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Il ruolo delle politiche commerciali a fronte della pandemia da COVID-19: brevi riflessioni alla luce del diritto OMC

Giovanna Adinolfi, Università di Milano Statale 

  1. Introduzione

Nel predisporre la risposta alla pandemia da COVID-19, gli Stati hanno dovuto far fronte alla necessità di aumentare la disponibilità, sul territorio nazionale, di presidi medici e sanitari, quali dispositivi di protezione individuale (DPI), ventilatori polmonari, disinfettanti e medicinali. L’accesso a questi beni sarà fondamentale anche per la ripresa della vita sociale ed economica e, al fine di una maggiore resilienza, potrà essere supportato da provvedimenti volti a costituire riserve adeguate. In questo contesto, le politiche commerciali possono giocare un ruolo importante, come emerge anche da un recente studio condotto in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), relativo al diverso contesto di disastro naturale.

Secondo alcune stime, nel 2019 il valore del commercio mondiale di presidi medici e sanitari è stato pari a 2 mila miliardi di dollari, con solo 10 Paesi originari di circa il 75% delle esportazioni (ad esempio, quelle di mascherine provengono per più del 50% da Cina, Germania e Stati Uniti). In ragione delle limitate capacità di produzione nazionale e allo scopo di garantire che risorse scarse fossero disponibili per gli individui e le istituzioni in stato di bisogno, per far fronte alla pandemia da COVID-19 diversi Paesi hanno introdotto restrizioni alle esportazioni (seppur non manca una prassi contraria). Alcuni studi hanno tuttavia posto l’attenzione sui loro costi, destinati a gravare sia sugli Stati che vi fanno ricorso, sia su altri paesi (v. Evenett e González), in particolare sui Paesi in via di sviluppo privi di dotazioni e strutture sanitarie adeguate. Questa considerazione è stata recepita nella dichiarazione finale della riunione del 30 marzo 2020 dei Ministri del commercio estero dei Paesi del G20, i quali hanno riconosciuto la necessità di facilitare il commercio di  beni indispensabili per contrastare l’attuale emergenza sanitaria, ma con un caveat, ovvero compatibilmente con il fabbisogno nazionale. Così, misure commerciali restrittive non sono escluse, purché mirate, proporzionali, trasparenti, temporanee e tali da non creare ostacoli non necessari al commercio o da interrompere le catene di produzione su scala mondiale.

Sulla scorta della prassi più recente, questo breve contributo intende analizzare, secondo la prospettiva del diritto OMC, le misure messe in atto dagli Stati per soddisfare le loro attuali necessità. L’obiettivo è dare alcune indicazioni circa il margine di manovra disponibile per perseguire, anche tramite misure commerciali, il preminente obiettivo di tutela della salute e della vita umana. Pur focalizzando l’indagine sull’attuale fase di risposta all’emergenza, sono proposti alcuni spunti di riflessione per la fase di ricostruzione e per le politiche volte a ridurre la vulnerabilità delle comunità nazionali da future crisi epidemiologiche.

  1. Le misure di limitazione delle esportazioni

Come sopra accennato, nelle ultime settimane, numerosi Stati hanno adottato restrizioni alle esportazioni(vedi qui e qui). In questo senso si è mossa anche l’Unione europea (UE) col regolamento di esecuzione (UE) 2020/402 del 15 marzo 2020, col quale è stato introdotto un regime temporaneo di autorizzazione alle esportazioni di DPI (art. 1) per un periodo di sei settimane (art. 3). Volto a soddisfare una accresciuta domanda, questo provvedimento è stato adottato dopo che taluni Stati, quali Francia e Germania, avevano annunciato divieti di esportazione destinati a incidere sulla effettiva disponibilità dei beni in questione sul mercato interno, a svantaggio di quei membri UE con limitate capacità di produzione (v. qui e qui). Gli Stati Uniti hanno seguito il medesimo approccio, approntando anch’essi un regime temporaneo di autorizzazione alle esportazioni, anche per i ventilatori polmonari.

Questi provvedimenti sono giustificati dall’esigenza di far fronte al rischio associato al COVID-19. Tuttavia, non se ne sono trascurati gli effetti negativi su Paesi le cui forniture dipendono in larga parte dalle importazioni. In particolare, nel decidere se rilasciare o meno l’autorizzazione all’esportazione, gli Stati UE sono chiamati a tener conto di tutte le circostanze pertinenti, alcune delle quali enumerate all’art. 5 del regolamento di esecuzione sopra citato. Queste includono, tra le altre, la partecipazione a operazioni di assistenza internazionale, ma non le normali transazioni commerciali, anche qualora l’acquirente sia uno Stato terzo. Va tuttavia considerato che l’elenco proposto dall’art. 5 ha carattere meramente esemplificativo, lasciando così aperta la possibilità che le esportazioni abbiano luogo anche in casi non contemplati. Peraltro, il successivo regolamento di esecuzione (UE) 2020/426 ha escluso dalla sfera di operatività del regime di autorizzazione le esportazioni verso alcuni Stati e verso i Paesi e territori d’oltremare, le cui catene di produzione e distribuzione di DPI sono fortemente integrate con quelle dell’UE o i cui approvvigionamenti provengono in misura prevalente dagli Stati confinanti o in cui sono situati.

La normativa statunitense prevede anch’essa che l’autorizzazione all’esportazione possa essere accordata alla luce di considerazioni umanitarie o attinenti agli interessi di politica estera. Un’ulteriore deroga opera automaticamente a favore di imprese nazionali la cui produzione di DPI e ventilatori nei 12 mesi precedenti era destinata per almeno l’80% al mercato interno e che, dall’inizio del 2020, abbiano concluso su base continua accordi di esportazione verso Paesi terzi. Diversamente dalla normativa UE, si preservano quindi le transazioni commerciali internazionali, pur nel rispetto dei requisiti indicati e ferma restando la possibilità che la deroga al regime di autorizzazione sia sospesa per motivi di difesa nazionale.

Pur restrittive degli scambi commerciali, queste misure trovano legittimazione nel diritto OMC (Glockle). Innanzitutto, può richiamarsi l’art. XI, par. 2, lett. a), del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT 1994), ove è previsto che il divieto generale di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione di cui al par. 1 non trova applicazione per prevenire o porre rimedio a una carenza grave di beni essenziali, ovvero di «absolutely indispensable or necessary products» per i quali sussistano «deficiencies in quantity that are crucial, that amount to a situation of decisive importance, or that reach a vitally important or decivise stage, or a turning point» (v. China – Raw Materials, rapporto dell’Organo di appello, par. 326 e 324).

Un ulteriore requisito è posto dall’art. XIII, per il quale le restrizioni alle esportazioni debbono essere amministrate in modo non discriminatorio (par. 1), sulla base, nella misura del possibile, dei principi che sottendono le norme sulle restrizioni alle importazioni (par. 5). La finalità principale dell’art. XIII è ridurre al minimo l’impatto dei divieti e delle restrizioni commerciali, «by attempting to approximate […] the trade shares that would have occured» in loro assenza (v. EC – Bananas III (Ecuador), rapporto del panel, par. 7.68). È questo il parametro principale di legittimità dei regimi di autorizzazione, in particolare dell’amministrazione delle deroghe relative alle operazioni commerciali. Per le deroghe che riguardano invece forniture condotte su base non commerciale, può porsi in dubbio che esse rientrino nella sfera di operatività del diritto OMC.

Una ulteriore base di legittimità è offerta dagli art. XX e XXI GATT 1994. In particolare, l’art. XX, lett. b), consente di derogare agli obblighi previsti dal GATT 1994 se necessario alla tutela della salute e della vita umana: «[t]he more vital or important the interests or the values that are reflected in the objective of the measure, the easier it would be to accept a measure as necessary» (v. Colombia – Textiles, rapporto dell’Organo di appello, par. 5.71). Quale ulteriore requisito è richiesto che le misure in causa non siano applicate in modo da costituire una discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata del commercio. Questa limitazione non è invece contemplata dall’art. XXI, lett. b), punto iii), relativo all’adozione di misure giudicate necessarie alla protezione di interessi essenziali di sicurezza in tempo di guerra o in caso di altre emergenze nelle relazioni internazionali. Come affermato nel caso Russia – Traffic in Transit, «the existence of an emergency in international relations is an objective state of affairs», che si riferisce «to a situation of […] general instability engulfing or surrounding a State» (rapporto del panel, par. 7.77 e 7.76) (quale l’attuale pandemia). Inoltre, se la discrezionalità dello Stato interessato è limitata nel definire gli interessi di sicurezza nazionale che intende tutelare (par. 7.134), ampia è invece per la determinazione della necessità delle misure adottate a tale scopo (par. 7.146).

Dal canto suo, l’Italia ha adottato un autonomo divieto di esportazione di DPI e ventilatori polmonari, (v. qui e qui). Seppur incompatibile col divieto di restrizioni alle esportazioni e di misure di effetto equivalente di cui all’art. 35 TFUE, questo provvedimento trova giustificazione nel successivo art. 36, ove viene fatta salva la possibilità di limitare gli scambi nel mercato interno per fini di tutela della salute e della vita delle persone. Dal testo dell’art. 36 e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE emerge come tali restrizioni siano legittime se proporzionali (ovvero, limitate a quanto effettivamente necessario per il perseguimento dell’obiettivo fissato e con i minori effetti restrittivi possibili sugli scambi intracomunitari: v., ex multis, Commissione europea c. Francia, C-333/08, sentenza del 28 gennaio 2010, par. 90) e tali da non costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata degli scambi (v., ex multis, Regina c. Henn e Darby, causa 34/79, sentenza del 14 dicembre 1979, par. 21).

  1. I provvedimenti di facilitazione delle importazioni

Accanto ai regimi di controllo delle esportazioni, non è mancata l’adozione di misure volte ad agevolare le importazioni. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno ridotto i dazi doganali sui presidi importati dalla Cina, ricalibrando, a fine di tutela della salute pubblica (ma a giudizio di alcuni osservatori, come Bown, in modo insufficiente), l’escalation tariffaria messa in atto nei confronti di quel Paese a partire dal 2017. Dal canto suo, con  la decisione (UE) 2020/491 la Commissione europea ha disposto l’esenzione dai dazi doganali e dall’imposta sul valore aggiunto per le importazioni e l’immissione in libera pratica, da o per conto di organizzazioni pubbliche o autorizzate dalle autorità competenti degli Stati membri, di merci destinate a essere distribuite o messe a disposizione di persone colpite, a rischio di essere colpite o impegnate nella lotta contro la pandemia da COVID-19 (art. 1). La decisione è stata adottata su richiesta di tutti gli Stati membri dell’Unione, autorizzati, nelle more del completamento del processo decisionale, a ricorrere temporaneamente a provvedimenti analoghi (per l’Italia, v. qui).

Queste misure sono compatibili col diritto OMC: nessuna disposizione vieta infatti di applicare su base non discriminatoria, come operato dall’Unione europea, tariffe doganali più basse di quelle consolidate nelle liste di concessioni allegate al GATT 1994 (art. I e II GATT 1994). Le misure degli Stati Uniti sollevano qualche perplessità, laddove il livello di imposizione tariffaria risulti comunque (a causa della guerra commerciale con la Cina) superiore a quello indicato nella lista di concessioni di questo paese.

L’effetto di simili provvedimenti è duplice. Da un lato, essi comportano minori costi per l’approvvigionamento di beni indispensabili; parallelamente, la loro attuazione può determinare un alleggerimento delle procedure doganali e, di tal guisa, accelerare i tempi per la distribuzione e l’utilizzo delle importazioni. Da sottolineare che la decisione UE non identifica le merci le cui importazioni avvengono in regime di franchigia doganale e di esenzione dall’IVA. Nel rispetto di requisiti prestabiliti, questa determinazione è rimandata alla discrezionalità degli Stati membri. Nell’ordinamento italiano, è previsto che l’importazione sia subordinata alla presentazione di una autocertificazione da parte dell’importatore (o di chi agisca per suo  conto) che ne attesti la conformità alle condizioni di cui alla decisione (UE) 2020/491.

L’importazione di presidi medici e sanitari, tuttavia, non è subordinata solo al pagamento dei tributi doganali, ma anche al rispetto di requisiti tecnici e al superamento di c.d. procedure di valutazione di conformità, atti ad assicurare che i beni in questione siano idonei a realizzare gli obiettivi prefissati di salute pubblica. Queste normative, tuttavia, possono costituire una barriera all’ingresso, e così rallentare le operazioni di assistenza. Il diritto OMC interviene su questa materia con l’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, che propone una normativa ampia e articolata. Ci si vuole soffermare, in questa sede, su quelle norme che incoraggiano gli Stati a elaborare regolamenti tecnici (vincolanti), standard tecnici (non vincolanti) e procedure di valutazione di conformità sulla base di standard internazionali, conferendo la presunzione di legittimità per le normative conformi ad essi.

È questo il medesimo orientamento seguito dall’Unione europea, il cui regolamento (UE) 2016/425 del 9 marzo 2016, adottato in base al c.d. nuovo approccio in materia di armonizzazione, definisce i requisiti essenziali dei DPI immessi sul mercato interno, rinviando al Comitato europeo di normazione (CEN) (o ad altri organismi) l’elaborazione di specifiche tecniche tramite l’adozione di norme armonizzate. Disposizioni analoghe vigono anche per quanto riguarda i dispositivi medici (v. qui e qui).

In particolare, ai sensi del regolamento del 2016, i produttori e gli importatori di DPI assicurano che questi ultimi rispettino i requisiti essenziali; le norme armonizzate approvate dal CEN non sono vincolanti, ma nel caso siano seguite le specifiche tecniche ivi previste, vale una presunzione di conformità al regolamento medesimo. È anche per questo motivo che il CEN è intervenuto nell’emergenza attuale rendendo immediatamente accessibili gli standard elaborati fino ad oggi riguardo a beni per i quali vi sia una carenza di offerta, allo scopo di potenziare la loro produzione in seno all’Unione europea. Dal canto suo, la Commissione europea ha elaborato una raccomandazione per quanto concerne le procedure di valutazione di conformità, invitando gli Stati a eseguirle in via prioritaria per i DPI e altri presidi e, se del caso, autorizzare deroghe agli accertamenti altrimenti previsti.

  1. Il ruolo delle politiche commerciali nella ricostruzione economica

La pandemia in atto è all’origine di una grave recessione economica e una forte contrazione degli scambi commerciali. La ricostruzione richiederà un forte intervento degli Stati, anche di sostegno finanziario a favore delle imprese nazionali. Al contempo, le specificità di una pandemia imporranno di non trascurare esigenze di sanità pubblica e quindi l’adozione di misure atte a garantire che la ripresa delle attività economiche e sociali, seppur graduale, avvenga in condizioni di sicurezza. In un’ottica di lungo periodo, gli avvenimenti delle ultime settimane potranno stimolare l’adozione di politiche volte ad aumentare la capacità degli Stati di far fronte a crisi analoghe che potrebbero presentarsi nel futuro.

Quest’ultimo paragrafo si propone di accertare se e in quale misura il diritto dell’OMC riconosca, anche in questo caso, un margine di manovra al cui interno gli Stati possano intervenire. L’attenzione sarà dedicata a tre diversi ambiti, senza con ciò voler sottovalutare l’importanza di altre misure.

Innanzitutto, la sospensione o riduzione dei dazi all’importazione di presidi medici e sanitari, introdotta unilateralmente da alcuni Paesi, potrebbe essere oggetto di un negoziato multilaterale. Nel diritto OMC non mancano accordi per l’abolizione di dazi  e altri oneri doganali all’importazione di specifici prodotti, quali quelli delle tecnologie dell’informazione o taluni prodotti farmaceutici. Alla luce di queste esperienze, l’avvio di un negoziato multilaterale per la liberalizzazione degli scambi dei beni che qui interessano potrà avere un impatto positivo nell’eventualità di futuri crisi, dal momento che l’applicazione di migliori condizioni di importazione sarà istituita su base permanente e non richiederà un intervento ad hoc delle autorità sanitarie e doganali. Peraltro, nel definire la sfera materiale di applicazione di un simile accordo, potrebbe essere opportuno valutare se estenderla anche alle componenti delle apparecchiature interessate, in considerazione del carattere transnazionale delle loro catene di produzione.

In queste ultime settimane, gli Stati hanno concentrato i loro sforzi per l’acquisto di presidi per i quali sui mercati mondiali si registra una offerta limitata, a causa dell’improvviso aumento della domanda, con le evidenti difficoltà di approvvigionamento e problemi legati a manovre speculative di rialzo dei prezzi. Da qui discende come un secondo ambito di intervento possa riguardare gli appalti pubblici, regolati dal Revised Agreement on Government Procurement del 2012. In base questo accordo, i 48 membri dell’OMC che ne sono parte sono tenuti al rispetto di obblighi procedurali, oltre che di trasparenza, imparzialità e non discriminazione, per le gare di appalto relative alla fornitura alle amministrazioni pubbliche dei beni e servizi indicati nelle liste allegate da ciascuno all’accordo. Una specifica clausola prevede che quest’ultimo non si applichi per gli appalti volti a prestare assistenza internazionale (art. I, par. 3, lett. e), quale quella realizzata in queste settimane da alcuni Stati. Sempre nella fase immediatamente successiva a una crisi sanitaria, l’art. XIII, par. 1, lett. d) consente, nel rispetto di taluni requisiti sostanziali, l’avvio di gare a trattativa privata se strettamente necessario «for reasons of extreme urgency brought about by events unforeseeable by the procuring entity» e laddove «the goods or services could not be obtained in time using open tendering or selective tendering».

Nella prospettiva di una maggiore resilienza, l’avvio di gare di appalto sulla base dei principi e delle norme generali dell’accordo può favorire la costituzione di scorte di presidi tramite un uso efficiente delle finanze pubbliche. Da sottolineare che i beni le cui forniture sono oggetto degli impegni assunti dai 48 membri parti dell’accordo non sempre includono presidi rivelatisi indispensabili nell’attuale crisi, come ad esempio per l’Unione europea. L’opportunità del favore così accordato ai produttori nazionali potrebbe essere riconsiderata unilateralmente, soprattutto qualora l’offerta domestica non sia oggettivamente in grado di far fronte al fabbisogno. Peraltro, l’inclusione di tali beni nelle liste allegate da tutti i membri permetterebbe di realizzare una maggiore concorrenza su questo specifico mercato degli appalti pubblici, e così favorire migliori condizioni di approvvigionamento.

Un ultimo ambito sul quale può essere concentrata l’attenzione è quello degli aiuti di Stato, vista la necessità di approntare ampi programmi di sostegno alle attività di impresa per limitare le ricadute negative della pandemia sul tessuto produttivo e sociale nazionale. Il diritto OMC interviene su questa materia tramite l’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensantive volto a limitare gli effetti distorsivi sugli scambi commerciali delle sovvenzioni alla produzione di beni. Questo non include tuttavia nessun regime di deroga che possa trovare applicazione in situazioni di emergenza, diversamente, ad esempio, da quanto contemplato nell’ordinamento dell’Unione europea (v. qui e qui). Ciononostante, alcuni margini di manovra emergono da una più attenta lettura dell’accordo.

Innanzitutto, quest’ultimo si applica alle sovvenzioni c.d. specifiche, ovvero accordate a una o più imprese o a vantaggio di uno o più settori produttivi comunque determinati (art. 2). Ne consegue che programmi generali di sostegno alla produzione non rientrano nel regime di divieti e azioni correttive altrimenti applicabili. Inoltre, le sovvenzioni specifiche sono vietate se subordinate ai risultati all’esportazione o all’impiego di merci nazionali nel processo produttivo (art. 3): quest’ultima circostanza potrebbe determinare l’illegittimità di programmi che condizionano l’accesso ai fondi pubblici al rispetto di clausole c.d. buy national da parte dei beneficiari. In casi diversi da quelli indicati, le sovvenzioni specifiche sono illegittime solo laddove procurino un danno agli interessi di un altro Stato (art. 5), sul quale ricade l’onere di provare un simile pregiudizio sulla base di elementi specificamente individuati (art. 6). Infine, seppur le deroghe al regime brevemente indicato previste dall’art. 8 (tra cui anche le sovvenzioni a favore di regioni svantaggiate) si siano estinte dal 2000, l’OMC ne ha riconosciuto comunque l’importanza per i Paesi in via di sviluppo e ha esortato gli altri membri ad applicare una clausola di pace nei loro confronti (v. qui, par. 10.2).

La disciplina fin qui brevemente richiamata concerne esclusivamente le sovvenzioni alla produzione di beni. Per quanto invece concerne il settore dei servizi, ampia è la discrezionalità nel definire programmi di supporto finanziario, giacché l’art. XV del General Agreement on Trade in Services rimanda l’elaborazione della normativa al riguardo a un negoziato multilaterale, non ancora conclusosi. Più restrittivo invece è il regime che sovrintende all’erogazione di aiuti di Stato a favore dell’agricoltura. In questo ambito, infatti, i membri dell’OMC hanno assunto specifici obblighi di riduzione delle c.d. misure di sostegno interno (v. qui, art. 6 e 7), con la conseguenza che il supporto ai produttori agricoli che abbiano sofferto danni economici a causa della pandemia è limitato agli interventi di cui all’Allegato 8 dell’accordo rilevante (c.d. green box measures).

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Giovanna Adinolfi

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