La reazione del Governo italiano al (nuovo) ricorso tedesco di fronte alla CIG. Prime note sugli effetti dell’art. 43 d.l. 30 aprile 2022, n. 36
Giovanni Boggero, Università di Torino
A quasi un decennio dalla sentenza con la quale la Corte costituzionale ha “(ri)aperto la strada” al legittimo accertamento da parte dei giudici italiani dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal Terzo Reich sul nostro territorio, il 25 maggio 2022 la Corte d’appello di Roma avrebbe dovuto autorizzare la vendita all’asta di quattro immobili della Repubblica federale tedesca: l’Istituto archeologico germanico, la Scuola germanica, il Goethe Institut e l’Istituto storico germanico, tutti aventi sede a Roma. Per la prima volta sarebbe, così, stata data soddisfazione attraverso esecuzione forzata alle pretese risarcitorie delle vittime dei crimini nazisti, così come riconosciute da alcune sentenze di accertamento e condanna del giudice ordinario (in particolare: sent. n. 2120/2018 della Corte d’appello di Bologna, cd. Giorgio c. Germania e sent. n. 5446/2020 della Corte d’appello di Roma, cd. Cavallina c. Germania). Senonché, proprio per evitare che tali proprietà, già precedentemente gravate da vincolo pignoratizio e poi da custodia giudiziale, fossero irrimediabilmente compromesse nella loro destinazione pubblicistica, la Repubblica federale tedesca, il 29 aprile scorso, ha presentato un (nuovo) ricorso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia (CIG). Nella propria memoria, la Germania ha essenzialmente lamentato il protrarsi della violazione dell’immunità di cui avrebbe dovuto godere (tanto sotto il profilo della giurisdizione cognitiva, quanto sotto quello della giurisdizione esecutiva) dopo la pronuncia resa dalla stessa CIG il 3 febbraio 2012 e ha, perciò, richiesto alla Corte l’indicazione urgente di misure cautelari all’indirizzo dell’Italia.
In disparte i profili processuali e di merito dell’atto di ricorso tedesco (cui sono dedicate le riflessioni di Giorgia Berrino), l’analisi qui proposta verte su natura, modalità e contenuti della reazione italiana. Innanzitutto, occorre osservare che il Governo italiano, anziché depositare una propria contro-memoria scritta prima della convocazione dell’udienza pubblica, originariamente fissata dalla Corte per il 9 e 10 maggio scorsi, ha preferito modificare il quadro normativo interno, onde disinnescare immediatamente (quantomeno) la domanda cautelare dello Stato ricorrente. In questi termini va letta, infatti, la previsione dell’art. 43 del d.l. 30 aprile 2022, n. 36, un decreto-legge primariamente volto ad adottare misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), nel quale è stata, tuttavia, inserita una disposizione apparentemente estranea e disomogenea (sui requisiti dei decreti-legge cfr. art. 15, co. 3 l. 400/1988, per cui le disposizioni di un d.l. debbono avere contenuto «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo», ma sul punto la giurisprudenza costituzionale ha censurato la disomogeneità di talune disposizioni qualora introdotte in sede di conversione, mentre su contenuto e ratio del decreto-legge prevale la responsabilità del Governo e, poi, del Parlamento che decide di convertire l’atto), rubricata Istituzione del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. Tale disposizione affronta due aspetti specifici della tormentata vicenda che da anni oppone l’Italia alla Germania in plurime sedi processuali.
L’art. 43, co. 3 individua, innanzitutto, una serie di vincoli inibenti l’esecuzione delle sentenze di accertamento e condanna della Repubblica federale. In particolare, esso stabilisce, da un lato, che tali pronunce acquistino efficacia esecutiva soltanto al momento del loro passaggio in giudicato, in deroga a quanto disposto dal vigente art. 282 c.p.c., sulla base del quale era, invece, stata autorizzata la provvisoria esecuzione contro i menzionati beni tedeschi e, dall’altro lato, che le procedure esecutive non possano essere iniziate o proseguite e, pertanto, che i relativi giudizi di esecuzione a oggi pendenti siano dichiarati estinti. L’intervento normativo in oggetto, nel concentrarsi su aspetti inerenti all’inibizione dell’esecuzione forzata, è ben più penetrante di quello adottato in precedenza per rispondere al primo ricorso della Germania dinanzi alla CIG. In quell’occasione, infatti, l’art. 1 del d.l. 28 aprile 2010, n. 63 (cfr. Atteritano; Salerno) si era limitato a prevedere la sospensione dell’efficacia dei titoli esecutivi e dei procedimenti esecutivi in pendenza di un ricorso dinanzi alla CIG da parte di uno Stato straniero ed era, pertanto, stato giudicato dalla stessa CIG uno strumento insufficiente a evitare che l’Italia incorresse in responsabilità internazionale per violazione dell’immunità dall’azione esecutiva (para. 109-120). Anche a seguito della pubblicazione della sent. n. 238/2014, la reazione del Parlamento fu assai più modesta di quella odierna, essendosi esso limitato a sottrarre all’esecuzione forzata le somme depositate sui conti corrente delle rappresentanze diplomatiche (art. 19-bis della l. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, su cui v. Rossi). In questo caso, invece, il Governo, con atto avente forza di legge, neutralizza ogni esecuzione provvisoria e vieta tout court l’esecuzione forzata delle sentenze di accertamento e condanna, imponendo una declaratoria di estinzione del giudizio in capo al giudice dell’esecuzione già eventualmente adito. Meno chiara, a questo punto, è la sorte delle garanzie reali su altri beni immobili della Repubblica federale, tra cui l’ipoteca giudiziale sul centro culturale Villa Vigoni, da ultimo iscritta nel 2019 a seguito della condanna tedesca per la strage di Roccaraso da parte del Tribunale di Sulmona (su cui v. Boggero). Trattandosi di garanzia a tutela del creditore (art. 2818 c.c.) e non di un atto di esecuzione forzata, se ne dovrebbe desumere che non sussista allo stato alcun obbligo di cancellazione dell’ipoteca dalla conservatoria dei registri immobiliari di Como. Nondimeno, la CIG, nella propria sentenza 3 febbraio 2012, aveva giudicato la sua apposizione una misura contraria al principio dell’immunità da misure coercitive posteriori a una sentenza (para. 109-120) e così, del resto, aveva ragionato ancora di recente la Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 14885/2018), ritenendola, in effetti, un atto preordinato all’espropriazione forzata.
La chiara affermazione del valore sostantivo per l’ordinamento italiano della regola consuetudinaria dell’immunità degli Stati esteri dall’esecuzione (art. 10, co. 1 Cost.) è stata, comunque, mitigata dal riconoscimento da parte del Governo italiano dell’obbligo costituzionale di preservare un minimo di effettività al diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), la cui cardinalità per il nostro ordinamento (art. 2 Cost.) è alla base delle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sent. n. 238/2014 (Punto 3.4 del Considerato in Diritto). Come traspare, del resto, dall’anzidetta rubrica della disposizione, l’art. 43, co. 1 istituisce, infatti, presso il MEF un Fondo statale per il ristoro dei danni subiti dalle vittime del Terzo Reich in Italia, le quali potranno avervi accesso nella misura in cui abbiano a) ottenuto una sentenza di liquidazione dei danni passata in giudicato (co. 2), a partire da procedimenti avviati al più tardi e, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge stesso (co. 6), ossia entro il 31 maggio 2022 ovvero b) siano addivenute a transazione con parte convenuta, nell’ambito di un procedimento pendente, previo parere dell’Avvocatura dello Stato. A quest’ultimo riguardo, occorre sottolineare come la Germania, dopo la pubblicazione della sent. n. 238/2014, non si costituisca più in giudizio ove sia esercitata nei propri confronti la giurisdizione cognitiva, mentre risulta essere apparsa davanti ai giudici dell’esecuzione nei procedimenti che hanno dato origine al nuovo ricorso tedesco davanti alla CIG; resta, quindi, non del tutto chiaro in quali termini e per quanti dei procedimenti ancora pendenti le parti siano effettivamente in grado di transigere. La disposizione, in ogni caso, sembra preordinata a promuovere nuove costituzioni in giudizio di parte tedesca, la quale, anziché dover sopportare l’alea della liquidazione dei danni così come definita dal giudice, viene messa nelle condizioni di poter concorrere alla determinazione dell’indennizzo, purché l’Avvocatura di Stato ne ritenga l’entità non in contrasto con gli interessi erariali.
Quanto al volume finanziario, il Governo ha deciso lo stanziamento di 20 milioni di euro per l’anno 2023 e 11,8 milioni di euro per ogni anno successivo fino al 2026, risorse a valere su fondi statali già esistenti, che l’art. 43 in parola (co. 7) si incarica di ridurre di una somma corrispondente onde assicurare la neutralità finanziaria dell’intervento e la necessaria copertura di bilancio (art. 81, co. 1 e 3 Cost.). Il pagamento del ristoro avrà, infine, l’effetto di estinguere ogni pretesa risarcitoria da parte delle vittime (co. 5). La dotazione per gli anni finanziari 2023-2026 non va intesa come un limite massimo, considerato che si tratta di una mera previsione e non di un’autorizzazione di spesa, la quale sarà, invece, condizionata dall’andamento delle sentenze di condanna ovvero dalle transazioni. Ciò detto, la relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione chiarisce che «la quantificazione delle risorse da destinare al fondo è stata elaborata sulla base dei risarcimenti definiti dalle sentenze sinora passate in giudicato, stimando al contempo un numero di 130 contenziosi che potrebbero accedere alle misure in oggetto». Non risulta, tuttavia, di immediata comprensione né attraverso quale calcolo sia stata ottenuta la somma complessiva di 55 milioni, né da dove sia stato tratto il dato dei 130 procedimenti, come del resto osservato anche dalla nota di lettura al d.d.l. del Servizio del Bilancio del Senato della Repubblica, che ha messo in guardia il legislatore dal rapido esaurimento degli importi stanziati.
Complessivamente, è interessante notare come l’art. 43, co. 1 qualifichi l’istituzione del Fondo come uno strumento per «assicurare continuità» all’Accordo tra Repubblica italiana e Repubblica federale di Germania, per il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario, concluso a Bonn il 2 giugno 1961 e a cui fu data esecuzione con d.P.R. 14 aprile 1962, n. 1263. Al riguardo, sembra si possa sostenere che, con tale esplicito riferimento all’Accordo, l’Italia abbia, innanzitutto, voluto onorare l’impegno di tenere indenne la Germania e le persone fisiche e giuridiche tedesche da ogni eventuale azione o altra pretesa legale da parte di persone fisiche o giuridiche italiane per le rivendicazioni relative a diritti o ragioni sorti tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945 (art. 2, co. 2 d.P.R. n. 1263/1962). Diversamente da quanto opinato in passato – a partire dalla propria domanda riconvenzionale del 22 dicembre 2009 di fronte alla CIG (specialmente para. 2.9-2.19) – il Governo italiano pare, insomma, aver riconsiderato le proprie valutazioni e sostenere la tesi (tedesca) della rinuncia a ogni pretesa risarcitoria e non più la tesi in base alla quale tale rinuncia sarebbe stata limitata alle sole categorie di vittime individuate dall’Accordo per gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste, concluso sempre a Bonn il 2 giugno 1961 e ratificato ed eseguito con legge 6 febbraio 1963, n. 404, non a caso qui non menzionato.
Vero è che condizionare l’accesso al Fondo all’ottenimento di un titolo costituito da una sentenza passata in giudicato o da una transazione significa pur sempre riconoscere e non negare le pretese risarcitorie delle vittime (Palchetti); d’altro canto, l’istituzione di un nuovo Fondo che espressamente richiama la continuità dell’anzidetto Accordo di Bonn, insieme con un termine stabilito a pena di decadenza per la proposizione di nuovi giudizi lascia pensare che l’Italia abbia almeno in parte riveduto la propria posizione, qualificando le pretese risarcitorie come interessi meritevoli di tutela ex se e non quali interessi idonei a essere soddisfatti soltanto attraverso riparazione o risarcimenti dello Stato straniero. A questo proposito, occorre sottolineare come già il d.P.R. 6 ottobre 1963, n. 2043, recante ripartizione delle risorse versate dal Governo federale tedesco a cittadini italiani colpiti da persecuzioni nazionalsocialiste – risorse complessivamente pari a 40 milioni di marchi (circa 6 miliardi di lire) – si fosse limitato ad estendere solo molto parzialmente il novero delle vittime da individuare sulla base della lettera dell’Accordo (cfr. Klinkhammer – Focardi), di talché la gran parte degli internati militari italiani (IMI) e le vittime delle stragi commesse dalle Waffen-SS sul territorio italiano ne erano rimaste escluse. Ecco, allora, che il d.l. n. 36/2022 può, forse, essere considerato un atto “correttivo” dell’indirizzo politico italiano, atteso che, in ultima analisi, il Governo, facendo tesoro delle elaborazioni giurisprudenziali italiane più recenti, tra cui quelle che hanno ricevuto “copertura” dalla sentenza n. 238/2014, ha ampliato il novero di vittime del regime nazionalsocialista meritevoli di indennizzo rispetto alla propria precedente determinazione.
Si pone, a questo punto, un doppio ordine di problemi, il primo di natura politico-diplomatica, il secondo di natura giuridica. Innanzitutto, sotto il profilo politico-diplomatico, non è chiaro se e in quali termini il Governo italiano intenda intavolare trattative con la Repubblica federale per ottenerne, entro qualche forma pattizia, la partecipazione finanziaria al Fondo statale. Vero è che la Germania ha sempre ribadito come gli Accordi del 1961 abbiano determinato il venir meno di ogni pretesa finanziaria nei propri confronti e vero è che la posizione dell’Italia a seguito dell’emanazione del decreto-legge in oggetto sembra conformarsi alla “tesi della rinuncia” fin ora patrocinata dalla Germania, ma è altrettanto vero che ciò non vieta in alcun modo al Governo federale di negoziare liberamente accordi aggiuntivi, laddove esso ritenesse di voler riconsiderare parzialmente la situazione. Del resto, proprio all’opportunità di una riconciliazione tra le parti rinviava la stessa CIG nella sentenza del 3 febbraio 2012 (para. 104). Al riguardo, l’atteggiamento del Governo italiano pare improntato a una forma di leale collaborazione idonea a rendere appetibile alla Germania la prospettiva di un accordo. In tutta evidenza, il Governo ha mostrato la serietà delle proprie intenzioni, da un lato, istituendo unilateralmente il Fondo, indicandone il volume finanziario e assumendosene la responsabilità davanti ai cittadini italiani e, dall’altro, impedendo che le pretese risarcitorie delle vittime potessero trovare soddisfazione su beni tedeschi destinati allo svolgimento di funzioni pubblicistiche attraverso il – pur assai problematico e niente affatto automatico – diniego dell’immunità dall’esecuzione da parte dei giudici italiani (v. in proposito le pronunce del Tribunale di Roma, sez. IV, in composizione monocratica, 12.07.2021, rel. Iappelli e poi, a seguito di reclamo, in composizione collegiale, 3.11.2021, rel. d’Ambrosio, che, in maniera alquanto eccentrica, traggono direttamente dalla sent. n. 238/2014 il fondamento per il diniego dell’immunità dall’esecuzione, senza sollevare in via incidentale una nuova q.l.c. di fronte alla Corte costituzionale). A fronte di tale atteggiamento genuinamente collaborativo da parte del Governo italiano, la Germania ha finora accettato di ritirare soltanto la richiesta di misure cautelari. Il ricorso principale rimane, invece, pendente e impone alla CIG di accertare la responsabilità internazionale dell’Italia derivante dall’esercizio della giurisdizione cognitiva nei confronti della Germania, non da ultimo in ossequio a quanto stabilito dalla sent. n. 238/2014 della Corte costituzionale. Il potenziale conflittuale è enorme, giacché il rischio di una pronuncia nuovamente sfavorevole all’Italia rafforzerebbe i presupposti per l’ennesima attivazione dei controlimiti da parte italiana, con la conseguenza di un approfondimento ulteriore della separazione triepeliana tra ordinamento internazionale e ordinamento costituzionale interno (v. Peters).
Da un punto di vista giuridico, l’interesse della Germania dovrebbe semmai essere quello di scongiurare l’ipotesi in cui la Corte costituzionale italiana sia messa nelle condizioni di attivare nuovamente i controlimiti. Allo stesso tempo, la Repubblica federale dovrebbe avere tutto l’interesse a che l’art. 43 del d.l. n. 36/2022 non soltanto sia convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni senza sostanziali modifiche, ma non divenga anche medio tempore oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale. Non è, infatti, da escludersi che il divieto di iniziare o proseguire le procedure esecutive possa divenire oggetto di una nuova questione di legittimità costituzionale in via incidentale e che possa, infine, essere giudicato dalla Corte costituzionale come integrante una nuova violazione degli artt. 2 e 24 Cost. (sul punto sia consentito rinviare a: Boggero & Oellers-Frahm 298-300), ovvero che la misura dei ristori e le modalità, rectius gli eventuali criteri di prelazione per l’accesso al fondo, questi ultimi da disciplinare con decreto interministeriale entro il termine (ordinatorio) del 27 ottobre 2022 (art. 43, co. 4), siano ritenuti irragionevoli e sproporzionati rispetto all’entità delle somme definite dalla magistratura in sede di liquidazione dei danni; ovvero, ancora, che l’allocazione di risorse nel bilancio italiano senza adeguata compartecipazione della Repubblica federale, a fronte delle responsabilità innanzitutto tedesche accertate in sede di esercizio della giurisdizione cognitiva, costituisca una lesione del principio di ragionevolezza in combinazione con il principio di sostenibilità finanziaria dell’ordinamento (artt. 3 e 97, co. 1 Cost.); in tal caso, tuttavia, si finirebbe per rendere costituzionalmente necessaria la pretesa nei confronti della Germania di contribuire alle spese stanziate ovvero di restituire quelle liquidate e pagate, il che costituirebbe, forse, una limitazione eccessiva dell’indirizzo politico del circuito Governo-Parlamento, anche alla luce di quanto osservato con riguardo alla ripartizione delle risorse dopo gli Accordi di Bonn. L’anzidetto principio di sostenibilità finanziaria pare, di contro, essere salvaguardato proprio dal ridotto termine di decadenza per la proposizione di nuove azioni di accertamento; allo stesso tempo, tuttavia, un siffatto termine (a prescindere dalla ragionevolezza della sua brevità) rischia di intaccare il nucleo essenziale del diritto alla tutela giurisdizionale che, stando a quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 238/2014, può essere limitato soltanto sulla base di un interesse pubblico potenzialmente preminente. Il termine decadenziale, pur non configurandosi alla stregua di un divieto totale all’esercizio della giurisdizione, è, infatti, parimenti idoneo a sacrificare completamente il diritto alla tutela giurisdizionale di alcuni cittadini (artt. 2 e 24 Cost.) e non di altri (con profili di lesione anche dell’art. 3, co. 1 Cost.), dal momento che impedisce l’accertamento di (nuovi) illeciti civili rispetto a cui alcune vittime potrebbero continuare ad avere legittimamente interesse, anche in un momento futuro e incerto; per la giurisprudenza di merito (v. inter alia Corte d’appello di Torino, De Guglielmi c. Germania, 20 maggio 2010, Il Foro.it, Vol. 133, No. 10, 2864 che fonda le proprie argomentazioni su Corte di Cassazione Ferrini c. Germania, Il Foro.it, Vol. 130, No. 3, 942), del resto, in base all’art. 2947, co. 3 c.c., gli illeciti civili che costituiscono crimini internazionali sono imprescrittibili tanto quanto i reati, sicché stabilire un termine di decadenza per la proposizione delle azioni volte al loro accertamento potrebbe configurarsi come un tentativo di aggiramento dell’imprescrittibilità di tali fatti illeciti e dare luogo a un trattamento irragionevolmente deteriore di questi ultimi rispetto alle corrispondenti fattispecie di reato; a essere depotenziato sarebbe, cioè, in ultima analisi, l’effetto interno, giustificato dai principi fondamentali dell’ordinamento (artt. 2 e 24 Cost.), derivante dall’applicazione del principio internazionale consuetudinario dell’imprescrittibilità dei crimini internazionali anche sul piano civilistico (cfr. Gradoni). Né, da ultimo, si potrebbe sostenere che l’anzidetto principio di sostenibilità finanziaria possa qualificarsi come interesse preminente, atteso che il legislatore non dovrebbe poter condizionare la garanzia di prestazioni inerenti al soddisfacimento del nucleo incomprimibile di un diritto fondamentale a interessi meramente erariali (cfr. inter alia Corte costituzionale, sent. n. 275/2016).
Ecco, allora, che il raggiungimento di un accordo bilaterale italo-tedesco (Fontanelli) a integrazione delle disposizioni del d.l. n. 36/2022, pur non essendo in teoria nemmeno esso immune da censure di legittimità costituzionale, avrebbe senz’altro il pregio di ridurre al minimo ogni interesse alla proposizione di nuove azioni giudiziarie di fronte a giudici italiani, oltreché di consentire una positiva conclusione di una vicenda che non sembra risolvibile facendo uso della sola leva giurisdizionale.
1 Comment
Grazie Giovanni, una lettura esauriente e piena di spunti – sei gentile con l’epilogo speranzoso, che condivido. Mi chiedo solo se sia corretto parlare del d.l. come di una “reazione” alla nuova domanda tedesca. Vista la mole del provvedimento, i fondi stanziati e – diciamo così – la velocità media di reazione in queste decisioni, mi sento di escludere senza dubbio che il decreto sia stato cucinato nottetempo il 29 aprile. Insomma reazione sì, e forse tardiva, ma non alla nuova domanda. Un abbraccio