Commissione.
La prima deviazione riguarda la disciplina della competenza giurisdizionale. La Commissione suggerisce di ampliare il novero dei fori presso i quali può essere sollecitata l’adozione di misure di protezione dell’adulto offrendo a quest’ultimo la possibilità di identificare lui stesso lo Stato membro i cui giudici ritiene che debbano essere muniti di giurisdizione. La convenzione accorda un peso limitato alle determinazioni della persona interessata relativamente alla competenza giurisdizionale: l’adulto può, sì, stipulare di affidare la competenza ai giudici di un dato Stato, ma tale dichiarazione di volontà non basta ad investire quei giudici del potere di pronunciarsi sulla sua protezione. Una simile dichiarazione giustifica, al massimo, un trasferimento di competenza, ai sensi dell’art. 8 della convenzione ad opera dei giudici che la convenzione indichi come competenti in via obiettiva, sempre che questi reputino che un tale trasferimento sia conforme all’interesse dell’adulto. In forza del regolamento proposto dalla Commissione (art. 6), la scelta dell’interessato integrerebbe invece di per sé, direttamente, l’attribuzione della competenza al giudice scelto. Tre condizioni dovrebbero comunque concorrere a questo fine: la scelta dovrebbe (ovviamente) risalire a un’epoca alla quale il disponente era capace di determinarsi; l’esercizio della competenza nel foro scelto deve apparire conforme all’interesse dell’adulto; i giudici competenti in forza della convenzione (siano essi giudici di uno Stato membro o di uno Stato contraente della convenzione, estraneo all’Unione) non devono aver esercitato la giurisdizione. La disposizione, ai sensi del già ricordato art. 59 della proposta, opererebbe comunque solo con riguardo agli adulti abitualmente residenti in uno Stato membro dell’Unione.
La seconda deviazione riguarda la circolazione internazionale delle misure di protezione. Le norme della convenzione rispecchiano uno scrupolo di accelerazione e semplificazione dei procedimenti necessari al riconoscimento e all’esecuzione delle misure di protezione provenienti da uno Stato contraente. Il regolamento prospetta l’introduzione, nei rapporti fra gli Stati membri, di un regime ancor più liberale. Le novità attengono tanto alle condizioni alle quali potranno essere invocati in uno Stato membro gli effetti di una misura di protezione resa in un altro (la proposta prevede che non sarà più possibile negare il riconoscimento di una misura per ragioni attinenti alla competenza dell’autorità che l’ha pronunciata, come prevede invece la convenzione), quanto ai presupposti in presenza dei quali potranno essere spesi in uno Stato membro gli effetti esecutivi di una misura adottata in un altro (la proposta abolisce il requisito dell’exequatur, che la convenzione, di per sé, continua invece a prescrivere).
La terza innovazione a cui vale la pena fare un cenno consiste nella creazione di un certificato europeo sui poteri di rappresentanza, pensato per rendere agevole al rappresentante dell’adulto la prova dell’esistenza e dell’ampiezza dei poteri di cui è investito, a prescindere dal fatto che tali poteri derivino da un provvedimento giudiziale o da una procura dell’interessato. La convenzione già prevede un suo certificato, all’art. 38. Nella prassi, però, il suo impiego è stato, sin qui, del tutto trascurabile. L’Unione, per contro, ha maturato nel campo dei certificati un’esperienza ragguardevole, in particolare grazie al certificato successorio europeo istituito col regolamento (UE) n. 650/2012. Nasce da qui l’idea della Commissione di istituire a questo fine un certificato europeo, investito delle stesse funzioni del certificato convenzionale ma affiancato da un’articolata disciplina di accompagnamento, di cui il regime dell’Aja è invece sprovvisto. In breve, anche il certificato europeo, come quello della convenzione, produce degli effetti probatori qualificati di cui possono avvalersi i terzi con cui il rappresentante entri in contatto (le indicazioni ivi riportate si presumono conformi a quanto risulta nella specie dalla legge applicabile o dai provvedimenti pertinenti). In più, però, il regolamento affronta una vasta gamma di aspetti pratici, concernenti, fra le altre cose, le condizioni di rilascio, modifica, rettifica e revoca del certificato, e inoltre fissa, assai opportunamente, un termine di durata del certificato, pari per regola a un anno. Di fatto, sotto il regolamento, le autorità degli Stati membri potrebbero essere sollecitate ad emettere due diverse specie di certificati (anche se verosimilmente integrabili in un unico documento): da un lato, lo stringato certificato previsto dall’art. 38 della convenzione, destinato ad essere usato negli Stati contraenti della convenzione estranei all’Unione europea; dall’altro, il certificato europeo, capace però di effetti solo negli Stati membri dell’Unione.
… e in che cosa, invece, il regolamento si allinea alla convenzione
Al di là delle deviazioni di cui si è (solo parzialmente) dato conto nel paragrafo precedente, il regolamento fa propria, tramite una serie di rinvii di portata generale, la disciplina dettata dalla convenzione.
In questo quadro, molte disposizioni della convenzione sono destinate ad applicarsi, negli Stati membri, senza subire alcuna alterazione o specificazione. È il caso, in particolare, delle norme sulla legge applicabile. Una sola disposizione è dettata a questo proposito dal regolamento (l’art. 8), e si accontenta di richiamare in blocco le previsioni del capo III della convenzione.
La soluzione non sorprende. Eventuali deroghe alle norme convenzionali creerebbero in quest’ambito degli inconvenienti di difficile soluzione. Si prenda, ad esempio, la questione della legge applicabile alle procure rilasciate dall’interessato in vista di una futura incapacità. AI sensi dell’art. 15 della convenzione, tali negozi soggiacciono, per regola, alla legge del paese in cui il rappresentato aveva la residenza abituale al momento del rilascio, salva la possibilità, per l’adulto in questione, di compiere una optio iuris, purché a favore di una delle leggi ricomprese nell’elenco stilato a questo fine dalla norma: la legge dello Stato di cittadinanza, quella dello Stato di una precedente residenza abituale, o ancora la legge dello Stato in cui si trovano dei beni dell’interessato ma con effetti, allora, limitati a quei beni. Ipotetiche “varianti” europee a questo regime pregiudicherebbero lo scopo pratico della previsione appena ricordata, che consiste nell’assicurare la spendibilità dei poteri conferiti a suo tempo dall’interessato nell’insieme degli Stati contraenti, ove si tratti di poteri conformi alla legge richiamata a questo fine dalla convenzione. Si immagini, per esempio, che si faccia questione della protezione di Tizio, organizzata dallo stesso Tizio, quando questi risiedeva in Québec, tramite un mandat d’inaptitude conforme alla legge del Québec. Premesso che la normativa di conflitto della convenzione è dotata di efficacia universale (è capace, in altri termini, di richiamare indifferentemente la legge di uno Stato vincolato dalla convenzione o di uno Stato estraneo ad essa, come il Canada), il fiduciario di Tizio sarà in grado di esercitare il suo ufficio nei vari paesi in cui ciò si riveli necessario – in ipotesi, degli Stati membri dell’Unione e degli Stati terzi che però siano parti della convenzione – solo se in ciascuno di questi paesi la legge applicabile al mandato risulti essere la stessa. Tale condizione può essere soddisfatta solo assicurando la piena uniformità delle norme di conflitto operanti in tali paesi, evitando dunque qualsiasi declinazione regionale.
Se è chiaro, quindi, che in questo campo era bene non alterare le disposizioni della convenzione, è più difficile capire per quale ragione la Commissione non abbia voluto cogliere l’opportunità della proposta di regolamento per integrare le norme di conflitto della convenzione là dove queste presentano una lacuna. In alcuni ordinamenti – quello austriaco, per esempio – la rappresentanza degli adulti fragili è assegnata ex lege ad un congiunto. Si tratta di poteri di rappresentanza che permettono di compiere solo un novero circoscritto di atti (prestare il consenso a determinati interventi medici, ad esempio), spendibili oltretutto solo se l’interessato non abbia nominato un proprio fiduciario o non benefici di un regime di protezione giudiziale. Senonché, come chiarito nelle conclusioni della già ricordata commissione speciale del 2022 (punti 21 ss.), la convenzione, che pure si occupa in linea di principio di ogni forma di protezione degli adulti, non detta alcuna norma di conflitto in tema di rappresentanza legale. In questo senso, nulla impedisce che il futuro regolamento disponga in ordine alla legge applicabile alla rappresentanza ex lege, colmando una lacuna della convenzione, in armonia con i principi della stessa.
Rilievi conclusivi e prospettive
La duplice proposta della Commissione giunge quando manca meno di un anno alla fine della legislatura del Parlamento europeo, in una fase in cui la stessa Commissione è preoccupata ad assicurare la chiusura ordinata dei principali dossier aperti più che a promuoverne di nuovi. Alla luce di ciò, considerata la complessità tecnica della materia e il carattere innovativo di molte delle soluzioni prefigurate dalla Commissione, è difficile pensare che il pacchetto possa essere adottato in tempi brevi.
Con l’iniziativa della Commissione, il tema della protezione degli adulti nei casi internazionali entra oramai formalmente, e con decisione, nell’agenda delle istituzioni politiche dell’Unione. Si tratta di uno sviluppo non scontato. Nel 2017 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per affermare la necessità di un intervento dell’Unione in questo campo, ma quella presa di posizione, anche se salutata con favore dalla dottrina (come attesta in particolare uno studio elaborato dallo European Law Institute e adottato nel 2020), ha suscitato presso la Commissione, inizialmente, una risposta piuttosto fredda. È stato necessario attendere il 2021 perché il Consiglio dell’Unione adottasse delle conclusioni con cui, oltre a incoraggiare gli Stati membri a ratificare quanto prima la convenzione dell’Aja del 2000, ha invitato la Commissione a valutare la “necessità di un quadro giuridico all’interno dell’Unione europea che faciliti la libera circolazione delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali sulla protezione degli adulti vulnerabili in materia civile”, per presentare poi una relazione sui risultati dello studio, “corredata, se del caso, di proposte legislative”.
Il cantiere è dunque aperto, ed è ragionevole pensare che possa esserlo per un certo tempo. Ciò non impedisce ai singoli Stati membri di provvedere intanto per proprio conto a migliorare la protezione degli adulti fragili nei casi internazionali, in particolare ratificando, se non l’hanno ancora fatto, la convenzione dell’Aja del 2000.
L’Italia, come si è cercato di dimostrare altrove, ha forse più ragioni degli altri Stati membri a intraprendere senza ulteriori ritardi questo cammino, vuoi perché la popolazione italiana è la più vecchia d’Europa, vuoi perché le norme attualmente in vigore in questo campo (fondamentalmente gli articoli 3, 9, 43, 44, 66 e 66 della legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) non sono in grado di assicurare i delicati compiti a cui sono preposte.
Il Consiglio dei Ministri ha deliberato, il 25 maggio 2023, di presentare alle Camere un disegno di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della convenzione. Il testo della proposta non era peraltro ancora noto al momento di licenziare questo scritto, e non è vi è dunque modo di stabilire se il nuovo tentativo di ratifica (vi fu un disegno di legge di iniziativa governativa nel 2014, seguito da uno di iniziativa parlamentare nel 2021, riproposto con poche modifiche nel 2022: tutte proposte rimaste senza seguito) prefiguri i pochi ma indispensabili adeguamenti delle norme interne che la convenzione richiede, o se invece trascuri anch’esso questo aspetto.
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