L’influenza del COVID-19 sulla politica di concorrenza: difese immunitarie o anche altro?
Luca Calzolari, Università di Torino
1. Premesse
La pandemia di c.d. COVID-19 non poteva che influenzare anche la politica di concorrenza. Nell’ultimo periodo molteplici autorità hanno in effetti fornito linee guida sulle modalità e priorità di enforcement in questo frangente. Data la portata globale della pandemia, si tratta di un fenomeno non limitato all’ordinamento UE ma che interessa le autorità di molteplici Paesi: da DOJ e FTC statunitensi, alle autorità di Hong Kong, Sud Africa, Messico, Brasile e Islanda, per citarne alcune.
Anche la letteratura ha iniziato a evidenziare la necessità che le regole di concorrenza siano “adattate” alla pandemia per sostenere economia e occupazione e che l’enforcement sia ricalibrato verso gli illeciti antitrust (collusivi o unilaterali) finalizzati ad approfittare della crisi (v. Manzini, Costa-Cabral e al. nonché lo special issue di Concurrences).
Ciò interessa tutti gli ambiti della politica di concorrenza (latamente intesa), e quindi aiuti di stato, antitrust e concentrazioni.
2. Il sostegno pubblico all’economia per fronteggiare gli effetti economici della pandemia: il “rilassamento” del controllo sugli aiuti di Stato
Secondo le ultime stime (prudenziali) del FMI, alla pandemia seguirà una recessione con contrazione del PIL su base annua pari almeno (i) al 3% a livello globale, (ii) al 7,5% nell’Eurozona (in linea con l’effettiva riduzione cinese nel primo trimestre 2020), e (iii) al 9% in Italia. In attesa di misure unionali più incisive rispetto a quelle adottate o in discussione (su cui v. Costamagna e Baratta), tali dati rendono evidente che l’Unione doveva, quantomeno, astenersi dall’ostacolare misure unilaterali di supporto all’economia e all’occupazione da parte dei singoli Stati membri. In altri termini, la necessità di fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia ha reso immediatamente evidente la necessità di “ammorbidire” il controllo sugli aiuti di Stato.
Dopo una breve consultazione con gli Stati membri, il 19 marzo 2020 la Commissione ha adottato una Comunicazione recante il Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19, modificato il 3 aprile 2020. Premesso che il Trattato già permette di per sé agli Stati membri di fronteggiare (anche) gli effetti economici del COVID-19, in virtù tanto della deroga de iure di cui all’art. 107(2)(b) TFUE per gli aiuti in caso di calamità o eventi eccezionali, quanto della deroga discrezionale ex art. 107(3)(b) TFUE per gli aiuti che rimediano a gravi turbamenti dell’economia, con la Comunicazione la Commissione intende “autolimitare” la propria discrezionalità e predeterminare le misure compatibili con l’art. 107(3)(b) TFUE. L’emergenza COVID-19 non ha pertanto portato la Commissione a rinunciare al controllo preventivo (Comunicazione § 16) e si mira piuttosto a “standardizzare” la risposta degli Stati membri così da accelerare l’approvazione degli aiuti in seguito alla notifica ex art. 108(3) TFUE.
La Comunicazione individuava inizialmente cinque categorie di misure ammesse all’esenzione temporanea. Il trait d’union è la loro funzionalizzazione all’esigenza di garantire liquidità alle imprese durante la pandemia: si tratta di aiuti concessi mediante (i) sovvenzioni dirette, anticipi o agevolazioni fiscali, (ii) garanzie sui prestiti, (iii) prestiti agevolati, (iv) garanzie e prestiti veicolati, nonché (v) crediti all’esportazione. Con la revisione si aggiungono le misure di (vi) supporto all’attività di R&D e volta ad aumentare la produzione di beni necessari per fronteggiare la pandemia, nonché di (vii) salvaguardia dell’occupazione.
Una lista degli aiuti già dichiarati compatibili pubblicata il 17 aprile 2020 sembrerebbe dimostrare il buon funzionamento della Comunicazione: in un mese, infatti, sono stati autorizzati (o ri-autorizzati in seguito a estensioni) 59 regimi di auto; di questi, soltanto 8 in base ai soli art. 107(2)(b) e 107(3)(b) TFUE, mentre i restanti – anche o solo – in base alla Comunicazione. Sotto il profilo geografico, Cipro, Finlandia, Slovacchia e Slovenia sono gli unici Stati membri che non risulta abbiano predisposto regimi di aiuto; con ciò confermando che il supporto pubblico all’economia ai tempi del COVID-19 è un interesse comune di (quasi) tutti gli Stati membri o ex tali (anche il Regno Unito – al quale le regole sugli aiuti di Stato si applicheranno per molti anni ex artt. 93 e ss. dell’Accordo di recesso – ha ottenuto l’approvazione di due misure a sostegno di PMI e di portata più generale). Anche l’Italia ha beneficato della Comunicazione. In aggiunta a una misura di supporto alla produzione di materiale sanitario (SA.56786), la Commissione ha approvato le principali misure economiche adottate nell’ultimo periodo e che hanno trovato ampio spazio anche sui media: dalle “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19” di cui all’art. 56 del c.d. decreto “Cura Italia” (SA.56690), ai meccanismi di garanzia e sostegno del c.d. “Decreto Liquidità” in favore di lavoratori autonomi, PMI e società a media capitalizzazione (SA.56966), nonché al più ampio regime di sostegno alle altre imprese (SA.56963).
La Comunicazione è stata utilizzata anche da quelli Stati membri che hanno tenuto una condotta “eccentrica” con riguardo all’intensità della risposta sanitaria prendendo misure limitate di sospensione delle attività economiche. Dalla lista emerge ad esempio che la Svezia ha ottenuto l’approvazione di tre misure di importo complessivo di circa Euro 10 MLD (SA.56860, SA.56812 e SA.56972).
Quella attuale è anche una crisi legata alla domanda e, pertanto, misure più invasive di lockdown adottate in altri Stati membri (o in Paesi terzi) possono avere effetti anche sulle imprese svedesi: non fosse altro che per i problemi logistici causati dalla chiusura delle frontiere ovvero dall’interruzione delle attività di imprese clienti o fornitrici stabilite altrove. Rimane tuttavia qualche perplessità sull’applicazione di regole uniformi (il regime di favore della Comunicazione) a situazioni fattuali difformi (le diverse restrizioni imposte alle imprese dai singoli Stati membri per via della diversa intensità della pandemia): il divieto di aiuti di Stato è infatti espressione del principio generale di diritto UE – recepito anche nella CDFUE – della parità di trattamento (conclusioni in C-353/95 § 30), secondo cui è vietato trattare in modo uguale situazioni differenti (ad es. C-422/02 § 33).
Sebbene ipotesi possibile (gli aiuti di Stato conoscono molte ipotesi di applicazione geografica diversificata, come gli aiuti regionali ex art. 107(3)(a) e (c) TFUE, senza che ciò rilevi sotto il profilo dell’art. 18 TFUE), era d’altro canto difficile, considerati i tempi ristrettissimi immaginare regole temporanee a “geometria variabile”, vieppiù considerato che la pandemia è di per sé mutevole sicché le condizioni nei singoli Stati potrebbero variare. In ogni caso, saranno proprio i singoli Stati membri a dover verificare che l’applicazione pratica dei regimi autorizzati con la Comunicazione non finisca per beneficiare imprese che, in concreto, non hanno subito pregiudizi dalla pandemia. In questo caso, la singola misura dovrebbe ovviamente perdere il beneficio dell’esenzione temporanea.
In aggiunta al profilo geografico legato all’intensità del contagio e delle restrizioni nei diversi Stati, un’altra caratteristica della crisi economica legata alla pandemia è proprio quella della asimmetricità degli effetti. Se in molteplici settori (es. retail, ristorazione, turismo e in generale tutto ciò che avviene nel “mondo analogico”) il COVID-19 rischia di determinare un’ecatombe fra le imprese (accelerando, e rendendo forse irreversibile, la crisi connessa alla crescita dei mercati digitali), ve ne sono altri che stanno registrando performance eccezionali, a partire (appunto: when it rains, it pours) dai colossi dell’e-commerce. Almeno a livello italiano, peraltro, le misure restrittive che si sono susseguite per fronteggiare l’emergenza (da ultimo, il DPCM 19/2020) non hanno mai limitato l’operatività delle piattaforme digitali anche per la vendita di beni … non propriamente essenziali, sebbene la loro consegna contribuisca in modo significativo alla circolazione di persone fisiche impiegate nella logistica, con effetti opposti rispetto al preteso imperativo del “restate a casa”. Anche in tale prospettiva, occorrerà quindi particolare attenzione da parte delle amministrazioni nazionali nella fase di applicazione degli aiuti ed, eventualmente, l’intervento ex post della Commissione nel caso vengano supportati settori non pregiudicati dalla crisi.
3. Gli artt. 101 e 102 TFUE ai tempi del COVID-19: la Comunicazione dell’8 aprile 2020 e il “ritorno” delle “comfort letters”
La pandemia ha effetti anche sul sistema di enforcement delle regole di concorrenza in senso stretto, ossia sui divieti di condotte collusive e abusive unilaterali. Si tratta, in realtà, dello scenario più interessante poiché, diversamente dall’art. 107 TFUE, gli artt. 101 e 102 TFUE non prevedono deroghe alla loro applicazione neppure in periodi emergenziali (v. Manzini).
Come riconosciuto dall’International Competition Network e dallo European Competition Network (la c.d. Rete fra Commissione e autorità nazionali della concorrenza (“ANC”) ove viene coordinata l’applicazione decentrata degli artt. 101 e 102 TFUE in ossequio al reg. 1/2003 e alla dir. 2019/1), con riguardo al diritto antitrust occorre bilanciare due interessi divergenti. Da un lato, per non comprometterne l’efficacia deterrente, occorre che le imprese abbiano ben chiaro che l’enforcement prosegue anche nella fase emergenziale, nonostante le inevitabili difficoltà pratiche (ad es. nell’eseguire i c.d. dawn raids). Dall’altro lato, sia nel breve (e cioè durante la crisi sanitaria) sia nel medio periodo (e cioè durante le c.d. fasi 2 e 3) – e confidando, mai come in questo frangente, che il noto adagio keynesiano sia effettivamente valido solo … nel lungo periodo – è inevitabile che le condizioni di mercato create dalla pandemia possano rendere necessario un maggiore grado di cooperazione fra le imprese specie in taluni settori economici.
Sotto il primo profilo, molte ANC (es. Repubblica Ceca, Finlandia ma anche la Spagna ove si è creato un canale dedicato alle sole denunce relative a illeciti antitrust legati alla pandemia) hanno ribadito non solo che le regole antitrust rimangono applicabili anche in questo frangente ma pure che l’enforcement sarà particolarmente stringente per impedire condotte opportunistiche (specie delle imprese attive in settori “anticiclici” ove il COVID-19 ha aumentato la domanda di prodotti). Si tratta di fenomeni già verificatisi in diversi ordinamenti: ad es., dall’inizio dell’epidemia, l’Autorità Sudafricana ha ricevuto oltre 500 denunce e avviato un caso per prezzi eccessivi. Anche l’AGCM si è già attivata per contrastare condotte illecite connesse al COVID-19. Ad oggi, le iniziative sono però espressione delle competenze che all’AGCM sono conferite anche nel settore della tutela dei consumatori (v. i casi PS11732, PS11734 e PS11736 sulla sospensione della vendita di mascherine con caratteristiche e tempi di consegna difformi da quelli pubblicizzati, nonché il caso DC9877 sui test per gli anticorpi del COVID-19).
Sotto il secondo profilo, si tratta di evitare che un’applicazione … sine grano salis delle regole antitrust possa ostacolare la cooperazione fra imprese necessaria a fronteggiare gli effetti della crisi sanitaria e del lockdown. Anche in tale prospettiva, molte autorità hanno chiarito di volere “adattare” le regole di concorrenza alle circostanze eccezionali causate dalla pandemia, in particolare in settori produttivi affini a quello sanitario: fra queste vi è anche la Commissione che, l’8 aprile 2020, ha adottato una Comunicazione recante il Quadro temporaneo per la valutazione delle questioni in materia di antitrust relative alla cooperazione tra imprese volta a rispondere alle situazioni di emergenza causate dall’attuale pandemia di Covid-19. Oltre a ribadire l’importanza che le attività di monitoraggio dei mercati proseguano anche in questo frangente per evitare condotte opportunistiche (Comunicazione § 20), il documento ha due finalità principali. Da un lato, la Commissione individua i criteri che si impegna a utilizzare per scrutinare ex art. 101 TFUE i progetti di cooperazione che le imprese intendano coltivare per migliorare la produzione e fronteggiare la carenza di prodotti e servizi essenziali (Comunicazione §§ 6-16). Dall’altro lato, si immaginano (rectius, “rispolverano”) meccanismi per aumentare la certezza del diritto delle imprese con riguardo a quali forme di cooperazione siano divenute legittime e quali, invece, rimangano proibite anche ai tempi del COVID-19 (Comunicazione §§ 17-18).
Sotto il profilo sostanziale, e ammessa l’ipotesi di forme di cooperazione anche più intensa (Comunicazione §§ 14-15), si individua una serie di condotte collaborative delle imprese attive nel settore sanitario che, secondo la Commissione, non sollevano riserve in materia antitrust, purché soggette a forme di garanzia (come ad es. il coinvolgimento di soggetti terzi). Si tratta di misure volte a (i) coordinare il trasporto delle forniture, (ii) individuare rischi di carenze di medicinali essenziali, (iii) condividere informazioni aggregate su produzione e capacità; (iv) prevedere la domanda degli Stati e individuare carenze di approvvigionamento, (v) condividere informazioni su tali carenze e sulla capacità delle imprese di rimediarvi (Comunicazione §§ 12).
È opportuno soffermarsi su alcuni aspetti procedurali legati al secondo obiettivo della Comunicazione e cioè la certezza del diritto. Nel contesto dell’applicazione decentrata delle regole antitrust le imprese non possono (più) chiedere alla Commissione di esprimersi sulla legittimità di un progetto di accordo: abrogato con il reg. 1/2003 il monopolio della Commissione nell’applicazione dell’art. 101(3) TFUE, spetta alle imprese autovalutare la compatibilità delle loro condotte con l’intero catalogo delle regole antitrust. In questi tempi eccezionali, la Commissione “rispolvera” le “comfort letters” (Comunicazione § 18) e cioè uno strumento che si era diffuso proprio durante il regime previgente quando il c.d. public enforcement era disciplinato dal reg. 17/62. Sulla carta, il meccanismo della notifica preventiva previsto dal reg. 17/62 garantiva un elevato livello di certezza alle imprese: la decisione che sanciva la compatibilità con l’art. 101 TFUE di un progetto di accordo notificato alla Commissione era opponibile ai terzi e vincolante per i giudici nazionali. Nella pratica, tuttavia, il meccanismo non funzionava: “sommersa” dalle notifiche, la Commissione non aveva le risorse necessarie per svolgere le istruttorie necessarie all’adozione delle decisioni di esenzione. Per risolvere l’impasse, la Commissione ha fra l’altro iniziato a esaminare le notifiche mediante procedure semplificate, riservando le decisioni formali di esenzione ai casi di portata sistematica. Le procedure semplificate si chiudevano invece con decisioni informali di archiviazione: mediante tali “comfort letters”, la Commissione dichiarava di non ravvisare illeciti antitrust e non avere motivo di intervenire.
Il problema delle “comfort letters” era connesso proprio alla certezza del diritto. Non costituendo decisioni di attestazione negative né di applicazione dell’art. 101(3) TFUE, tali lettere – vincolano la Commissione in virtù del principio del legittimo affidamento ma – non sono opponibili ai terzi: pur rappresentando un elemento di fatto da valutare durante un eventuale contenzioso, esse non impediscono ai giudici nazionali di valutare diversamente gli accordi che ne sono oggetto (37/79, § 10).
In prospettiva storica, la possibilità per i giudici nazionali di non uniformarsi alle “comfort letters” portava soprattutto alla dichiarazione di nullità ex art. 101(2) TFUE di accordi che avevano passato indenni lo scrutinio pubblico. In seguito allo sviluppo del private enforcement delle regole antitrust, a tale rischio si aggiunge oggi quello del contenzioso per il risarcimento del danno: l’avere ottenuto una “comfort letter” dalla Commissione, infatti, non sembra circostanza idonea a garantire alle imprese una sicura immunità in sede civilistica.
Tale risultato sarebbe invece ottenibile se la Commissione riuscisse a utilizzare il diverso strumento delle decisioni di inapplicabilità di cui all’art. 10 reg. 1/2003. Si tratta di una di quelle «competenze addizionali» (Dichiarazione di Consiglio e Commissione sulla Rete § 9) ancora attribuite alla – sola (C-375/09 §§ 27-29) – Commissione anche nel sistema di applicazione del diritto antitrust su base decentrata e condivisa con le ANC. Adottabili dalla Commissione per ragioni d’interesse pubblico e solo motu proprio, le decisioni di inapplicabilità vincolano anche terzi e giudici nazionali ex art. 16 reg. 1/2003). Tali decisioni possono essere adottate, fra l’altro, al fine di «garantirne un’applicazione coerente nell’Unione, in particolare per quanto riguarda nuovi tipi di accordi o di pratiche non consolidati nella giurisprudenza e prassi amministrativa esistenti» (considerando n. 14 reg. 1/2003), obiettivi fra cui sembra rientrare la necessità di fronteggiare uno scenario sconosciuto come quello legato alla pandemia di COVID-19. Le difficoltà di utilizzo di tale strumento rispetto a quello delle “comfort letters”, tuttavia, sono date dalla maggiore intensità delle attività istruttorie necessarie alla loro adozione, che le rende forse poco utilizzabili per rispondere alle esigenze delle imprese con i tempi rapidissimi dettati dall’attuale scenario emergenziale.
4. Pandemia e concentrazioni: dalle difficoltà di enforcement alla “prima volta” del COVID-19 nell’analisi antitrust
È interessante soffermarsi anche sul settore delle concentrazioni. Trattandosi di un ambito particolarmente sensibile al fattore tempo e dove Commissione e ANC devono rispettare stringenti termini procedurali (v. art. 10 reg. 139/2004), il settore delle concentrazioni ha subito più di altri gli effetti delle misure di contenimento, il cui rispetto ha ovviamente rallentato anche le attività di Commissione e ANC, portando talvolta alla chiusura degli uffici (es. in Austria e Belgio). Anche a causa delle difficoltà nell’interloquire con le imprese coinvolte (anch’esse soggette a lockdown più o meno intensi), la Commissione e talune ANC (fra cui quelle belga e lituana) hanno allora invitato le imprese a posticipare la notifica delle concentrazioni; altre ANC hanno invece sospeso – o ottenuto dal legislatore la sospensione de – i termini applicabili (come ad es. in Francia e Danimarca). Ma il settore delle concentrazioni è interessante anche e soprattutto perché, in tale contesto, il COVID-19 è già entrato a far parte dell’analisi antitrust di un’operazione, anticipando quelli che potrebbero essere valutazioni che diverranno comuni nei prossimi anni. In Circle Health/BMI Healthcare, la CMA britannica ha avviato l’indagine formale per la fusione fra due ospedali ritenendo necessario approfondire l’esame dei potenziali effetti anticoncorrenziali dell’operazione. Tali effetti sono stati ipotizzati anche in base alle conseguenze del COVID-19 sul mercato rilevante che, secondo la CMA, potrebbe risultare più concentrato per via della minore probabilità che, in futuro, la sanità abbia fondi disponibili per realizzare nuovi ospedali.
No Comment