La Tunisia tra due fuochi: la condizionalità del Fondo Monetario Internazionale e un debito sovrano insostenibile
Anna Viterbo (Università di Torino)
Queste brevi riflessioni vogliono contribuire a portare chiarezza nel dibattito sul recente rifiuto del Presidente della Tunisia Kais Saied di piegarsi ai “diktat” posti del Fondo Monetario Internazionale (FMI) per la concessione di un prestito di 1,9 miliardi di dollari.
Da un lato, vi è chi sostiene che un prestito del FMI potrebbe contribuire ad alleviare le gravi difficoltà finanziarie in cui si trova la Tunisia e a rafforzare la fiducia nel Paese, catalizzando nuovi investimenti privati e rallentando il flusso di migranti verso l’Europa. Dall’altro lato, vi è chi ritiene che le riforme richieste dal Fondo non farebbero che peggiorarne l’instabilità socio-economica, aumentando la povertà e il livello di disuguaglianze sociali all’interno del Paese.
Per meglio orientarsi tra queste due posizioni così nette è necessario contestualizzare la questione, a partire da alcuni dati.
La Tunisia è uno Stato a reddito medio-basso che, in quanto tale, non può beneficiare dei prestiti erogati a condizioni agevolate ai paesi più poveri dall’Associazione Internazionale per lo sviluppo (IDA) o dallo stesso FMI.
I dati relativi al 2020 fotografano un Paese con un tasso di disoccupazione del 16% (che peraltro nella fascia di età compresa tra i 15 e 24 anni raggiunge il 38%), un tasso di inflazione dell’8,3% e una percentuale della popolazione in grave insicurezza alimentare del 12,6%.
Il Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno contribuito ad esacerbare la situazione, tanto che, nel 2022, la continuità della produzione di grano e l’accesso ininterrotto al pane per le famiglie povere e vulnerabili sono stati resi possibili solo grazie ad un progetto finanziato dalla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS).
La crisi multi-dimensionale che caratterizza il nostro tempo (‘polycrisis’) ha inoltre contribuito ad un innalzamento del livello di indebitamento del Paese: se già nel febbraio 2021, a conclusione delle consultazioni bilaterali ex Art. IV dello Statuto, il FMI riteneva tale debito insostenibile, la situazione appare oggi ancora più grave.
Si noti che ben il 72.3% del debito sovrano tunisino è dovuto a creditori ufficiali. Più nello specifico, il 54,1% del debito è dovuto ad organizzazioni internazionali: il 14,1% alla Banca Mondiale, l’11,1% alla Banca Africana di Sviluppo, l’8,7% al FMI e l’8,6% alla Banca Europea per gli Investimenti; mentre il 18,2% è dovuto a creditori bilaterali, in particolare Francia, Giappone, Arabia Saudita e Kuwait. Solo il 27.7% del debito è detenuto da privati, i.e. banche commerciali o bondholders (v. IMF, Tunisia: Staff Report for the 2021 Article IV Consultation, febbraio 2021, p. 55, disponibile qui).
L’alta esposizione verso creditori multilaterali rende impensabile procedere ad una ristrutturazione del debito sovrano, essendo FMI, Banca Mondiale e banche multilaterali di sviluppo protetti dallo status di creditori privilegiati. I debiti dovuti a tali creditori possono essere cancellati solo a fronte di situazioni eccezionali che sino ad ora si sono verificate soltanto una volta negli anni ’90, quando è stata adottata la Heavily Indebted Poor Countries Initiative – HIPC.
Oggi siamo purtroppo ben lontani da una nuova iniziativa simile all’HIPC che includa anche le economie a medio-reddito, nonostante siano molti coloro che sostengono che ci si trovi di fronte ad una nuova crisi del debito di carattere sistemico e che l’esclusione dei creditori privilegiati dalla ristrutturazione del debito precluda ai Paesi più vulnerabili la possibilità di intraprendere un percorso di crescita sostenibile (si vedano ad esempio i Draft Commentary on the Guiding Principles on foreign debt and human rights, marzo 2014, p. 17).
A fronte di tale quadro, si può trarre una prima conclusione: il prestito eventualmente erogato dal FMI andrebbe ad accrescere il livello di indebitamento del Paese (per di più verso un creditore privilegiato) ed il costo del servizio del debito.
Ci si deve quindi chiedere se la delicata scelta politica di richiedere assistenza finanziaria al FMI e di accettarne la condizionalità possa essere altrimenti giustificata.
Ciò che sappiamo sulle riforme che sarebbero finanziate dal prestito è descritto nella press release sull’accordo di principio raggiunto tra i funzionari del FMI ed il governo della Tunisia nell’ottobre 2022 (staff level agreement):
“The new [loan] will support the authorities’ economic reform program to restore Tunisia’s external and fiscal stability, enhance social protection, and promote higher, greener, and inclusive growth and private sector-led job creation. Specifically, the authorities’ reform program will:
- Improve tax equity by taking steps to bring the informal sector into the tax net and broadening the tax base to ensure equitable contributions from all professions.
- Contain expenditures and create fiscal space for social support. The authorities have already taken steps to contain the civil service wage bill and started to gradually phase out generalized wasteful price subsidies through regular price adjustments that link domestic prices to international prices, while providing adequate targeted protection to vulnerable segments (including through social transfers).
- Strengthen the social safety net by increasing cash transfers and expanding the coverage of social safety nets to compensate vulnerable households for the impact of higher prices.
- Embark on a comprehensive agenda to reform state-owned enterprises, starting with the enactment of a new SOE law.
- Step up structural reforms to enhance competition and create a transparent and level-playing field for investors by streamlining and simplifying investment incentives.
- Strengthen governance and transparency in the public sector, including with a comprehensive governance diagnostic to establish a roadmap for reforms.
- Adapt and build resilience to climate change by promoting investments in renewable energy as well as land and (waste) water management, and measures to preserve Tunisia’s coast lines, agriculture, health, and tourism.”
Al di là dei buoni propositi dell’accordo ‘condiviso’ da autorità tunisine e FMI, ci si può facilmente rendere conto che il programma di riforme previsto richiede un pesante aggiustamento interno, volto a portare il saldo primario in positivo (a partire dal -8,2% del 2020). Per raggiungere questo obiettivo, la Tunisia dovrà ridurre la spesa per i salari degli impiegati nella pubblica amministrazione, far emergere il settore informale e tassarlo, eliminare gradualmente i sussidi per carburante e generi alimentari e sostituirli con altre forme di sicurezza sociale.
Occorre ammettere che la recente attenzione del FMI alle social safety nets rappresenta sicuramente una svolta positiva che testimonia un parziale, per quanto lento, abbandono di una prospettiva rigorosamente neoliberalista (v. qui). Tuttavia, non sempre è oro ciò che luccica.
Uno studio recente dimostra come la riduzione dei sussidi per carburanti e generi alimentari renderebbe i beni di prima necessità inaccessibili a molte famiglie tunisine, porterebbe ad una contrazione delle attività produttive e genererebbe gravi disordini sociali. Inoltre, l’introduzione di reti di sicurezza sociale più mirate (“targeted”) si tradurrebbe nell’esclusione delle classi medie da ogni copertura, aumentandone la vulnerabilità e la tendenza a scivolare nella povertà.
Inoltre, per le ragioni sopra spiegate, le riforme previste non includono alcuna misura di ristrutturazione del debito e, anzi, l’aggiustamento interno mira a garantire che l’elevato servizio del debito previsto tra il 2021 e il 2025 possa essere puntualmente pagato.
I due precedenti programmi legati ai prestiti del FMI (2013 e 2016) non hanno contribuito a migliorare la situazione del Paese. Forse è giunto il momento di cambiare ricetta, con o senza il Fondo Monetario Internazionale.
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