Brevi considerazioni sull’espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa e sulle sue conseguenze
Andrea Saccucci (Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’)
1. L’espulsione della Russia dal Consiglio d’Europa ai sensi dell’art. 8 dello Statuto. Come noto, con la Risoluzione n. CM/RES(2022)2 del 16 marzo 2022, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha deciso che la Federazione Russa ha cessato di essere membro del Consiglio d’Europa a partire dal 16 marzo 2022. Questo costituisce l’atto finale della procedura instaurata dal Comitato dei Ministri ai sensi dell’art. 8 dello Statuto del Consiglio d’Europa in conseguenza dell’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Federazione Russa che ha avuto inizio il 24 febbraio 2022.
Nell’immediatezza dell’avvio delle operazioni militari, in data 25 febbraio 2022, il Comitato dei Ministri aveva deciso, a seguito di consultazione con l’Assemblea parlamentare nell’ambito del Joint Committee, di sospendere la Russia dai suoi diritti di rappresentanza in seno all’organizzazione ai sensi dell’art. 8 dello Statuto, ritenendo che tale aggressione costituisse una grave violazione degli obblighi discendenti dall’art. 3 dello Statuto medesimo (CM/Del/Dec(2022)1426ter/2.3).
In passato, la Russia era già stata sospesa dalla partecipazione ai lavori dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, dapprima, nel 2000, in relazione al conflitto in Cecenia, e poi nel 2014, a seguito dell’occupazione della Crimea (cfr. K. Dzehtsiarou e D. K. Coffey, Suspension and Expulsion of Members of the Council of Europe: Difficult Decisions in Troubled Times, in International and Comparative Law Quarterly, 2019, p. 443 ss., spec. p. 455 ss.). Tuttavia, non era mai accaduto che uno Stato membro venisse formalmente sospeso da tutti i suoi diritti di rappresentanza in seno all’Organizzazione (neppure, come si preciserà meglio oltre, nel caso della Grecia del 1969).
In data 10 marzo 2022, il Comitato dei Ministri ha richiesto il parere dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in merito alle ulteriori misure da adottare ai sensi dell’art. 8 dello Statuto (CM/Del/Dec(2022)1428bis/2.3) secondo quanto previsto dalla Risoluzione statutaria (51) 30 del 3 maggio 1951 (che, per l’appunto, impone la previa consultazione dell’Assemblea parlamentare per le decisioni concernenti l’invito di nuovi Stati membri o Stati associati ai sensi degli artt. 3 e 4 dello Statuto, nonché l’invito al recesso di Stati membri ai sensi dell’art. 8 dello Statuto).
In data 15 marzo 2022, l’Assemblea parlamentare ha adottato all’unanimità (senza ovviamente la partecipazione della delegazione russa già sospesa dai diritti di rappresentanza in seno all’Assemblea) il Parere n. 300, esprimendosi nel senso che la Federazione Russa non potesse più fare parte del Consiglio d’Europa.
In particolare, l’Assemblea si è dichiarata convinta che la Russia avesse commesso gravi violazioni dello Statuto del Consiglio d’Europa tali da giustificare la prosecuzione della procedura prevista dall’art. 8 dello Statuto e da non consentire più alla Russia di mantenere la qualità di Stato membro dell’Organizzazione (§ 19). L’Assemblea ha pertanto ritenuto che il Comitato dei Ministri «should request the Russian Federation to immediately withdraw from the Council of Europe» e che, in caso di rifiuto, esso avrebbe dovuto determinare «the immediate possible date from which the Russian Federation would cease to be a member of the Council of Europe» (§ 20).
Lo stesso giorno il Governo della Federazione Russa ha ufficialmente comunicato al Segretario Generale del Consiglio d’Europa il proprio recesso dall’Organizzazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto e la sua «intenzione» di denunciare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Nella lettera trasmessa dal Ministro degli Esteri Lavrov al Segretario Generale si afferma che la Federazione Russa è «costretta» ad abbandonare l’Organizzazione a causa delle «misure discriminatorie» adottate dalla stessa nei proprio confronti, precisando che «all responsibility for the consequences of this step with regard to the common humanitarian and legal space on the Continent and for the Council of Europe itself lies with those who deliberately escalated tensions and turned the Organization into an instrument for achieving their geopolitical goals» e che, «given the unprecedented pressure of sanctions against Russia and its citizens», essa si riserva il diritto di recedere dal Consiglio d’Europa «on [its] own terms».
Ed è proprio a seguito di tale comunicazione che il Comitato dei Ministri ha adottato la ricordata Risoluzione CM/RES(2022)2 del 16 marzo 2022, nella quale, però, pur prendendo atto dell’intervenuto recesso della Russia ai sensi dell’art. 7 dello Statuto (che, secondo quanto ivi espressamente stabilito, avrebbe prodotto i suoi effetti soltanto a partire dalla fine dell’anno finanziario, e cioè dal 1 gennaio 2023), ne ha dichiarato la cessazione immediata della membership in seno all’Organizzazione a conclusione della procedura instaurata ai sensi dell’art. 8 dello Statuto.
Mentre, dunque, la Russia ha esercitato il suo diritto di recesso unilaterale volontario (sia pure riservandosi di stabilirne le «condizioni»), il Comitato dei Ministri ne ha decretato l’espulsione con effetto immediato per grave violazione degli obblighi statutari a far data dal 16 marzo 2022.
Non è certo la prima volta che la Russia viene accusata di violare gravemente gli obblighi derivanti dallo Statuto del Consiglio d’Europa e di venire meno ai propri impegni di Stato membro e di Stato parte della CEDU, soprattutto con riferimento ad operazioni implicanti l’uso della forza militare compiute sul proprio territorio (Cecenia) ovvero sul territorio di altri Stati membri dell’Organizzazione (Transnistria, Georgia, Crimea). Ed accuse analoghe sono state rivolte anche ad altri Stati membri dell’Organizzazione (ad esempio, nei confronti della Turchia all’indomani del fallito golpe del 2016 e dell’Azerbaijan per la mancata esecuzione delle sentenze della Corte europea).
Tuttavia, è la prima volta nella storia del Consiglio d’Europa che uno Stato membro è stato dapprima formalmente sospeso e poi definitivamente espulso in ragione della ritenuta incompatibilità delle sue azioni con i valori ed i principi su cui si fonda la partecipazione all’Organizzazione.
La situazione di cui trattasi è infatti molto diversa da quella che si era verificata nell’unico caso di cessazione della membership di uno Stato membro dal Consiglio d’Europa, e cioè quello della Grecia del 1969 all’epoca del regime dei Colonnelli.
In tale caso, infatti, a seguito dell’apertura della procedura di sospensione ai sensi dell’art. 8 dello Statuto per grave violazione degli obblighi statutari e del parere reso dall’Assemblea Consultiva con la Raccomandazione n. 547 del 30 gennaio 1969, la Grecia aveva dichiarato di voler recedere unilateralmente dall’Organizzazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto e il Comitato dei Ministri non aveva ritenuto necessario proseguire la procedura di sospensione ex art. 8 (cfr. Risoluzione (69)51 del 12 dicembre 1969). Quindi, la cessazione della membership era conseguita ad un formale recesso avente effetto a partire dalla fine dell’anno finanziario successivo così come previsto dall’art. 7 dello Statuto, di cui il Comitato dei Ministri si era limitato a prendere atto.
Nel caso di specie, invece, la dichiarazione di recesso notificata dalla Russia al Segretario generale del Consiglio d’Europa in data 15 marzo 2022 sembrerebbe essere stata ritenuta priva di qualsiasi effetto giuridico in quanto ‘assorbita’ dall’espulsione con effetto immediato dello Stato membro decretata dal Comitato dei Ministri ai sensi dell’art. 8 dello Statuto sulla scorta dell’opinione espressa dall’Assemblea parlamentare.
2. La legittimità statutaria dell’espulsione immediata della Russia e le sue possibili giustificazioni (giuridiche). Per quanto la decisione senza precedenti assunta dal Comitato dei Ministri possa apparire ‘moralmente’ giustificabile (e financo dovuta) in ragione dell’estrema gravità delle azioni commesse dalla Russia, è lecito domandarsi se essa sia anche legittima dal punto di vista giuridico.
Adottando come prospettiva di valutazione quella dello Statuto del Consiglio d’Europa, ci sembra che la risposta debba essere senz’altro negativa. Come si è ricordato, l’art. 8 dello Statuto regola espressamente l’ipotesi della sospensione e dell’espulsione (recte: del recesso coatto) di uno Stato membro dall’Organizzazione, stabilendo che, nel caso di grave violazione degli obblighi derivanti dall’art. 3 dello Statuto, il Comitato dei Ministri possa – previa consultazione dell’Assemblea parlamentare ai sensi della citata Risoluzione statutaria (51) 30 – sospendere uno Stato membro dai suoi diritti di rappresentanza in seno all’Organizzazione e richiedere allo stesso di recedere dall’Organizzazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto.
Ove lo Stato membro dia seguito a tale richiesta, il recesso produrrà effetto alla fine dell’anno finanziario in corso se la notifica è stata effettuata nei primi nove mesi di tale anno oppure alla fine dell’anno finanziario successivo se la notifica è stata effettuata negli ultimi tre mesi. Ove invece lo Stato membro si rifiuti di ottemperare alla richiesta di recesso, il Comitato dei Ministri potrà decidere unilateralmente che tale Stato cessa di essere un membro del Consiglio d’Europa a partire dalla data che lo stesso Comitato potrà determinare (per un commento cfr. F. Benoît-Rohmer, H. Klebes, Council of Europe Law, Towards a Pan-European Legal Area, Council of Europe, Strasbourg, 2005, p. 40 ss.).
Ebbene, diamo pure per scontato che nel caso di specie la Russia si sia resa responsabile di una grave violazione dell’art. 3 dello Statuto e che, dunque, non si ponga alcuna questione in ordine alla ritenuta sussistenza del presupposto per l’attivazione della procedura delineata dall’art. 8 dello Statuto (per i problemi legati alla valutazione di tale presupposto cfr. K. Dzehtsiarou e D. K. Coffey, cit., spec. 451 ss.). Ciò che proprio non torna, alla semplice lettura di tale ultima disposizione, è la modalità con cui il Comitato dei Ministri ha unilateralmente deciso la cessazione della membership della Russia nel Consiglio d’Europa con effetto immediato.
Anzitutto, al momento della decisione sulla sospensione (25 febbraio 2022), il Comitato dei Ministri non ha contestualmente formulato alcuna ‘richiesta’ di recesso né una siffatta richiesta è stata formulata in un momento successivo. Ciò probabilmente si spiega in ragione del fatto che la sospensione è stata disposta in condizioni di estrema urgenza dai delegati ministeriali a seguito di un semplice «exchange of views with the Parliamentary Assembly in the Joint Committee» e che una formale richiesta di recesso, ai sensi dell’art. 8, richiedeva invece una maggiore ponderazione politica e una consultazione piena dell’Assemblea parlamentare, che si è avuta solamente con il citato Parere n. 300 del 15 marzo 2022.
Lo stesso giorno però, ed è questo l’aspetto più problematico, la Russia ha ufficialmente notificato il proprio recesso dal Consiglio d’Europa ai sensi dell’art. 7 dello Statuto, sia pure addebitandone la responsabilità alla stessa Organizzazione e riservandosi di stabilirne i termini. Ciò nonostante, il giorno successivo, il Comitato dei Ministri ha decretato la cessazione immediata della membership della Russia nel Consiglio d’Europa, senza fornire alcuna spiegazione sul perché il recesso dovesse ritenersi, nella specie, improduttivo di effetti nei termini stabiliti dall’art. 7 dello Statuto.
Pur in assenza di prassi rilevante, ci sembra che le previsioni degli artt. 7 e 8 dello Statuto non possano in alcun modo interpretarsi nel senso di consentire la cessazione con effetto immediato della membership di uno Stato che abbia validamente esercitato il proprio diritto di recesso volontario (così di recente Raimondi), ancorché ciò avvenga quando la procedura ex art. 8 sia già stata formalmente avviata e prima che il Comitato dei Ministri abbia potuto formulare un’esplicita richiesta di recesso coatto.
Se si fosse seguito il precedente della Grecia, il Comitato dei Ministri avrebbe dovuto semplicemente prendere atto dell’intervenuto recesso dello Stato membro e porre fine alla procedura ex art. 8 dello Statuto. Così facendo, la Russia avrebbe formalmente conservato la sua qualità di Stato membro fino al 31 dicembre 2022 ai sensi dell’art. 7 dello Statuto, ferma restando medio tempore la sospensione dei suoi diritti di rappresentanza in seno all’Organizzazione. Anche nel caso della Grecia, i rapporti con il Consiglio d’Europa erano stati di fatto sospesi pur in assenza di una formale decisione ai sensi dell’art. 8 dello Statuto (cfr. F. Benoît-Rohmer, H. Klebes, Council of Europe Law, cit., p. 40).
Ma anche a voler ritenere che, avendo nella specie già deciso la sospensione della Russia, il Comitato dei Ministri fosse comunque legittimato a pronunciarsi sulla sussistenza delle condizioni per la definitiva espulsione dall’Organizzazione ai sensi dell’art. 8, tale disposizione non avrebbe comunque consentito di ‘anticipare’ la data naturale di cessazione della membership stabilita dall’art. 7 dello Statuto, salvo diverso accordo fra le parti. A ben vedere, infatti, il Comitato dei Ministri può determinare discrezionalmente e unilateralmente tale data soltanto nel caso di rifiuto da parte dello Stato membro di ottemperare alla richiesta di recesso unilaterale (così come correttamente indicato nel Parere n. 300 dell’Assemblea parlamentare).
Dal punto di vista dello Statuto, dunque, la decisione del Comitato dei Ministri non sembra giuridicamente legittima. Ci si può, tuttavia, domandare se essa possa in qualche modo giustificarsi alla luce di altre regole di diritto internazionale generale, per quanto dette regole non dovrebbero in linea di principio trovare applicazione allorché, come accade nella specie, il trattato istitutivo dell’Organizzazione contenga specifiche disposizioni regolanti le modalità di recesso e di espulsione degli Stati membri.
Anche ponendosi in questa prospettiva, la risposta sembra essere negativa.
In particolare, non ci sembra possibile sostenere che la decisione del Comitato dei Ministri di ritenere privo di effetti il recesso unilaterale notificato dalla Russia anteriormente all’espulsione possa giustificarsi alla stregua della regola, enunciata nell’art. 15 del Progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale sugli effetti dei conflitti armati sui trattati del 2011 (cfr. Official Records of the General Assembly, Sixty-Sixth Session, Supplement No. 10, A/66/10) recepito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con risoluzione 66/99 del 9 dicembre 2011, secondo cui allo Stato autore di un’aggressione è precluso il diritto di recedere da un trattato (o invocarne la sospensione o l’estinzione) per effetto del conflitto risultante dall’aggressione «if the effect would be to the benefit of that State».
Questa regola, infatti, non ci sembra pertinente rispetto ad una situazione, come quella in esame, in cui l’Organizzazione di appartenenza ha dato inizio all’apposita procedura prevista dal trattato istitutivo per la sospensione e l’espulsione dello Stato membro responsabile dell’aggressione ed ha poi deciso – nonostante il recesso unilaterale di tale Stato – di porre fine alla sua membership con effetto immediato. Lo scopo della regola di cui all’art. 15 del Progetto è evidentemente quello di mantenere in vigore il trattato, neutralizzando eventuali pretese dello Stato aggressore volte a sciogliersi unilateralmente dai propri impegni, mentre nel caso di specie la decisione del Comitato dei Ministri ha avuto l’effetto di anticipare la cessazione degli effetti del trattato istitutivo dell’Organizzazione nei confronti della Russia (che, altrimenti, sarebbe rimasta soggetta ai relativi obblighi sino alla fine dell’anno finanziario). Non può dunque dirsi che il diritto di recesso sia stato esercitato dalla Russia «to its own benefit», tanto più che l’Assemblea parlamentare aveva già espresso il proprio parere in merito alla necessità che il Comitato dei Ministri formulasse la richiesta di recesso nei termini indicati dall’art. 8 dello Statuto.
Neppure ci sembra possibile sostenere che la decisione del Comitato dei Ministri di anticipare la cessazione della membership rispetto a quanto espressamente stabilito dall’art. 7 dello Statuto possa giustificarsi in forza della regola generale inadimplenti non est adimplendum così come codificata dall’art. 60 della Convenzione di Vienna del 1969, sul presupposto che la Russia abbia commesso una violazione «sostanziale» del trattato istitutivo, e cioè di una disposizione essenziale per la realizzazione del suo oggetto e del suo scopo, quale è sicuramente quella di cui all’art. 3 dello Statuto. L’art. 60, par. 4, della Convenzione di Vienna esclude, infatti, espressamente che tale causa di estinzione o sospensione possa pregiudicare le disposizioni del trattato applicabili in caso di sua violazione, fra le quali rientra per l’appunto l’art. 8 dello Statuto che disciplina la procedura di sospensione e di recesso coatto dello Stato membro che abbia commesso una grave violazione dell’art. 3 dello Statuto.
Ci sembra, piuttosto, che l’espulsione immediata della Russia dal Consiglio d’Europa abbia una chiara connotazione ‘sanzionatoria’ e costituisca espressione della volontà collettiva degli altri Stati membri dell’Organizzazione rappresentati in seno al Comitato dei Ministri di reagire ai gravi illeciti commessi dalla Russia interrompendo illico et immediate qualsiasi forma di cooperazione istituzionale, politica e giuridica con tale Stato all’interno dell’Organizzazione.
In questa prospettiva, l’inosservanza formale delle specifiche prescrizioni dello Statuto regolanti il recesso volontario potrebbe dunque considerarsi una sorta di contromisura adottata dal Consiglio d’Europa o collettivamente dagli altri Stati membri dell’Organizzazione in reazione alla violazione grave da parte della Russia degli obblighi erga omnes partes discendenti dallo Statuto del Consiglio d’Europa o dell’obbligo erga omnes imposto dalla norma imperativa di diritto internazionale generale sul divieto di aggressione.
Ma la legittimità di una siffatta contromisura, che potremmo definire extra ordinem (per l’utilizzo di questa espressione in relazione alle peculiarità del conflitto russo-ucraino cfr. De Sena, intervista su ilsussidiario.net del 3 marzo 2022 e podcast di EhiSidi! del 10 marzo 2022), resterebbe egualmente assai incerta dal punto di vista del diritto internazionale. E ciò sia che la si intenda come una contromisura adottata dalla stessa Organizzazione nei confronti dello Stato membro in reazione alla violazione dell’art. 3 dello Statuto (al riguardo, basti ricordare che l’art. 22, par. 3, del Progetto di articoli sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali del 2011 vieta l’adozione di contromisure contro uno Stato membro «in response to a breach of an international obligation under the rules of the organization unless such countermesures are provided for by those rules»; per la tesi secondo cui l’organizzazione potrebbe reagire ad un illecito commesso da uno Stato membro adottando misure non espressamente contenute nel trattato istitutivo o al di fuori delle procedure ivi previsti cfr. F. Dopagne, Les contre-mesures des organisations internationales, Louvain-la-Neuve, 2010, pp. 81-84), sia che la si intenda invece come una contromisura adottata collettivamente dagli altri Stati membri dell’Organizzazione in reazione alla violazione del divieto di uso della forza (basti pensare alle persistenti incertezze circa il diritto degli Stati diversi dallo Stato leso di ricorrere a contromisure per la violazione di obblighi erga omnes; al riguardo si veda, di recente, la ricostruzione di M. Dawidowicz, Third Party Countermeasures in International Law, Cambridge, 2017, p. 3 ss., secondo il quale la prassi sarebbe orientata nel senso di riconoscere la categoria delle contromisure comminate da Stati terzi).
Questa incertezza potrebbe rendere legittima o quantomeno sostenibile la ‘pretesa’ della Russia di non rispettare, a sua volta, le ‘condizioni’ della cessazione unilateralmente stabilite dall’Organizzazione invocando l’eccezione di inadempimento.
3. Le conseguenze dell’espulsione immediata della Russia sull’applicazione della CEDU. La cessazione con effetto immediato della membership della Russia a far data dal 16 marzo 2022 (anziché dalla fine dell’anno finanziario) non è priva di conseguenze giuridiche. La più rilevante di tali conseguenze, sulla quale vorremmo brevemente soffermarci in questa sede, riguarda l’applicazione temporale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei confronti della Russia.
Ai sensi dell’art. 58 § 3 CEDU, «any High Contracting Party which shall cease to be a member of the Council of Europe shall cease to be a Party to this Convention under the same conditions» di cui ai paragrafi precedenti che regolano la denuncia della Convenzione. Secondo l’interpretazione più accreditata (e confermata, come si dirà tra breve, anche dalla Corte europea), ciò implica che la Convenzione cessa di applicarsi nei confronti di uno Stato parte dopo il decorso di un periodo di sei mesi dal momento in cui tale Stato ha cessato di essere membro del Consiglio d’Europa (cfr. Dzehtsiarou, Helfer).
Posto che il Comitato dei Ministri ha dichiarato la cessazione della membership della Russia con effetto immediato a partire dal 16 marzo 2022, la CEDU continuerà a trovare applicazione nei confronti di tale Stato soltanto fino al 16 settembre 2022, anziché fino al 30 giugno 2023 come sarebbe, invece, accaduto se il Comitato dei Ministri non avesse ritenuto privo di effetti il recesso volontario della Russia ai sensi dell’art. 7 dello Statuto.
Questa conclusione è stata confermata dapprima dalla Corte europea e poi dallo stesso Comitato dei Ministri.
Da un lato, con una risoluzione adottata in data 22 marzo 2022, l’Assemblea plenaria della Corte ha stabilito che, ai sensi dell’art. 58 CEDU, la Russia cesserà di essere una Alta Parte Contraente a partire dal 16 settembre 2022 e che, di conseguenza, la Corte resterà competente ad esaminare i ricorsi diretti contro la Russia relativi ad atti o omissioni suscettibili di costituire una violazione della Convenzione che si siano verificati fino al 16 settembre 2022.
Dall’altro, con la Risoluzione CM/RES(2022)3 adottata il 23 marzo 2022, il Comitato dei Ministri ha recepito le determinazioni assunte dalla citata risoluzione dell’Assemblea plenaria della Corte, ribadendo quanto già deciso in sede di sospensione e cioè che esso continuerà a sorvegliare l’esecuzione delle sentenze della Corte che la Russia è obbligata ad attuare e che quest’ultima potrà partecipare alle riunioni del Comitato dei Ministri nell’esercizio delle funzioni di sorveglianza al fine di fornire e ricevere informazioni concernenti l’esecuzione ma senza diritto di partecipare all’adozione delle decisioni o di voto.
Due sono le considerazioni critiche che ci permettiamo di svolgere riguardo alle posizioni assunte, rispettivamente, dalla Corte e dal Comitato dei Ministri.
Per quanto riguarda la risoluzione dell’Assemblea plenaria della Corte, ci sembra che essa non abbia fatto altro che ‘dichiarare’ quanto già chiaramente evincibile da un’interpretazione testuale delle disposizioni dell’art. 58 CEDU sopra richiamate. E cioè essa ha preso atto dell’automatica estinzione della Convenzione nei rapporti fra la Russia e gli altri Stati contraenti per il verificarsi, in data 16 marzo 2022, della condizione risolutiva espressa prevista dall’art. 58 § 3 CEDU, precisando però che tale causa estintiva produrrà effetti solamente a partire dal 16 settembre 2022, e cioè decorso il ‘periodo di grazia’ di sei mesi durante il quale la Convenzione continuerà ad applicarsi ed a produrre i suoi effetti nei confronti della Russia (abilitando pertanto la Corte ad esaminare i ricorsi aventi ad oggetto violazioni commesse entro tale data).
Al di là dell’enfatico richiamo all’esigenza di interpretare e applicare le disposizioni convenzionali, alla luce dell’oggetto e dello scopo della Convenzione, come strumento di protezione dei diritti umani, in modo da assicurare la protezione pratica ed effettiva di tutti coloro che sono sottoposti alla giurisdizione degli Stati contraenti, la Corte si è dunque allo stato pedissequamente allineata alla decisione del Comitato dei Ministri in ordine alla cessazione immediata della membership della Russia nonostante il recesso volontario notificato da quest’ultima ai sensi dell’art. 7 dello Statuto.
Ciò non esclude, tuttavia, che le varie formazioni giudicanti della Corte che, in futuro, saranno chiamate ad occuparsi dei ricorsi presentati nei confronti della Russia per violazioni commesse successivamente al 16 marzo 2022 possano adottare una diversa interpretazione rispetto a quella indicata dall’Assemblea plenaria (con un atto che, è bene sottolinearlo, non ha alcuna efficacia vincolante). Quest’ultima si è in effetti premurata di precisare che la propria risoluzione deve intendersi «without prejudice to the consideration of any legal issue, related to the consequences of the cessation of the Russian Federation’s membership to the Council of Europe, which may arise in the exercise by the Court of its competence under the Convention to consider cases brought before it».
Nell’esercizio della propria competenza esclusiva ad interpretare la Convenzione ex art. 32 CEDU, la Corte potrebbe dunque ritenere che la propria giurisdizione ratione temporis si estenda anche alle violazioni commesse dopo il 16 settembre 2022 e fino al 30 giugno 2023, facendo decorrere il periodo di grazia di sei mesi previsto dall’art. 58 § 3 CEDU dal momento in cui sarebbe divenuto efficace il recesso volontario della Russia, nonostante la cessazione anticipata della membership decretata dal Comitato dei Ministri.
Per quanto riguarda la risoluzione del Comitato dei Ministri, desta qualche perplessità la previsione secondo cui, già a partire dal 16 marzo 2022, la Russia potrà partecipare alle sole sedute riguardanti il controllo sull’esecuzione delle sentenze che la riguardano al limitato fine di fornire e ricevere informazioni ma senza diritto di voto.
In questo periodo, come si è detto, la Russia resterà a tutti gli effetti una Alta Parte Contraente della Convenzione e continuerà ad essere pienamente sottoposta al meccanismo convenzionale di garanzia collettiva pur non essendo più membro del Consiglio d’Europa. Tale situazione ibrida cesserà il 16 settembre 2022 quando la Russia non sarà più parte della Convenzione (almeno stando alle posizioni assunte dall’Assemblea plenaria della Corte e dal Comitato dei Ministri), ferma restando la competenza della Corte ad esaminare i ricorsi concernenti violazioni commesse anteriormente a tale data.
Benché i rappresentanti della Russia non possano più ufficialmente sedere in seno al Comitato dei Ministri quale «organo del Consiglio d’Europa», la loro partecipazione all’esercizio delle funzioni che il Comitato svolge in quanto «organo della Convenzione» e «in base alla Convenzione» ai sensi dell’art. 46 CEDU non si fonda in realtà sull’appartenenza all’Organizzazione, bensì sulla qualità di Stato contraente della Convenzione e parte del sistema di garanzia collettiva da essa istituito. Pertanto ci sembra che, in quanto Alta Parte contraente (fino al 16 settembre 2022), la Russia avrebbe diritto a partecipare pienamente all’esercizio delle funzioni convenzionali di sorveglianza con diritto di voto in seno al Comitato dei Ministri sia in relazione alle sentenze che la riguardano sia in relazione alle sentenze rese nei confronti degli altri Stati contraenti (mentre il Comitato dei Ministri ha allo stato consentito la partecipazione solo alla discussione relativa alle sentenze sui ricorsi di cui la Russia è parte e comunque senza diritto di voto).
Un problema analogo si è in effetti posto nell’ambito dei negoziati sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU, ove la bozza di accordo prevedeva che i rappresentanti dell’UE (in quanto parte della CEDU ma non anche membro del Consiglio d’Europa) potessero partecipare «con diritto di voto» alle riunioni del Comitato dei Ministri relative all’esercizio delle funzioni di sorveglianza sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea (cfr. art. 7 § 2 del Progetto di accordo sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU del 5 aprile 2013).
Anche una volta che la Russia avrà cessato di essere una Alta Parte Contraente della CEDU, l’esclusione totale di tale Stato dalla partecipazione alle decisioni e al voto in seno al Comitato dei Ministri ai sensi dell’art. 46 CEDU si rivelerebbe a nostro avviso problematica.
In primo luogo, non è affatto scontato che, nei confronti di uno Stato che non rivesta più la qualità di Alta Parte Contraente, continui ad essere esigibile da parte degli altri Stati l’obbligo di conformazione di cui all’art. 46 § 1 CEDU (espressamente limitato alle Alte Parti Contraenti) e, conseguentemente, che il Comitato dei Ministri sia abilitato ad esercitare le sue funzioni di controllo sull’attuazione di tale obbligo.
In secondo luogo, ove si ammetta che la Russia continui ad essere assoggettata a tale obbligo ed al controllo del Comitato dei Ministri, allora si dovrebbe ammettere anche che la Russia partecipi pienamente al meccanismo di garanzia collettiva almeno con riferimento alle sole sentenze rese nei suoi confronti.
Viceversa, tale Stato – già privato del diritto al controllo sull’esecuzione delle sentenze rese nei confronti degli altri Stati – sarebbe privato altresì del diritto di partecipare all’adozione di una decisione che la riguarda direttamente e che concerne l’attuazione dell’obbligo di conformazione sancito dall’art. 46 § 1 CEDU cui si pretende essa resti subordinata. Peraltro, nel caso di mancata ottemperanza, il Comitato dei Ministri potrebbe poi attivare la procedura di infrazione prevista dall’art. 46 § 3 CEDU nei confronti della Russia, la quale verrebbe quindi convenuta dinanzi alla Corte in quanto Stato che, pur avendo perso la sua qualità di parte contraente, rimane assoggettato all’obbligo di conformazione ed agli specifici meccanismi previsti dalla Convenzione per assicurarne il concreto rispetto.
Anche in questo caso, dunque, la decisione del Comitato dei Ministri di consentire la mera partecipazione alla discussione senza diritto di voto per le sole sentenze relative alla Russia già a partire dal 16 marzo 2022 (nonostante la Russia resti parte contraente della Convenzione sino al 16 settembre 2022) sembra avere una connotazione latamente sanzionatoria connessa all’espulsione della stessa dall’Organizzazione per grave violazione degli obblighi statutari, pretendendo, da un lato, di assoggettarla agli obblighi di esecuzione scaturenti dalla CEDU e alle funzioni di controllo attribuite al Comitato e, dall’altro, di escluderla formalmente dal relativo processo decisionale.
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