Considerazioni sulle misure coercitive adottate nei confronti della Federazione Russa e della Bielorussia alla luce del diritto del commercio internazionale
Domenico Pauciulo (Università degli Studi di Napoli Federico II)
Il conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina aumenta giorno dopo giorno di intensità e, con esso, cresce il già pesante bilancio in termini di vittime, di dispersi e di sfollati che cercano rifugio nei Paesi limitrofi. Questo post non si occuperà di questioni umanitarie né della qualificazione dell’intervento militare russo alla luce del diritto internazionale, per cui si rimanda ai contributi di altri studiosi pubblicati in questo blog (v. Spagnolo, Favuzza, Fasciglione), bensì dei risvolti negativi dello stesso sui mercati finanziari e sull’economia mondiale. La guerra, l’instabilità geopolitica, il rischio di una escalation nucleare hanno infatti introdotto numerose incognite per il commercio globale, per le imprese multinazionali, per i mercati di capitali e per le stesse economie nazionali.
Sul piano economico, il primo e forse più evidente effetto del conflitto russo-ucraino è stato un generale aumento dei prezzi di materie prime e derrate alimentari. La Federazione Russa è tra i principali esportatori di idrocarburi, nonché di numerose leghe metalliche (come l’alluminio, il titanio, il nickel e il palladio) essenziali per i settori siderurgici, chimici e petrolchimici, farmaceutici e della grande ingegneria. L’instabilità generata dal conflitto e le conseguenti limitazioni al commercio hanno causato un fortissimo rincaro dei prezzi dell’energia, come dimostra la quotazione attuale del gas naturale, praticamente raddoppiata rispetto ad un anno fa. Prese insieme, inoltre, Federazione Russa e Ucraina rappresentano oltre un quarto del commercio mondiale di grano: le tensioni in Europa orientale minacciano di frenare le spedizioni di cereali in tutto il mondo, aumentando i costi di produzione di pane e pasta. La gravità della situazione è stata sottolineata dalla stessa Direttrice Generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), Ngozi Okonjo-Iweala, in un recente statement.
Gli effetti del conflitto stanno avendo impatti notevoli anche sulle catene di approvvigionamento globali: le società commerciali faticano, infatti, a trovare rotte mercantili agevoli, con la chiusura dei porti ucraini, i rischi per la navigazione nel Mar Nero e nel Mar d’Azov, teatri del conflitto, e le limitazioni al transito nel Bosforo, dove la Turchia ha già annunciato di voler attuare le disposizioni della Convenzione di Montreaux che le permettono di limitare la navigazione, in particolare delle navi da guerra, attraverso lo stretto dei Dardanelli. A seguito delle decisioni dell’Unione europea, degli Stati Uniti e di altri Paesi di chiudere i propri spazi aerei ad aeromobili battenti bandiera russa – e le misure reciproche adottate da parte del Governo russo – il commercio è ulteriormente limitato anche per via aerea.
Se gli effetti del conflitto hanno e avranno ricadute globali, il «prezzo» che la Federazione Russa rischia di pagare potrebbe essere altissimo. La condanna del conflitto, nella scontata paralisi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è arrivata in maniera pressoché unanime dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, con una risoluzione adottata il 2 marzo scorso, ha richiesto alla Federazione Russa di «immediately, completely and unconditionally withdraw all of its military forces from the territory of Ukraine within its internationally recognized borders». Diversi Stati like-minded (tra cui Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Regno Unito, Singapore, Stati Uniti d’America, Svizzera, insieme ad altri) e l’Unione europea hanno risposto alla pesante mobilitazione di truppe con l’impiego di tutta la propria forza economica, attuando numerose misure unilaterali – ma di certo «concordate» – in reazione alla palese violazione dell’art. 2.4 della Carta delle Nazioni Unite (v. Milanovic), e al precedente riconoscimento da parte sovietica delle repubbliche separatiste del Luhansk e del Donetsk. Molte di queste misure coercitive (comunemente – e impropriamente – note come «sanzioni») sono state estese anche a soggetti ed entità di nazionalità bielorussa, in ragione della complicità del regime di Lukashenko nell’intervento militare a fianco della Federazione Russa (v. Reetz). Chiaramente, questi provvedimenti sono volti ad isolare lo Stato russo e a far evaporare le risorse economiche necessarie per la conduzione della guerra.
Le misure adottate includono il congelamento dei beni di individui e società commerciali, il limite ai depositi bancari e l’accesso al credito bancario, il divieto di contrattazione per le industrie che operano nel settore della difesa, l’imposizione di dazi, di restrizioni all’accesso al mercato e di misure di carattere commerciale come il ritiro delle concessioni e il blocco delle esportazioni (di armi, in primis, insieme a prodotti, sistemi e tecnologie suscettibili di applicazione cd. dual use). Gli assets della Banca centrale russa nel territorio dell’UE e degli Stati Uniti sono stati bloccati, così come quelli delle principali banche russe e bielorusse, la cui «operatività» è stata fortemente limitata dalla disconnessione dal sistema SWIFT (acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), che ha reso sostanzialmente più complessi, articolati e lunghi i pagamenti a carattere transnazionale connessi al commercio e alle attività finanziarie (v. Kilpatrick). In totale, circa 700 persone e 60 entità sono ora soggette a misure sanzionatorie, inclusi il Presidente Putin, ministri ed alti funzionari dell’apparato amministrativo russo, 351 deputati della Duma e note personalità dell’elite finanziaria russa, inclusi i miliardari Alexei Mordashov, Vladimir Lisin e Alisher Usmanov, considerati molto vicini al Presidente russo, i cui beni sono stati oggetto di provvedimenti di sequestro anche in Italia. A tali misure, già di per sé piuttosto incisive, sono stati affiancati provvedimenti che impongono il divieto di soggiorno e di circolazione degli individui colpiti sul territorio degli Stati che irrogano la sanzione (travel ban) e blocchi del traffico aereo e navale. Inoltre, i principali sistemi di clearing internazionali, Euroclear and Clearstream, hanno deciso di rifiutare transazioni in rubli, così come diverse banche commerciali hanno temporaneamente sospeso la vendita e l’acquisto della valuta, il cui valore è crollato di oltre il 40%. Altri players finanziari globali, come i principali circuiti di pagamento e di carte di credito, hanno sospeso le proprie operazioni in Russia e in Bielorussia. Molte imprese multinazionali, incluse le cd. big-tech, hanno sospeso le vendite dei propri prodotti e servizi in Russia.
Tutti gli strumenti elencati (senza alcuna pretesa di esaustività) sono stati adottati in via unilaterale dagli Stati e dall’Unione europea oppure volontariamente da soggetti privati. Per quanto riguarda i provvedimenti adottati dagli Stati e dall’Unione, è da sottolineare come tali misure coercitive siano state attuate in assenza di una decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi dell’art. 41 della Carta delle Nazioni Unite che, come è noto, permette di adottare misure non implicanti l’uso della forza quando sia riscontrata una delle situazioni previste dall’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite (v. Pellet e Miron). La legittimità delle contromisure adottate da Stati non specialmente lesi da un illecito internazionale costituisce ancora oggi oggetto di un ampio dibattito sul piano del diritto internazionale generale (su questo punto, sia permesso rimandare alle considerazioni di De Sena e Gradoni circa le misure adottate nel 2014 nei confronti della Federazione Russa e, più in generale, agli studi di Asada; Dawidowicz; Hofer; Silingardi; Sossai; Tzanakopoulos e Ronzitti).
È evidente come alcune misure possano però essere inquadrate in specifici regimi normativi:
in particolare, questa prassi appare discutibile alla luce delle norme sul commercio internazionale.
Gli strumenti più spesso utilizzati dai Governi a titolo sanzionatorio includono l’embargo, il boicottaggio o l’imposizione di restrizioni quantitative al commercio, nonché la creazione di ostacoli di carattere non tariffario, come la prescrizione di requisiti specifici di licenza o imballaggio. Misure siffatte potrebbero violare varie clausole degli accordi OMC, in particolare del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) e delGeneral Agreement on Trade in Services (GATS), i cui principi fondanti sono la reciprocità e la non discriminazione nei rapporti commerciali, quest’ultimo espresso dai noti standards del trattamento nazionale e della nazione più favorita (MFN). In particolare, l’articolo I, paragrafo 1, del GATT (così come l’articolo II del GATS) prevede la parità di trattamento rispetto ai prodotti simili originari o destinati ai territori di tutte le altre Parti contraenti: alcuni Paesi, come il Canada, hanno già ritirato tale privilegio nei confronti delle merci provenienti dalla Federazione Russa e dalla Bielorussia, mentre proposte legislative in tal senso sono state introdotte presso il Congresso statunitense. Il 15 marzo 2022 la Presidente della Commissione europea ha annunciato che tale misura sarà attuata anche dall’Unione europea e dai suoi Membri nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Per effetto di tali decisioni, merci e servizi provenienti dalla Federazione Russa potrebbero incorrere in dazi ben più alti. Le misure unilaterali attuate finora, inoltre, hanno stabilito restrizioni quantitative all’esportazione di diverse categorie di beni, le quali potrebbero costituire una violazione dell’art. IX del GATT, che prescrive l’eliminazione delle cd. quote, così come le limitazioni imposte al trasporto aereo, navale e terrestre potrebbero concretare una violazione della norma che impone il libero transito di merci e servizi nei territori delle Parti contraenti (art. V GATT). In aggiunta, va evidenziato che l’art. 23 dell’Understanding sulla risoluzione delle controversie (DSU) proibisce il ricorso a misure unilaterali di self-help, sancendo l’obbligatorietà di ricorrere al sistema di risoluzione delle controversie previsto dall’Intesa: tale interpretazione è stata confermata da diversi panels, tra cui quelli costituiti nei casi US-Shrimp (par. 7.43) e Canada – Aircraft Credits and Guarantees (par. 7.170), i quali hanno chiaramente identificato come «vietate» le misure intraprese individualmente dagli Stati al di fuori del quadro procedurale gestito dal Dispute Settlement Body. Queste ed altre disposizioni, dunque, renderebbero illegittima ogni misura coercitiva unilaterale a carattere commerciale adottata da uno Stato membro nei confronti di un altro.
Tuttavia, gli accordi dell’OMC prevedono anche clausole di eccezione al regime generale di liberalizzazione commerciale, permettendo che – in presenza di specifici requisiti – gli Stati membri possano adottare misure che abbiano l’effetto di restringere il traffico commerciale al fine di proteggere valori ed esigenze di natura non economica. Specificamente, mentre l’art. XX del GATT (e l’art. XIV del GATS) delineano una serie di eccezioni di carattere generale (v. Espa, pp. 193-228; Mauro, pp. 159-162 ), l’art. XXI del GATT e XIVbis del GATS (nonché l’art. 73 dell’accordo relativo ai Trade Related Aspects of International Property Rights – TRIPS) offrono invece l’opportunità di impiegare misure sulla base di esigenze essenziali di sicurezza. Tali clausole sono state molto raramente invocate nella prassi OMC (v. Mavroidis, Bermann, Wu, pp. 684-786).
Come dettato dalla lettera dell’art. XXI del GATT, tuttavia, tale eccezione di sicurezza è direttamente collegata agli obiettivi di protezione della pace e di mantenimento della sicurezza internazionale professati dalla Carta delle Nazioni Unite, così come la lettera (b) della stessa disposizione prescrive che tali misure possono essere decise in periodo di guerra o di emergenza nelle relazioni internazionali. Invocando tale disposizione, l’Ucraina ha deciso di applicare un embargo totale ai prodotti provenienti dalla Federazione Russa e di non applicare gli accordi dell’OMC nei confronti dello stesso Stato, come sintetizzato in una lettera indirizzata al Chairman del Consiglio generale dell’OMC. C’è da chiedersi, però, se le misure coercitive adottate dall’Ucraina e da altri Stati nei confronti della Federazione Russa e della Bielorussa siano legittime e quindi possano rientrare nella clausola di eccezione.
Due recenti casi in seno all’OMC possono venire in supporto, visto che in essi è stato specificamente preso in considerazione l’uso di misure economiche unilaterali. Nel 2017, il Qatar aveva fatto ricorso all’organismo di risoluzione delle controversie dell’OMC a causa delle azioni di quattro Stati – Bahrain, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (UAE) – sostenendo che le misure economiche coercitive adottate da tali Stati costituivano una violazione delle regole dell’Organizzazione, impedendo la libertà di transito delle merci e frustrando la maggior parte degli scambi commerciali tra i due Paesi. Tuttavia, benché il panel costituito nella controversia tra Qatar e Arabia Saudita avesse riconosciuto l’esistenza di uno stato di «tensione» e la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, nella decisione solo alcune misure adottate dal Governo saudita era state ritenute giustificate da ragioni di sicurezza: piuttosto sorprendentemente, però, nel rapporto non vi era alcuna elaborazione o analisi circa la natura della situazione emergenziale che avrebbe giustificato misure restrittive del commercio (cfr. Saudi Arabia – Measures Concerning The Protection Of Intellectual Property Rights, par. 7.257; in argomento, v. Glöckle). Un precedente caso tra Ucraina e Russia, aperto nel 2016, è invece sfociato in una decisione nel 2019 che fornisce un’interpretazione più completa dell’eccezione di sicurezza ai sensi dell’articolo XXI (cfr. Russia – Measures Concerning Traffic In Transit; in argomento, v. Adinolfi e Marotti; Voon). Come è noto, la controversia è sorta a seguito del grave deterioramento delle relazioni tra i due Paesi nel febbraio 2014, situazione che aveva portato la Federazione Russa a limitare il transito attraverso il proprio territorio delle merci ucraine destinate a mercati dell’Asia centrale. L’Ucraina aveva contestato tali restrizioni davanti agli organi OMC poiché contrarie all’articolo V del GATT nonché a vari impegni commerciali previsti dal Protocollo di adesione della Federazione Russa all’Organizzazione. La Russia aveva risposto invocando l’articolo XXI (b) (iii) del GATT, che come detto prevede che un membro dell’OMC possa intraprendere qualsiasi azione «which it considers necessary for the protection of its essential security interests taken in time of war or other emergency in international relations». Il panel aveva allora ritenuto che la Russia avesse soddisfatto i requisiti per invocare l’eccezione ed aveva interpretato il requisito dell’emergenza nelle relazioni internazionali come una «situation of armed conflict, or of latent armed conflict, or of heightened tension or crisis, or of general instability engulfing or surrounding a state» (par. 7.75-7.76). Di conseguenza, la situazione tra questi due Stati poteva ben considerarsi un’emergenza nelle relazioni internazionali, giustificando le misure restrittive adottate nei confronti delle merci ucraine ai sensi dell’articolo XXI (b) (iii) del GATT (par. 7.5.7; in argomento, v. Neuwirth e Svetlicinii). Secondo i panelists, infatti, vi erano prove che le relazioni tra l’Ucraina e la Federazione Russa si fossero deteriorate fino al punto di destare preoccupazione per tutta la comunità internazionale, alla luce del riconoscimento della situazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e delle proteste e misure di carattere unilaterale adottate da numerosi Governi.
Alla luce della precedente – benché scarna – giurisprudenza legata all’eccezione di sicurezza, può quindi proporsi una prima valutazione delle misure coercitive attuate nei confronti della Federazione Russa e della Bielorussia nel febbraio/marzo 2022. Prima di tutto, sembra non esserci alcun dubbio sul fatto che l’attuale conflitto possa considerarsi una situazione di «guerra o di emergenza nelle relazioni internazionali» che renda applicabile l’art. XXI – e le disposizioni in materia contenute negli altri accordi – e di conseguenza possibile la disapplicazione delle regole OMC da parte dell’Ucraina nei confronti della Federazione Russa. Tuttavia, è da verificare se lo Stato ucraino possa disattendere anche gli obblighi nascenti da accordi non propriamente di carattere «commerciale»: la nota diplomatica ucraina, infatti, parla in modo generico di «WTO Agreements», includendo anche altri allegati all’Accordo OMC, come il DSU e l’Accordo relativo alla review periodica delle politiche commerciali. Le clausole di eccezione per ragioni di sicurezza, invece, sono riferibili esclusivamente agli obblighi presenti negli accordi in cui esse sono contenute e potrebbero pertanto essere invocate solo in riferimento ad obblighi previsti dal GATT, dal GATS e dal TRIPS. Tale circostanza è stata sottolineata dalla stessa Federazione Russa nella propria nota diplomatica di risposta.
In secondo luogo, in relazione alle misure attuate da Paesi terzi, come il Canada, e dall’Unione europea, sembra che possa comunque applicarsi la clausola di eccezione: il testo dell’art. XXI del GATT, infatti, non contiene nessun riferimento a situazioni emergenziali che coinvolgano direttamente lo Stato che invoca l’eccezione, ma fa riferimento a generici «interessi essenziali» di sicurezza, la quale, ad avviso di chi scrive, può ben includere il rispetto del principio del divieto di utilizzare la forza nelle relazioni internazionali, la salvaguardia dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica degli altri Stati e l’obbligo di risolvere pacificamente le controversie. Tantomeno, le clausole citate non limitano il proprio ambito di applicazione a situazioni puramente di carattere nazionale: per esempio, la lettera (c) dell’art. XXI del GATT effettua un chiaro richiamo alla Carta delle Nazioni Unite e agli obblighi connessi al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, permettendo ai Membri dell’OMC di disattendere obblighi ex GATT al fine di attuare le misure coercitive decise dal Consiglio di sicurezza sulla base degli artt. 39 e 41 della Carta (Van den Bossche e Zdouc, pp. 622-623). Sulla base di tali considerazioni, sarebbe permessa la sospensione di obblighi commerciali anche da parte di Paesi non coinvolti direttamente nel conflitto russo-ucraino.
In ultimo, è opportuno però ricordare come la predominante interpretazione delle eccezioni in oggetto riconosca agli Stati il potere di auto-determinare, in via del tutto soggettiva, quali situazioni mettano a repentaglio la propria sicurezza nazionale e quali azioni siano necessarie ad affrontare tale emergenza. Di conseguenza, tale valutazione esula dal controllo di eventuali organi incaricati di stabilire la legittimità di tali misure nel quadro del sistema di risoluzione delle controversie OMC (v. la citata decisione Russian – Measures Concerning Traffic in Transit, par. 7.102-7.103). Tuttavia, l’invocazione dell’art. XXI (b) del GATT non è completamente non-justiciable: il panel e l’eventuale Organo d’appello OMC dovranno comunque valutare che il ricorso all’eccezione sia effettuato in buona fede (più approfonditamente, v. Schill e Briese, pp. 106-110).
L’art. XXI del GATT e le disposizioni «sorelle» contenute negli altri accordi OMC, dunque, potrebbero offrire un certo margine di manovra per giustificare misure coercitive di carattere unilaterale che in linea di massima sarebbero vietate dal DSU e contrarie a diverse disposizioni degli accordi OMC: sarà necessario, chiaramente, dimostrare in maniera obiettiva l’esistenza di una situazione eccezionale per le relazioni internazionali e, inoltre, che la misura sia stata intrapresa ragionevolmente e senza abusi. In caso contrario, sembra non esserci alcuna giustificazione nel regime speciale OMC per misure siffatte. Di certo, il sistema di risoluzione delle controversie dell’Organizzazione potrebbe presto doversi confrontare nuovamente con tale tema, in virtù delle tante misure adottate contro la Federazione Russa e, in misura minore, contro la Bielorussia, da parte degli altri Stati in risposta al conflitto.
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