Alle fondamenta dell’inviolabilità dei membri del Parlamento europeo: il caso Junqueras
Riccardo Centenari, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Ai sensi degli artt. 8 e 9 del Protocollo (n. 7) sui privilegi e sulle immunità dell’Unione europea, i membri del Parlamento europeo beneficiano di un’immunità che si declina nelle due forme di tutela generalmente riconosciute dagli Stati membri ai propri parlamentari nazionali, vale a dire l’insindacabilità delle opinioni e dei voti espressi nell’esercizio delle proprie funzioni e l’“inviolabilità” dinanzi ai procedimenti giudiziari (tra molte, sent. 21 ottobre 2008, C-200/07 C-201/07, p. 24). Ed è su questo secondo profilo che la Corte di giustizia dell’Unione europea è stata chiamata a pronunciarsi nell’ambito della propria competenza pregiudiziale con la sentenza del 19 dicembre 2019, C-502/19.
In particolare, alla Corte si è posta la questione di stabilire, da un lato, se l’inviolabilità possa operare anteriormente all’inizio del mandato parlamentare; dall’altro, se essa comporti il diritto per il deputato sottoposto a misura privativa della libertà personale di ottenere un permesso che gli consenta di prendere parte alle riunioni del Parlamento europeo. Senonché, oltre a tali questioni, che attengono alla delimitazione temporale e agli effetti sostanziali dell’inviolabilità, alla Corte si è posto ancor prima il problema della modalità di acquisizione dello status di parlamentare europeo, il quale costituisce il presupposto per il godimento di tale immunità. In particolare, la Corte è stata chiamata a stabilire se tale qualifica venga acquisita per effetto dalla sola proclamazione dei risultati elettorali, ovvero se gli Stati membri possano prevedere ulteriori condizioni.
1. Le questioni traggono origine dal procedimento penale promosso a carico dell’allora vicepresidente del Governo autonomo della Catalogna, Oriol Junqueras Vies, per i reati di ribellione, disobbedienza e malversazione che questi avrebbe commesso nell’ambito del processo di secessione della Catalogna concretizzatosi nel referendum sull’autodeterminazione del 1° ottobre 2017. Al riguardo, occorre brevemente ricordare che, sottoposto a custodia cautelare in carcere, Junqueras è stato proclamato eletto al Parlamento europeo dalla commissione elettorale centrale spagnola all’esito dell’elezioni del 26 maggio 2019, quand’ancora si stava svolgendo il giudizio a suo carico.
In tale contesto, la questione pregiudiziale è stata sollevata dal Tribunal Supremo (Corte di cassazione spagnola), il quale era chiamato a decidere sul ricorso esperito avverso l’ordinanza di diniego di un permesso straordinario di uscita dal carcere richiesto da Junqueras allo scopo di adempiere l’onere previsto dalla normativa nazionale per la regolare attribuzione del seggio presso il Parlamento europeo. Infatti, a norma dell’art. 224, par. 2, della legge elettorale spagnola, l’attribuzione del seggio ai deputati europei è subordinata al giuramento di osservanza della Costituzione spagnola, che deve essere prestato dal neoeletto innanzi alla commissione elettorale centrale, pena la dichiarazione dello stato di vacanza del seggio medesimo.
Va poi segnalato che Junqueras ha fatto valere la propria immunità parlamentare anche al di fuori della competenza pregiudiziale della Corte di giustizia, agendo direttamente dinanzi alle giurisdizioni europee. In particolare, tra novembre 2019 e febbraio 2020 sono stati introdotti innanzi al Tribunale tre ricorsi di annullamento (cause T-734/19, T-24/20, T-100/20), al momento ancora pendenti, avverso le decisioni con cui la Presidenza del Parlamento europeo ha constatato lo stato di vacanza del seggio e ha rigettato le diverse richieste di intervento urgente per garantire l’immunità del neoeletto formulate a norma dell’art. 8 del Regolamento interno del Parlamento.
2. Per quanto attiene invece al merito della questione pregiudiziale qui in esame, la Corte prende le mosse dal problema preliminare dell’individuazione della modalità di acquisizione dello status di membro del Parlamento europeo.
A tal proposito, la Commissione e il Parlamento europeo sostengono che, già all’epoca del deferimento della questione pregiudiziale, Junqueras fosse privo dello status di deputato, venendo così meno in radice la questione della relativa immunità (Conclusioni AG, punti 40-41). È da notare che il Parlamento europeo non si schiera dunque a favore del neoeletto e, di riflesso, della propria autonomia istituzionale; tale approccio, come si è visto, è confermato in occasione delle decisioni con cui l’istituzione non ha dato corso alle richieste di tutela dell’immunità, limitandosi piuttosto a rilevare la vacanza del seggio.
In particolare, secondo la tesi della Commissione e del Parlamento, l’onere di prestare giuramento di osservanza della Costituzione di cui all’art. 224, par. 2, della legge elettorale spagnola costituirebbe per la Spagna una fase della procedura elettorale, la quale, come è noto, è retta dal diritto nazionale degli Stati membri in forza dell’atto elettorale del 20 settembre 1976. Di conseguenza, lo status di membro del Parlamento europeo conseguirebbe solo all’adempimento di tale onere.
A una diversa soluzione giunge però la Corte di giustizia secondo la quale è dallo stesso principio della “democrazia rappresentativa” a fondamento del funzionamento dell’Unione che discende che lo status di parlamentare venga acquisito per effetto della sola proclamazione dei risultati elettorali (cfr. punti 70-71). Ne consegue che gli oneri di varia natura che, in virtù di una norma di diritto nazionale, i neoeletti posso essere chiamati ad adempiere ai fini della regolare assunzione delle loro funzioni devono ritenersi di natura meramente formale, non potendo condizionare l’attribuzione dello status di parlamentare.
Del resto, come afferma l’Avvocato generale, giungere alla soluzione opposta significherebbe assoggettare il voto dei cittadini ad una sorta di “convalida” o “conferma”, del tutto incompatibile con l’essenza stessa del mandato rappresentativo e del suffragio universale diretto che informano il principio della democrazia rappresentativa (Conclusioni AG, punto 46).
Vale infatti la pena ricordare che a norma dell’art. 10 TUE, l’Unione europea trova una duplice legittimazione sotto il profilo del principio della democrazia rappresentativa. Quest’ultima trova fondamento “immediato” nel Parlamento europeo, dove i cittadini degli Stati membri sono direttamente rappresentati, e fondamento “mediato” nel Consiglio europeo e nel Consiglio, i cui membri sono responsabili dinanzi ai rispettivi parlamenti nazionali (Bartoloni, Donati).
Ne consegue che sono proprio il mandato rappresentativo e l’elezione a suffragio universale diretto, libero e segreto dei membri del Parlamento europeo (art. 14, par. 3, TUE), che costituiscono l’essenza del principio della democrazia rappresentativa in seno all’Unione.
Si è in presenza, dunque, di una questione di “constitutional significance”, atteso che, come rilevato in dottrina, le ragioni a fondamento dell’interpretazione promossa dalla Corte attingono ai valori fondamentali dell’Unione, evocando in definitiva il valore della democrazia di cui all’art. 2 TUE (cfr. van Elsuwege 2019).
Più in particolare, nell’affermare una tale interpretazione, per così dire, costituzionalmente orientata, la Corte precisa che gli Stati membri non possono introdurre condizioni ulteriori per l’acquisizione dello status di parlamentare, fermo restando la loro competenza in ordine alla procedura elettorale e la conseguente impossibilità per il Parlamento europeo di contestare la proclamazione dei risultati della stessa (punti 69-70).
Ed anzi, ad avviso della Corte, è proprio dalla disposizione secondo cui il Parlamento europeo deve contentarsi di “prendere atto” dei risultati elettorali, che può dedursi, alla luce del principio della democrazia rappresentativa (di cui la stessa disposizione è attuativa), che l’acquisizione dello status di parlamentare è subordinata alla sola proclamazione dei risultati medesimi (punto 70).
2. Definiti il tempo e la modalità di acquisizione dello status di membro del Parlamento europeo, occorre dar conto dell’inviolabilità parlamentare che a tale qualifica è correlata. La Corte ricorda che l’art. 9, co. 1, del Protocollo n. 7 circoscrive l’ambito di applicazione di tale immunità alla durata delle sessioni del Parlamento europeo, laddove, ai sensi dell’art. 9, co. 2, l’inviolabilità si estende al tempo del tragitto necessario per recarsi al luogo della riunione o farvi ritorno.
Per quanto attiene all’art. 9, co. 1, la Corte ricorda, anzitutto, l’ampia portata di detta disposizione, posto che il Parlamento deve intendersi in “sessione” anche per il tempo in cui non è effettivamente riunito (c.d. “sessione permanente”).
Al riguardo, si ricordi infatti che a norma dell’art. 229 TFUE il Parlamento tiene delle sessioni dette “annuali”. Secondo la giurisprudenza della Corte, in difetto di una disposizione dei Trattati che precisi puntualmente l’esatta durata di dette sessioni, la determinazione della stessa ricade nel potere discrezionale di autorganizzazione del Parlamento europeo (Wybot, punti 16-17). In tale spazio di autonomia, si è consolidata una prassi risalente del Parlamento (rilevata già in Wybot) per la quale la sessione assume effettivamente la durata di un intero anno, con la conseguenza che la chiusura della sessione avviene in un momento immediatamente anteriore all’apertura di quella successiva. Tale prassi comporta una sorta di continuum tra le sessioni del Parlamento, le quali si susseguono durante tutta la legislatura sostanzialmente senza iati.
Ne consegue che l’approdo da parte della Corte alla nozione di sessione “permanente”, unitamente alla descritta prassi in tema di sessioni, comporta che l’immunità di cui all’art. 9, co. 1, si estenda sostanzialmente senza interruzioni non solo per la durata della sessione annuale, ma più in generale per l’intera durata della legislatura.
Sicché resta da interrogarsi sullo spazio residuo che può riconoscersi all’operatività dell’art. 9, co. 2, del Protocollo n. 7. Se infatti l’immunità di cui all’art. 9, co. 1, è già idonea a coprire in sostanza l’intera durata della legislatura, è chiaro che anche i tragitti dei membri del Parlamento ricadranno sotto la copertura dell’art. 9, co. 1, senza che occorra invocare l’operatività dell’art. 9, co. 2.
Ed è infatti anche sulla scorta di un tale ragionamento che, come riporta l’Avvocato generale, la Commissione europea sostiene una sostanziale interpretatio abrogans dell’art. 9, co. 2. Tale disposizione risulterebbe, ad avviso dell’istituzione, priva di ogni autonoma rilevanza, posto che, da un lato, nessuno spazio di operatività può residuare durante il periodo della legislatura, stante la copertura estensiva già fornita dell’art. 9, co. 1, dall’altro, l’art. 9, co. 2, non potrebbe neppure trovare applicazione al di fuori dell’arco temporale della legislatura medesima, la quale costituirebbe una sorta di limite intrinseco all’ambito di operatività dell’immunità parlamentare. In definitiva, si tratterebbe di una sorta di fossile giuridico, cui poteva riconoscersi un qualche effetto autonomo solo quando il Parlamento “non era permanentemente in sessione” e dunque vi era ancora lo spazio giuridico per l’art. 9, co. 2 di operare tra una riunione e l’altra nel corso della legislatura (cfr. Conclusioni AG punto 91).
Quanto al primo argomento sollevato dalla Commissione, la Corte aveva già avuto modo di precisare in precedenti pronunce che, durante l’arco temporale della legislatura, l’art. 9, co. 2, non può dirsi privo di autonoma rilevanza, atteso che, come si è detto, la durata della sessione è rimessa alla discrezionalità del Parlamento, il quale, pertanto, può sempre decidere di non far coincidere la chiusura della sessione in corso con l’apertura di quella successiva. In tal caso si verrebbe a costituire tra le sessioni uno iato, nel quale potrebbe insinuarsi l’art. 9, co. 2, (Wybot, punto 25).
Resta peraltro da chiedersi se, al di fuori della (remota) possibilità di un cambio della prassi parlamentare, possano sussistere ulteriori profili di autonomia dell’art. 9, co. 2.
Si giunge così al secondo argomento sollevato dalla Commissione, il quale viene anch’esso rigettato, dal momento che la Corte ammette che l’art. 9, co. 2, possa operare anche al di fuori dell’arco temporale della legislatura. Infatti, l’immunità di tragitto di cui all’art. 9, co. 2, deve chiaramente ricomprendere lo spostamento che è volto a condurre l’ormai membro del Parlamento europeo alla prima riunione, costitutiva della nuova legislatura. Ne consegue che, nel caso di specie, a Junqueras deve riconoscersi la possibilità di avvalersi dell’immunità parlamentare ex art. 9, co. 2, nonostante la nuova legislatura non sia ancora iniziata.
Come rileva l’Avvocato generale, non vi è nulla di singolare nel riconoscere l’operatività dell’art. 9, co. 2 anche prima dell’inizio della legislatura e, quindi, del mandato parlamentare (Conclusioni AG, punto 80). Ciò, anzi, è pienamente rispondente alla logica sottesa alla disposizione in esame, la quale è volta a garantire il buon funzionamento e l’indipendenza del Parlamento europeo, il principio della democrazia rappresentativa, nonché l’effettività del diritto di elettorato passivo. Infatti, assicurando che i parlamentari possano recarsi senza ostacoli alla prima riunione del Parlamento europeo, l’art. 9, co. 2 garantisce la regolare costituzione della nuova legislatura e il compimento degli adempimenti necessari per l’insediamento dei parlamentari nel proprio seggio e per il regolare inizio del loro mandato.
Occorre forse aggiungere che, salva una (improbabile) modifica della descritta prassi del Parlamento, l’interpretazione estensiva della nozione di “sessione” ex art. 9, co. 1, comporta che, in realtà, l’art. 9, co. 2, possa conservare un qualche profilo di autonomia “solo” se si ammette la sua operatività fuori della durata della legislatura, e dunque prima dell’avvio della stessa, o dopo il suo termine, consentendo i relativi spostamenti dei parlamentari. Al momento, questo spazio giuridico costituisce il terreno esclusivo di operatività dell’art. 9, co. 2, sicché, in ultima analisi, se non si ammettesse l’operatività dell’art. 9, co. 2 fuori della durata del mandato parlamentare, la disposizione sarebbe sostanzialmente privata del proprio effetto utile.
3. In definitiva, la Corte si sofferma sull’incidenza che l’applicazione dell’immunità ex art. 9, co. 2, del Protocollo n. 7 può esercitare sullo stato detentivo di un deputato al Parlamento europeo. In particolare, la Corte rileva che l’inviolabilità osta a che una misura detentiva, quale la custodia cautelare in carcere, possa ostacolare lo spostamento di un membro del Parlamento europeo verso il luogo dove si terrà la prima riunione, costitutiva della nuova legislatura.
Viene così a delinearsi una forma di tutela rigida e non modulabile, che non consente un bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco di tutela della giustizia e protezione del parlamentare, come invece auspicato dal giudice a quo nella terza questione pregiudiziale. La giurisdizione che intenda mantenere la misura privativa della libertà, ha infatti come unica possibilità quella di chiedere “quanto prima” al Parlamento europeo di revocare l’immunità a norma dell’art. 9, co. 3, del Protocollo n. 7 (punto 91).
Vale forse la pena evidenziare che, per giungere a tale conclusione, la Corte fa piena astrazione dal collegamento tra il primo e secondo comma dell’art. 9.
È infatti lo stesso Avvocato generale a precisare che, limitandosi a disporre che “l’immunità” vale anche quando i parlamentari si recano al luogo della riunione o ne fanno rientro, il secondo comma dell’art. 9 deve intendersi come un mero rimando all’immunità di cui al primo comma (Conclusioni AG, p. 87). L’art. 9, co. 2 non identificherebbe quindi un’autonoma tipologia di inviolabilità, ma si limiterebbe ad estendere l’ambito di incidenza di quella prevista all’art. 9, co. 1.
Ne consegue che, come indica l’Avvocato generale, qualora il membro del Parlamento europeo si trovi, come nel caso di specie, sul proprio territorio nazionale, l’art. 9, co. 2 comporta l’applicazione della tutela prevista per i parlamentari dello Stato di appartenenza ex art. 9, co. 1, lett. a).
Se è chiaro che la definizione per rinvio al diritto nazionale del contenuto della norma sovranazionale non vale a privare la Corte della propria funzione di nomofilachia, resta fermo che i giudici di Lussemburgo paiono qui attribuire effetti autonomi all’art. 9, co. 2, del Protocollo, non entrando in linea di conto se l’immunità riconosciuta agli omologhi parlamentari nazionali attribuisca ad essi il diritto di recarsi alle riunioni della propria camera di appartenenza in caso di misura privativa della libertà personale.
4. In conclusione, occorre osservare che, nel procedimento principale radicato dinanzi alle autorità giudiziarie spagnole, il ricorso esperito da Junqueras avverso l’ordinanza di diniego del permesso di uscita dal carcere è stato respinto dal Tribunal Supremo con ordinanza del 9 gennaio 2020; e ciò sul rilievo che, anche a voler ammettere l’interpretazione del giudice UE in tema di immunità, resta il fatto che Junqueras deve ormai dirsi privo dello status di parlamentare. Infatti, ancor prima che la Corte di giustizia si pronunciasse sulle questioni pregiudiziali, con sentenza del 14 ottobre 2019 il Tribunal Supremo si era già espresso nel merito, condannando Junqueras in via definitiva a 13 anni di carcere. In particolare, sono le sanzioni accessorie discendenti dalla sentenza di condanna che hanno determinato l’incapacità assoluta del condannato, con conseguente cessazione da ogni carica e funzione pubblica, ivi compresa quella di membro del Parlamento europeo.
A tal proposito, va segnalato che secondo parte della dottrina, eludendo la pronuncia del giudice sovranazionale, la Corte Suprema spagnola non avrebbe rispettato appieno il principio di leale collaborazione (van Elsuwege 2020). È infatti la stessa Corte di giustizia che nella propria pronuncia ricorda che spetta al giudice a quo trarre le conseguenze che nel caso di specie discendono dall’immunità parlamentare, e ciò nel rispetto del diritto UE e del principio di leale collaborazione (punto 93).
Come è noto, detto principio non può che assumere una particolare importanza ove la collaborazione coinvolga le autorità giudiziarie degli Stati membri, essendo queste incaricate di vigilare sul rispetto del diritto europeo (e ciò pure nell’ambito dei rapporti tra giudice nazionale ed istituzioni diverse dalla Corte di giustizia, così, con riferimento ai rapporti con il Parlamento europeo, in tema di immunità cfr. sent. 21 ottobre 2008, C-200/07 C-201/07, punto 40). Da una tale collaborazione dipende infatti l’effettività del diritto dell’Unione, sicché in dottrina vi è chi profila la fondatezza di un’eventuale procedura di infrazione contro lo Stato spagnolo (van Elsuwege 2020).
Invero, la decisione del Tribunal Supremo era stata preannunciata dallo stesso Avvocato generale, il quale, sollevando l’argomento dell’incapacità di Junqueras, aveva manifestato dubbi circa la ricevibilità del ricorso (Conclusioni AG punti 96 ss.). Infatti, come si è anche sostenuto in dottrina, se ancor prima della decisione della Corte di giustizia, Junqueras aveva già perso la qualifica di parlamentare, stante l’intervenuta condanna definitiva, la questione sottoposta ai giudici europei doveva dirsi irrilevante (Sarmiento).
Sembra dunque che la Corte abbia voluto cogliere l’“opportunità” di pronunciarsi sul tema dell’immunità, facendo leva sulla consolidata giurisprudenza in punto di presunzione di pertinenza (tra molte, sent., 16 dicembre 2008, C‑210/06). Argomento, questo, che appare comunque solido, specie se si evidenzia, come fa la Corte, che è stato lo stesso giudice a quo a precisare, all’indomani della decisione di condanna, che la questione interpretativa conservava la propria rilevanza, atteso che, a prescindere dall’intervenuta condanna definitiva, al giudice spagnolo restava pur sempre il compito di decidere sul ricorso esperito avverso l’ordinanza di diniego del permesso (punto 57). Il giudice rimettente ha poi concluso che la pronuncia pregiudiziale, essendo diretta a definire i rapporti tra stato detentivo e immunità parlamentare, avrebbe sortito i propri effetti “indipendentemente” dalla natura definitiva o provvisoria della detenzione e, dunque, anche a seguito di “condanna definitiva” (cfr. punto 42).
Ed è alla luce di tale dato che l’ipotesi della violazione del principio di leale collaborazione pare assumere concretezza. L’intento elusivo emerge infatti con chiarezza se si considera la contraddittorietà delle posizioni assunte dalla Corte spagnola, la quale dapprima ha affermato la rilevanza delle questioni pregiudiziali, poi l’ha sostanzialmente negata al fine di sottrarsi al rispetto della pronuncia europea.
Va peraltro rilevato che se il Tribunal Supremo, in ossequio alla leale collaborazione, fosse stato coerente con le proprie premesse e avesse ammesso gli effetti della pronuncia pregiudiziale dopo l’intervenuta condanna, ciò avrebbe implicato l’operatività dell’immunità e il conseguente riconoscimento in capo a Junqueras dello statusdi parlamentare, configurandosi così una sorta di deroga alla generale incapacità discendente dalla condanna definitiva. Non sembra, invece, che si sarebbe potuto dubitare del rispetto del principio di leale collaborazione se il giudice a quo, a seguito della condanna definitiva, avesse precisato fin da subito che la questione aveva ormai perso ogni rilevanza, stante la sopravvenuta incapacità di Junqueras. Il giudice rimettente, nell’escludere gli effetti della pronuncia pregiudiziale, sarebbe stato coerente con le proprie premesse, sicché difficilmente si sarebbe potuto individuare un intento elusivo della pronuncia europea. In tal caso, peraltro, il problema si sarebbe forse risolto in radice, posto che la Corte di giustizia avrebbe potuto giudicare irricevibile la questione pregiudiziale sulla base del costante orientamento secondo cui spetta essenzialmente al giudice a quo valutarne la rilevanza.
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