La mobilità transfrontaliera dei pazienti affetti da Covid-19
Marco Inglese, Ricercatore, Università di Parma
1. Introduzione
La pandemia di Covid-19 sta mettendo a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari nazionali. Se, in un primo momento, tra i problemi maggiormente pressanti si annoverava l’approvvigionamento rapido dei dispositivi di protezione individuale (DPI), ben presto l’attenzione si è spostata sull’insufficienza dei posti letto in terapia intensiva. Secondo i dati più recenti, precedenti la pandemia e risalenti al settembre 2019, in Italia erano disponibili 5.090 posti letto di terapia intensiva (8,42 per 100.000 ab.). Tuttavia, questo dato sembra non riuscire a fotografare esattamente la realtà ospedaliera nella misura in cui le Regioni sono state colpite asimmetricamente dalla pandemia. Inoltre, come noto, la tutela della salute è una materia di legislazione concorrente ex art. 117, co. 2, Cost.
Queste osservazioni introduttive sono da raccordarsi con l’ordinamento dell’Unione europea, laddove – premesso un obiettivo trasversale di c.d. health in all policies (art. 9 TFUE) – la competenza per i problemi comuni di sanità pubblica è concorrente (art. 4, par. 2, lett. k, TFUE) mentre l’Unione può intervenire a supporto, sostegno e coordinamento nel miglioramento della salute umana (art. 6, lett. a, TFUE) (v. Bestagno). Accanto a queste disposizioni e a fini ricostruttivi, occorre poi menzionare sia l’art. 35 della Carta sia l’art. 168 TFUE. Più nello specifico, da un lato, l’art. 168, par. 7, TFUE riafferma la competenza esclusiva degli Stati membri nell’organizzazione e finanziamento dei propri sistemi sanitari – da esercitarsi, purtuttavia, nel rispetto del diritto dell’Unione (v., in origine, Duphar) –; dall’altro lato, prevede misure di armonizzazione in alcuni settori altamente specifici, per lo più confinati alle operazioni sul sangue umano, alla sicurezza degli organi umani destinati ai trapianti e ai prodotti del tabacco (v., da ultimo, Pillbox).
Nel rispetto delle competenze statuali e sotto il proprio coordinamento, la Commissione ha adottato la comunicazione Orientamenti sull’assistenza di emergenza dell’UE per quanto riguarda la cooperazione transfrontaliera nell’ambito dell’assistenza sanitaria legata alla crisi della Covid-19 (in seguito: gli Orientamenti) volta a garantire forme particolarmente rapide di circolazione dei pazienti ospedalizzati affetti da Covid-19. Gli organi di stampa hanno dato risalto a detta mobilità, (qui e qui per esempio), sottolineando una rinnovata concordia paneuropea, precedentemente minacciata dalle accese negoziazioni sugli strumenti finanziari da adottare e sul loro funzionamento (v. Baratta, Costamagna, Lionello).
Il presente contributo intende offrire una prima analisi degli Orientamenti per tentare di comprenderne l’efficacia sui sistemi sanitari nazionali. La gestione a livello statuale e, per quel che riguarda l’Italia, a livello regionale, del meccanismo non consente di disporre di dati empirici. Tuttavia, si possono individuare, già con riguardo allo strumento in sé, alcune criticità.
2. Gli Orientamenti della Commissione
Prima di esaminare il contenuto degli Orientamenti e al fine di inquadrarli correttamente, è opportuno ripercorrere succintamente le origini della mobilità transfrontaliera dei pazienti. Essa si afferma a partire dalla fine degli anni ’90 come una species dell’amplissimo genus della libera prestazione dei servizi ex art. 56 TFUE nella misura in cui un paziente, affiliato a un sistema sanitario nazionale, si rechi in un altro Stato membro per ivi sottoporsi a un trattamento medico (v., in origine, Kohll). Questo schema si riverbera immediatamente sul pagamento delle prestazioni ricevute, ragion per cui in una copiosa quanto coerente giurisprudenza, la Corte di giustizia ha costantemente affermato che il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario dei sistemi sanitari nazionali, quale motivo imperativo di interesse generale, consente la presenza di un sistema di autorizzazione preventiva (v. Smits e Peerbooms), purché essa sia necessaria, idonea e proporzionata. Ulteriore elemento che la Corte ha inteso valorizzare è l’assenza di distinzione tra i sistemi sanitari pubblici, quelli privati e quelli misti, nella misura in cui risulta irrilevante il soggetto che materialmente eroghi il pagamento delle spese mediche (v. Watts). Questa giurisprudenza è stata poi trasfusa nella direttiva 2011/24/UE, concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera (v. da ultimo, Di Federico, Negri, specialmente cap. V). È interessante notare che, muovendosi nel più ampio alveo del completamento del mercato interno, l’art. 114 TFUE è la base giuridica della direttiva 2011/24. Con queste premesse, è ora possibile esaminare gli Orientamenti per poi evidenziarne taluni problemi applicativi.
In ossequio alla decisione 1082/2013/UE relativa alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero e al contrasto ai grandi flagelli, adottata sulla base dell’art. 168, par. 5, TFUE, viene potenziato il meccanismo di coordinamento e scambio di informazioni e buone prassi tra gli Stati membri (v., da ultimo, Casolari). In tal modo gli Orientamenti si preoccupano, nel quadro congiunto della decisione 1082/2013 e della direttiva 2011/24, di coordinare la domanda e l’offerta di posti letto, il trasporto transfrontaliero di emergenza, il rimborso delle spese mediche e le modalità pratiche di trasferimento dei pazienti. Il punto di partenza è la notifica da parte dello Stato membro interessato al Sistema di allarme e risposta rapido (SARR) mentre gli Stati membri utilizzano lo stesso SARR per offrire la propria disponibilità. Dal canto suo, la Commissione, per il tramite del Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC), dovrà coordinare e cofinanziare il trasporto medico. Parallelamente, occorre notare che gli Orientamenti non si occupano del rimpatrio dei cittadini dell’Unione affetti da Covid-19 momentaneamente in Paesi terzi. Viene quindi in rilievo prioritariamente il Meccanismo unionale di protezione civile, istituito con la decisione 1313/2013/UE il quale, a sua volta, è da raccordarsi con la direttiva 2015/637 del Consiglio sulle misure di coordinamento e cooperazione per facilitare la tutela diplomatica e consolare dei cittadini dell’Unione non rappresentati nei Paesi terzi. I dati più recenti dimostrano che al 30 aprile, grazie al Meccanismo, sono stati rimpatriati circa 56.000 cittadini; tuttavia, ancora una volta, sono state evidenziate presunte inefficienze statuali nella gestione delle procedure (v. qui).
Per quel che riguarda il costo delle spese mediche e il rapporto con la direttiva 2011/24, gli Orientamenti affermano immediatamente che esse sono a carico dello Stato trasferente secondo il regolamento 883/2004/CE, mentre invitano gli Stati membri, «in considerazione dell’emergenza pubblica, […] a valutare la possibilità di un’autorizzazione preventiva generale per garantire la copertura di tutte le spese sostenute dal prestatore di assistenza sanitaria ospitante» (ibid., par. 4).
Agli aspetti economici si aggiungono poi quelli di raccordo concernenti la continuità terapeutica e, di conseguenza, il reciproco riconoscimento delle prescrizioni mediche. In altre parole, il paziente trasferito, una volta di ritorno nello Stato membro di affiliazione, dovrà poter acquistare i medicinali che gli sono stati prescritti, fatti salvi i casi specifici previsti dalla direttiva 2011/24, i.e. la verifica dell’autenticità della prescrizione e il diritto del farmacista di rifiutare la dispensazione per motivi etici.
Peraltro, non sembra superfluo notare che, anche a causa della possibile reintroduzione di controlli alle frontiere interne, dovrebbe comunque essere garantita sia la libera circolazione dei pazienti sia quella dei professionisti, come affermato anche dagli Orientamenti relativi alle misure per la gestione delle frontiere destinate a tutelare la salute e garantire la disponibilità di beni e servizi essenziali, attraverso la creazione e il mantenimento di apposite green lanes.
Altro punto di interesse è costituito dalla cooperazione tra le regioni di confine, da ricondursi all’interno dei programmi già esistenti (es. Healthacross, Trisan).
Infine, visto il perdurare della pandemia, gli Orientamenti, nel caso di prestazione temporanea e occasionale di servizi, affermano che «può essere richiesta soltanto una semplice dichiarazione» (ibid., par. 8) de facto suggerendo di snellire il già automatico procedimento del mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie secondo la direttiva 2005/36/CE. In tal modo, si evita dunque il controllo formale da parte delle istituzioni dello Stato membro ospite. Inoltre, l’allegato V della direttiva 2005/36 nell’elencare le specializzazioni mediche oggetto di riconoscimento, include pneumologia, virologia, infettivologia e immunologia, ossia quelle che sono risultate più sollecitate nell’affrontare la pandemia di Covid-19. Peraltro, si segnala anche la creazione, attraverso la direttiva 2013/55/UE, di una Tessera professionale europea che permette il mutuo riconoscimento attraverso una procedura completamente elettronica. Attualmente, l’uso è consentito solo a sei categorie e, per quel che qui interessa, all’infermiere responsabile di assistenza generale e al farmacista (attuata in Italia con il decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15).
Da ultimo, rileva l’aspetto finanziario. Se gli Orientamenti riaffermano che l’assistenza sanitaria rimane a carico dello Stato membro di affiliazione, aggiungono in chiusura che l’Unione assicura supporto tramite il Fondo di solidarietà e che le spese sanitarie sono «spese ammissibili» nell’ambito dei Fondi strutturali mentre altri strumenti sono al vaglio delle istituzioni. Essi serviranno, in particolare, per «il trasporto di pazienti che necessitano di ospedalizzazione in strutture transfrontaliere in grado di offrire capacità, lo scambio di personale medico, l’accoglienza di pazienti stranieri o altre modalità di supporto reciproco e l’allestimento di strutture sanitarie temporaneo» (par. 9).
3. Problemi applicativi
Se gli Orientamenti sin qua descritti hanno contribuito a rendere visibile l’intervento della Commissione, in un primo momento tacciata (v. qui, qui, qui, qui) di inerzia, permangono notevoli incertezze applicative. Per limiti di spazio, se ne segnalano due: una di carattere teorico e una di carattere pratico.
In primo luogo, mentre l’art. 8 della direttiva 2011/24 include tra i trattamenti da sottoporre ad autorizzazione quelli che comportano l’ospedalizzazione per almeno una notte, l’art. 9 fa riferimento alle «singole decisioni» (par. 4) che autorizzano la mobilità, le quali, naturalmente, devono essere adeguatamente motivate. Si ricorderà, a questo punto, che secondo gli Orientamenti è ben possibile adottare una autorizzazione generale. Se ne ricava che, attraverso un atto non vincolante come gli Orientamenti, la Commissione è riuscita a eludere sia la direttiva 2011/24 sia le norme statuali di trasposizione (per l’Italia, v. decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 38). Si tratterebbe, quindi, di una sorta di duplice antinomia: da un lato, una comunicazione impatterebbe su una direttiva; dall’altro lato, la stessa comunicazione colpirebbe anche le norme nazionali. Ciò si spiega soprattutto rammentando che, vista l’eccezionalità della pandemia, non risulterebbe possibile, quantomeno per ragioni meramente temporali, emendare la direttiva 2011/24. In altre parole, gli Orientamenti delineano una sorta di eccezione, temporalmente limitata alla durata della pandemia, all’art. 9 della direttiva 2011/24.
In secondo luogo, la mobilità dei pazienti si scontra con evidenti difficoltà geografiche, peraltro ben evidenziate dagli stessi Orientamenti. Essi si riferiscono al rafforzamento della cooperazione nelle zone di confine (ibid., par. 7) attraverso i programmi INTERREG, specialmente lungo la frontiera franco-belga, tra Austria e Repubblica ceca e tra Francia e Germania. In altre parole, riemerge con vigore il dato, recentemente confermato anche dalla relazione speciale della Corte dei conti, secondo il quale la mobilità transfrontaliera dei pazienti avrebbe un impatto solo in quelle zone dove effettivamente sia possibile muoversi agevolmente, per motivi linguistici, culturali, logistici e geografici, fino al punto di configurare una comunanza valoriale tra comunità che insistono su Stati confinanti. A ciò si aggiunga, in ultima analisi, la cronica scarsità e inintelligibilità delle informazioni, come confermato da un altro studio della stessa Commissione.
Se quindi gli Orientamenti siano uno strumento efficace per alleviare la pressione sui sistemi sanitari tramite la distribuzione di pazienti ospedalizzati affetti da Covid-19 rimane una valutazione fattuale di difficile esercizio poiché la circostanza che l’intero meccanismo sia gestito dai sistemi sanitari nazionali non consente di disporre di dati empirici. Parimenti, rimane aperta la questione della solidarietà economica, poiché le spese sanitarie rimangono in capo allo Stato membro di affiliazione.Più prosaicamente, gli Orientamenti testimoniano un intervento della Commissione della cui effettiva utilità sembra possibile dubitare, perlomeno in questa fase.
Testo riveduto e corretto della relazione tenuta in data 28 aprile 2020 in occasione del webinar ELSA “Europa e Covid-19. Diritto e cooperazione in tempo di pandemia”. Si ringraziano, in particolare, gli organizzatori, il pubblico, Federico Casolari, Federico Ferri e Carlo Tovo per gli utili spunti di riflessione.
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