Post Scriptum sulla sospensione dei termini processuali da parte della Corte europea per l’emergenza Covid-19
Andrea Saccucci, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”
Come preconizzato nel nostro primo commento alle misure eccezionali adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in data 16 marzo 2020 (qui), il persistere della situazione di emergenza sanitaria a livello globale causata dalla diffusione pandemica del Covid-19 ha reso necessario un ulteriore intervento da parte della Corte per estendere temporalmente e specificare ulteriormente l’applicazione di tali misure.
In particolare, con un comunicato stampa diffuso dalla Cancelleria della Corte il 9 aprile 2020 (cfr. Press Release 9.04.2020), le misure eccezionali annunciate il 16 marzo 2020 sono state prorogate per una durata di due mesi. A tale riguardo, la Corte ha precisato che:
- il termine di sei mesi per l’introduzione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 35 della Convenzione europea dei diritti umani, che era stato eccezionalmente esteso per la durata di un mese dal 16 marzo 2020, viene ulteriormente esteso «per un periodo di due mesi dal 16 aprile 2020 fino al 15 giugno 2020 incluso»;
- i termini assegnati nelle procedure pendenti, estesi per la durata di un mese dal 16 marzo 2020, vengono ulteriormente estesi per un periodo di due mesi dal 16 aprile 2020, «fatta eccezione per il termine di tre mesi previsto dall’art. 43 della Convenzione per la presentazione di eventuali richieste di rinvio alla Grande Camera».
La Corte ha altresì precisato che, attenendosi alle misure di confinamento adottate dallo Stato ospitante e facilitando il ricorso al telelavoro e alle comunicazioni elettroniche, essa continuerà a svolgere le sue attività essenziali, inclusa la registrazione di nuovi ricorsi e la loro assegnazione alle formazioni giudiziali competenti.
Con un successivo comunicato stampa del 15 aprile 2020 (cfr. Press Release 15.04.2020), la Corte ha infine reso note quali sono le modalità di funzionamento che essa metterà in atto durante il periodo di contenimento sanitario al fine di ottemperare alle misure nel frattempo adottate dalle autorità dello Stato ospitante e di garantire la sicurezza del proprio personale rispetto al rischio di contagio e diffusione del virus (considerando, tra l’altro, che proprio l’Alsazia dove ha sede la Corte di Strasburgo è risultata una delle regioni francesi più colpite dal Covid-19).
Dovendo ridurre al minimo la presenza fisica del personale presso le proprie strutture e garantire per quanto più possibile il lavoro a distanza, la Corte ha in particolare stabilito che:
- le decisioni di inammissibilità di competenza del Giudice unico secondo la procedura semplificata di cui all’art. 27 CEDU continueranno ad essere adottate ma non saranno notificate al ricorrente sino al termine del periodo di contenimento;
- i ricorsi non saranno formalmente comunicati agli Stati convenuti per l’avvio del contraddittorio ai sensi dell’art. 54 § 2 (b) del Regolamento della Corte durante il periodo di contenimento «fatta eccezione per i casi importanti e urgenti»;
- la Grande Camera, le Camere ed i Comitati continueranno ad esaminare i casi secondo la procedura scritta nella misura del possibile;
- le decisioni e le sentenze saranno firmate soltanto dal Cancelliere di Sezione o dal suo Vice e saranno notificate alle parti elettronicamente, e cioè per i Governi attraverso il sito sicuro e per i ricorrenti attraverso la piattaforma eComms, fermo restando che, nel caso in cui i ricorrenti non si siano avvalsi della piattaforma eComms, la sentenza o la decisione non sarà notificata ad alcuna delle parti durante il periodo di confinamento, con l’eccezione dei casi urgenti.
Tre brevissime considerazioni a completamento di quanto si è già detto nel nostro primo commento.
In primo luogo, per quanto riguarda l’estensione di ulteriori due mesi della sospensione dei termini processuali, si è opportunamente precisato che detta sospensione si intende fino al 15 giugno “incluso” (precisazione, quest’ultima, che mancava, invece, nella prima misura di sospensione, lasciando il dubbio se il 16 aprile fosse o meno compreso) e che da essa è escluso il termine di tre mesi per le richieste di rinvio in Grande Camera ai sensi dell’art. 43 CEDU.
Se tale esclusione è del tutto comprensibile nell’ottica di assicurare il regolare “passaggio in giudicato” delle sentenze che la Corte continuerà ad emettere nel periodo di contenimento, non è chiaro (né la Corte ha ritenuto di precisare) se al termine di tre mesi per le richieste di rinvio in Grande Camera debba invece applicarsi la prima misura di sospensione (dal 16 marzo al 16 aprile), la quale – come si è visto – riguardava genericamente tutti i termini relativi ai procedimenti in corso senza prevedere alcuna esclusione. Ove così non fosse, eventuali richieste di rinvio presentate dai ricorrenti o dai Governi avvalendosi del primo periodo di sospensione saranno ritenute inammissibili in quanto “tardive” e non saranno neppure sottoposte al vaglio del Collegio di cinque giudici della Grande Camera. Il che, evidentemente, porrebbe un problema di chiarezza e prevedibilità ex ante nell’applicazione del relativo termine processuale.
In secondo luogo, i due successivi comunicati stampa non hanno ancora del tutto fugato il dubbio – che già avevamo espresso in relazione al primo comunicato – concernente l’ambito di operatività della sospensione del termine di sei mesi per l’introduzione del ricorso ai sensi dell’art. 35 § 1 CEDU, se cioè essa debba intendersi come una mera proroga fino al 15 giugno (incluso) dei termini in scadenza nel periodo di sospensione o, invece, come un vero e proprio congelamento (oggi della durata complessiva di tre mesi) dei termini in corso, con conseguente recupero dell’intero periodo di sospensione indipendentemente dal momento di scadenza del termine di sei mesi.
In quest’ultimo senso depongono evidenti ragioni di opportunità e ragionevolezza, atteso che le difficoltà oggettive poste dalle misure di contenimento adottate nei vari Stati europei incidono comunque sulla effettiva “disponibilità” del termine di sei mesi da parte dei ricorrenti individuali e che, anche quando l’emergenza sarà superata, questi ultimi dovranno poter fruire di un tempo congruo per la presentazione del ricorso. Nello stesso senso depone, inoltre, una precisazione (non ufficiale) aggiunta – soltanto qualche giorno fa – sulla pagina del sito internet della Corte dedicata ai ricorrenti (vedi qui) secondo la quale «tutti i ricorrenti il cui termine per l’introduzione del ricorso decorra, è pendente o scada tra il 16 marzo e il 15 giugno 2020, avranno a loro disposizione nove mesi dalla data della decisione interna definitiva per presentare un ricorso alla Corte». Tale lettura è altresì confermata anche dalle risposte inviate dalla Cancelleria alle richieste di chiarimenti da parte di alcuni avvocati, stando alle quali, per effetto della sospensione disposta dalla Corte, i termini “ricominceranno a correre” alla fine del periodo in questione.
Se, come crediamo, questo è il significato da attribuire alla misura della sospensione del termine di sei mesi (che diventa, dunque, a tutti gli effetti un’estensione a nove mesi), resta tuttavia piuttosto sorprendente l’assenza di una posizione ufficiale della Corte al riguardo (resa nota, per lo meno, con lo stesso mezzo del “comunicato stampa” già utilizzato per annunciare la misura in questione). Ciò è tanto più vero se si considera, da un lato, che – come si è già osservato – la sospensione generalizzata del termine di sei mesi in deroga all’art. 35 § 1 CEDU difetta di una base giuridica convenzionale e, dall’altro, che l’ambito di operatività di tale sospensione dovrebbe essere determinato ex ante con la massima precisione e trasparenza possibili onde evitare qualsiasi incertezza o successivo ripensamento (come già verificatosi con riguardo al termine di tre mesi per le richieste di rinvio in Grande Camera).
D’altronde, l’assoluta eccezionalità della misura di cui trattasi è attestata anche dalla circostanza che, a quanto ci consta, nessun altro organo o giurisdizione internazionale ha deciso di “sospendere” i termini per l’introduzione dei ricorsi previsti dai rispettivi strumenti istitutivi, preferendo piuttosto consentire una valutazione “caso per caso” circa l’esistenza di impedimenti oggettivi dettati dall’emergenza sanitaria e tali da giustificare un’eventuale inosservanza dei termini. Così, ad esempio, sia la Corte di giustizia sia il Tribunale dell’Unione europea hanno deciso di mantenere fermi i termini per la proposizione dei ricorsi, pur facendo salva la possibilità di invocare, caso per caso, la forza maggiore per il loro mancato rispetto nei termini stabiliti dall’art. 45 dello Statuto della Corte (cfr. il comunicato del 19 marzo 2020). Analogamente, la Commissione inter-americana dei diritti dell’uomo, pur avendo sospeso i termini processuali dal 19 al 21 aprile 2020, ha mantenuto fermo il termine di sei mesi per l’introduzione dei ricorsi individuali stabilito dall’art. 46 (b) della Convenzione americana, precisando che il rispetto del termine sarà valutato in ciascun caso concreto se le parti addurranno di non avervi potuto ottemperare (cfr. IACHR, Press Release 19 March 2020).
In terzo luogo, i due ultimi comunicati stampa della Corte confermano che, a causa delle restrizioni imposte dal contenimento sanitario, l’attività giudiziaria della Corte resta sostanzialmente “congelata” per i tre mesi della sospensione, fatta eccezione per la trattazione dei “casi importanti e urgenti” e delle richieste di misure cautelari, per la registrazione di nuovi ricorsi e per le decisioni di inammissibilità di Giudice unico (che però saranno trasmesse ai ricorrenti soltanto dopo la fine del periodo di sospensione, non essendo attualmente prevista la comunicazione delle stesse con modalità elettronica attraverso la piattaforma eComms), nonché per l’adozione delle sentenze (a condizione che esse possano essere notificate elettronicamente ad entrambe le parti).
Se ben si comprende la prosecuzione dell’attività per i casi urgenti e per le misure cautelari (per alcuni recenti interventi del genere adottati nei confronti dell’Italia in piena emergenza vedi qui), qualche perplessità solleva la sospensione generalizzata della “comunicazione” ai Governi convenuti dei ricorsi (non “importanti e urgenti”) per l’avvio del contraddittorio scritto tra le parti sia perché, a seguito della comunicazione, è di regola prevista una fase “precontenziosa” di 12 settimane per consentire alle parti di valutare eventuali prospettive di componimento amichevole sia perché gli eventuali termini per le osservazioni scritte sarebbero comunque sospesi fino al 15 giugno 2020. Sicché un’eventuale comunicazione del ricorso non determinerebbe in concreto alcuna difficoltà pratica per le parti dettata dalla situazione di emergenza sanitaria, anzi consentirebbe alla Corte di “mandare avanti” (anche con le modalità del telelavoro) la trattazione dei ricorsi pendenti, evitando di aggravare i già cospicui ritardi accumulatisi nel corso degli ultimi anni.
Analogamente, non sembra del tutto “efficiente” la scelta di congelare la pubblicazione delle sentenze che non possano essere notificate al ricorrente attraverso la piattaforma eComms, considerando che tale modalità elettronica di comunicazione è stata introdotta soltanto di recente e non è stata attivata, retroattivamente, con riguardo ai ricorsi più risalenti i quali sono in attesa (talvolta anche da anni) di una decisione all’esito del contraddittorio tra le parti.
In una situazione di emergenza così diffusa ed a così elevato impatto sul godimento dei diritti umani e sulla tenuta dei sistemi democratici, ci sembra che l’attività di controllo affidata alla Corte europea rappresenti un presidio irrinunciabile di garanzia di cui si dovrebbe, ad ogni costo, assicurare la massima continuità al pari di ogni altro “servizio essenziale” nei vari Stati contraenti. Così che tutti possano ancora avere fiducia sull’esistenza di un “giudice a Strasburgo”!
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