Prime considerazioni sull’effettività delle risposte normative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alla diffusione del COVID-19
Pia Acconci, Università di Teramo e Co-coordinatore del Gruppo di interesse della SIDI su “Diritto internazionale e dell’Unione europea in materia di salute”
1. L’11 marzo 2020 il Direttore generale dell’OMS ha dichiarato che la diffusione del COVID-19 aveva ormai raggiunto il livello di una pandemia e ha raccomandato pertanto il rafforzamento della cooperazione per il contenimento del contagio. Poiché la propagazione del COVID-19 risultava imprevedibile e incontrollabile per la mancanza di un vaccino e trattamenti farmacologici specifici, nei giorni precedenti alcuni Stati, tra cui l’Italia, com’è noto, avevano adottato misure limitative della libertà di circolazione delle persone dapprima in alcune aree e poi nell’intero territorio nazionale, chiuso scuole, università e infine tutti gli esercizi commerciali non essenziali.
Pochi giorni dopo la dichiarazione dell’esistenza di una pandemia, numerosi altri Stati hanno adottato provvedimenti normativi con effetti analoghi circa la limitazione della circolazione di persone e talvolta del libero scambio, relativamente in particolare all’esportazione di prodotti disinfettanti, mascherine, guanti, tute protettive, dispositivi medici e tecnologici appropriati per l’assistenza sanitaria ai contagiati sia a domicilio sia in strutture ospedaliere specializzate. La circostanza che il ricovero presso reparti di terapia intensiva sia l’unico rimedio possibile per l’assistenza a un numero significativo di contagiati ha reso l’accesso ai reparti di respirazione assistita un presupposto per la tutela della salute pubblica, nonché per la garanzia della vita di tali persone.
In virtù della combinazione tra l’urgenza della garanzia di tale accesso e la natura insidiosa del virus, alcuni Stati economicamente avanzati colpiti dalla pandemia hanno ammesso la propria vulnerabilità, sotto il profilo vuoi tecnico-sanitario vuoi economico-finanziario, e accettato offerte di assistenza da parte di organismi internazionali e altri Stati. L’Italia e altri Stati membri dell’Unione europea hanno richiesto soluzioni finanziarie specifiche per poter disporre di risorse ingenti e avviare piani adeguati di risposta alla situazione di crisi straordinaria dei propri sistemi economici nazionali e delle proprie popolazioni (relativamente alle risposte della BCE, v. Lionello).
In questo quadro di emergenza, tali Stati si sono ispirati a principi consolidati della vita di relazione internazionale, quali cooperazione, solidarietà e finanche trasparenza nella condivisione di dati scientifici e altre informazioni rilevanti.
Merita illustrare i risultati dell’attività svolta fin qui dall’OMS a seguito della pandemia COVID-19, essendo «the attainment by all peoples of the highest possible level of health» l’obiettivo principale della sua creazione, secondo l’art. 1 del suo trattato istitutivo, denominato Costituzione. Al termine dell’esame di tali attività, svolgerò alcune considerazioni d’insieme sull’effettività delle risposte normative dell’OMS. Proporrò in particolare alcuni spunti di riflessione sul suo ruolo di guida, come affermato all’art. 2 della sua Costituzione, là dove l’emergenza sanitaria provocata dal COVID-19 su scala pressoché mondiale si manifesta come un rischio collettivo suscettibile di minare il benessere degli Stati e delle persone non solo nel presente ma anche nel medio-lungo periodo.
2. Il Direttore generale dell’OMS ha definito l’epidemia di COVID-19 generata dalla diffusione del SARS-COV-2 – un patogeno di natura zootecnica in grado di diffondersi per via aerea mediante il contatto con animali o persone infette – quale «public health emergency of international concern» il 30 gennaio 2020, ossia quando focolai di tale malattia infettiva non si erano manifestati ancora su larga scala, come accaduto successivamente.
A seguito di tale qualificazione e secondo quanto previsto nei regolamenti sanitari internazionali dell’OMS del 2005, il Direttore generale ha indicato alcune misure che la Cina, in quanto Stato allora più colpito dal contagio, e gli altri Stati membri, individualmente e collettivamente, erano chiamati ad attuare.
Al fine della tutela della propria popolazione, la Cina avrebbe dovuto realizzare strategie estese di comunicazione del rischio e dei suoi sviluppi, rafforzare le misure sanitarie tese al contenimento del contagio attraverso il potenziamento del proprio sistema sanitario nazionale e la protezione delle persone ivi impiegate, collaborare con l’OMS e altri attori per l’individuazione di casi utili alla comprensione dell’epidemiologia della malattia, con riguardo particolare alla sua origine zootecnica, condividere i relativi dati ed effettuare infine valutazioni mediche dei passeggeri in transito negli aeroporti e porti nazionali nell’obiettivo dell’identificazione preventiva di casi con la minimizzazione dell’interferenza nella libera circolazione delle persone. Sulla base dell’assunto che il contagio potesse diffondersi «in any country», gli altri Stati avrebbero dovuto attivarsi per controllo, individuazione preventiva, isolamento e gestione dei casi, nonché tracciamento dei contatti avuti da persone infettate prima della diagnosi, onde favorire la prevenzione di una diffusione incontrollata del numero di contagi. I medesimi Stati avrebbero dovuto inoltre comunicare qualunque dato utile relativamente al contagio di animali di ogni specie, test diagnostici usati e risultati ottenuti. Tali indicazioni avrebbero dovuto portare alla riduzione del contagio tra le persone, alla prevenzione della trasmissione secondaria e transnazionale del virus. Tutti gli Stati membri dell’OMS avrebbero dovuto altresì osservare gli obblighi di comunicazione e cooperazione posti dai regolamenti sanitari internazionali del 2005, al fine di favorire e, se possibile, contribuire alla scoperta delle caratteristiche ancora sconosciute del virus all’origine della pandemia e alla diffusione delle conoscenze. Tale cooperazione avrebbe dovuto ispirarsi al principio di solidarietà come previsto all’art. 44 dei medesimi regolamenti. Gli Stati membri dell’OMS avrebbero dovuto conformarsi alle misure indicate dal Direttore generale in maniera non discriminatoria e nel rispetto dei diritti delle persone, come disposto agli art. 3 e 43 dei suddetti regolamenti. Il Direttore generale ha sottolineato più volte che le attività di contenimento e prevenzione attese dagli Stati membri dell’OMS non avrebbero dovuto includere restrizioni alla libera circolazione delle persone, non essendo raccomandata «any travel or trade restriction based on the current information available».
Quando ha dichiarato successivamente che la propagazione del COVID-19 avesse raggiunto lo stadio di una pandemia, il Direttore generale ha evidenziato anche che l’inazione di alcuni Stati membri non avrebbe dovuto incidere negativamente sulla risposta adeguata di altri Stati membri. Da quest’ultima sua dichiarazione si evince che l’adeguatezza della risposta sarebbe consistita nell’adozione di misure nazionali idonee a contenere la diffusione del contagio entro la capacità di assistenza sanitaria disponibile nel territorio di riferimento, giacché nella medesima dichiarazione il Direttore generale ha chiarito che, «[i]f countries detect, test, treat, isolate, trace, and mobilize their people in the response, those with a handful of cases can prevent those cases becoming clusters, and those clusters becoming community transmission».
Per agevolare l’attività di risposta degli Stati membri nel periodo fin qui trascorso, l’OMS ha pubblicato periodicamente diversi atti nella forma di technical guidance, situation reports, comunicati stampa con dati e informazioni attendibili, suggerimenti e dichiarazioni dello stesso Direttore generale. Tutti questi atti sono consultabili nel sito web dell’Organizzazione e sono aggiornati in maniera regolare. Si tratta di atti non vincolanti diretti a orientare la condotta degli Stati membri e dei privati. Attraverso il proprio sito web l’OMS gestisce il COVID-19 Solidarity Response Fund. L’OMS ha inviato altresì missioni di esperti in Cina e Italia per sostenere la reazione di siffatti Stati nel momento più aggressivo del contagio. Una delle conclusioni raggiunte dalla breve missione in Italia – terminata il 6 marzo scorso – è stata quella di considerare la nostra situazione nazionale quale una «knowledge-generating platform on COVID-19 within the scientific community».
L’OMS ha instaurato poi forme eterogenee di collaborazione con altri organismi internazionali riconducibili al sistema delle Nazioni Unite, in particolare con FAO, UNICEF, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, Gruppo della Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, e finanche con l’OMC. A partire dalla seconda metà del mese di marzo quest’attività di collaborazione si è intensificata con l’adozione di numerosi Joint Statements, piani di azione e linee guida comuni (tutti consultabili nei siti web ufficiali degli organismi internazionali menzionati). Queste attività contemplano il coinvolgimento di attori privati, quali organizzazioni non governative, fondazioni, come la Bill and Melinda Gates Foundation, e imprese multinazionali.
Tali attività, per lo più operative, richiamano il modello della costituzione di partnerships tra attori pubblici – rappresentanti di Stati beneficiari, organizzazioni internazionali e Stati terzi – e attori privati, quali rappresentanti di imprese multinazionali e organizzazioni non governative, per la realizzazione di attività di assistenza tecnica. Si tratta di un modello utilizzato anche dall’OMS a favore dell’assistenza a Stati membri economicamente meno avanzati tanto per il potenziamento dei sistemi sanitari nazionali di tali Stati quanto, negli anni più recenti, per la lotta alla povertà nella logica prima dei Millennium Development Goals del 2000 e oggi dei Sustainable Development Goals approvati nel quadro dell’Agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo post-2015.
3. Sin dall’antichità gli Stati hanno considerato il controllo delle frontiere quale manifestazione dell’esercizio della propria sovranità in funzione della salvaguardia della salute pubblica nazionale e contemplato la limitazione della circolazione di persone e merci nei rispettivi territori come strumento di reazione alle crisi sanitarie dovute alla propagazione di una malattia infettiva.
Dalla metà del secolo diciannovesimo dello scorso millennio, gli Stati più interessati alla ricerca di un bilanciamento tra libertà di circolazione e tutela della salute pubblica hanno collaborato e poi concordato l’istituzione dell’OMS nel 1946, al termine della seconda guerra mondiale, allo scopo, tra l’altro, di unificare i risultati normativi delle conferenze sanitarie internazionali tenutesi a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Quei risultati consistevano in convenzioni internazionali di armonizzazione dei presupposti per l’introduzione ad opera di uno Stato contraente di limitazioni alla circolazione nel territorio nazionale di persone e merci provenienti da altri Stati contraenti in caso di diffusione transnazionale di un’epidemia specifica, come la peste o la febbre gialla.
A norma dell’art. 21 della sua Costituzione, l’OMS è competente ad agire per il contenimento delle epidemie e adottare atti con efficacia vincolante per gli Stati membri. Tale efficacia vincolante è automatica una volta scaduto il termine previsto da tali atti. Sulla base dell’art. 21, l’Assemblea dell’OMS ha adottato i regolamenti sanitari internazionali nel 1951. L’ultima revisione di questi regolamenti si è conclusa nel 2005 e ha rafforzato la loro idoneità a fungere da garanzia normativa della sicurezza sanitaria internazionale attraverso indicazione agli Stati membri di attività di prevenzione, controllo e risposta, promozione di forme di early warning, potenziamento degli obblighi di sorveglianza e risposta, istituzione di Contact Points dell’OMS e Focal Points nazionali degli Stati membri.
La revisione del 2005 ha reso i regolamenti sanitari uno strumento di contrasto tanto della diffusione transnazionale delle malattie infettive – conosciute o meno – quanto di qualunque altra «public health emergency of international concern», ossia «an extraordinary event which is determined […] (i) to constitute a public health risk to other States through the international spread of disease, and (ii) to potentially require a coordinated international response».
Qualora un rischio alla salute sia così qualificato, su indicazione di un Emergency Committee composto di esperti, il Direttore generale dell’OMS dichiara quali «temporary recommendations» gli Stati debbano adottare al fine di contemperare la tutela della salute attraverso il contenimento dell’emergenza e la libera circolazione di merci e persone (art. 12, par. 2, nonché art. 1, 15 e 17, dei regolamenti del 2005). Tali misure temporanee devono essere attuate sia dagli Stati colpiti da un’emergenza sia dagli altri Stati membri dell’OMS e, secondo l’art. 15 dei regolamenti sanitari, possono avere per oggetto «persons, baggage, cargo, containers, conveyances, goods and/or postal parcels […]» (cfr. Acconci 2011, specialmente pp. 55-71, 151-172).
Il Direttore generale dell’OMS ha adottato più volte alcune misure secondo questa procedura. Esse sono risultate inadeguate ad assicurare il coordinamento in via multilaterale delle risposte degli Stati membri all’emergenza sanitaria considerata e quindi l’effettività della tutela della salute sul piano internazionale.
La reazione internazionale all’epidemia di ebola del 2014 ha mostrato chiaramente che l’adozione di misure temporanee, sulla base dei regolamenti sanitari internazionali, può non essere una soluzione per la sorveglianza di una malattia infettiva suscettibile di propagarsi su larga scala. A tal fine è risultato, infatti, decisivo il collegamento tra la capacità tecnica sanitaria di uno Stato membro dell’OMS, in termini di disponibilità di ospedali, personale specializzato, laboratori scientifici, farmaci essenziali, altri dispositivi sanitari, e la sua capacità di garantire la salute pubblica nel territorio nazionale, attraverso l’osservanza dei regolamenti sanitari internazionali e di eventuali misure temporanee adottate dal Direttore generale.
In virtù della debolezza dei sistemi sanitari degli Stati membri più colpiti dall’epidemia di ebola nel 2014 – Guinea, Liberia e Sierra Leone – e dell’instabilità militare e sociale della regione interessata, l’Africa occidentale, la reazione internazionale a quell’epidemia si è realizzata infine mediante una partnership coordinata dal Segretario generale delle Nazioni Unite (UNMEER) sulla base della risoluzione 2177/2014 adottata dal Consiglio di Sicurezza il 18 settembre 2014. Il ruolo di guida dell’OMS nel coordinamento di siffatta reazione è stato attenuato, a causa soprattutto della sua ridotta autonomia tecnica e finanziaria (per approfondimenti, Gostin, Sridhar e Hougendobler; Hanrieder e Kamradt-Scott; Acconci 2014, pp. 405-424). La sua percezione come organizzazione internazionale tesa alla salvaguardia degli interessi degli Stati economicamente meno avanzati potrebbe essere stato un altro motivo dell’effettività limitata dell’azione dell’OMS a quel tempo. In effetti, le emergenze suscettibili di essere il presupposto per l’adozione eventuale di misure temporanee, in quanto «public health emergency of international concern», si verificano per lo più in Stati siffatti, in virtù non solo delle condizioni igienico-sanitarie e sociopolitiche deteriorate spesso ivi esistenti, ma anche della complessità della realtà della vita di relazione internazionale. Tale complessità appare tuttora inestricabile, malgrado l’istituzione sul piano internazionale di molteplici forme e meccanismi di cooperazione e coordinamento tra attori eterogenei per la gestione di problemi comuni nella logica sia della reazione a emergenze sia della loro prevenzione (mi limito a segnalare, Pontecorvo, pp. 587-621; Vierck, Villarreal e Weilert). La reazione all’ebola nel quadro delle Nazioni Unite ha dimostrato che un’epidemia in uno o più Stati economicamente non avanzati possa essere qualificata come una «public health emergency of international concern» – suscettibile di determinare l’applicazione effettiva dei regolamenti sanitari internazionali del 2005 – in base a un accertamento del Consiglio di sicurezza ex Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite. L’accertamento di una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale per effetto dell’epidemia è stato favorito dall’accezione di sicurezza internazionale, in termini di sicurezza umana, affermatasi nel quadro delle Nazioni Unite (si veda, tra gli altri, Negri, pp. 135-173).
4. Allorché un’emergenza siffatta si verifichi, come la pandemia COVID-19, in Stati economicamente avanzati, in cui i servizi sanitari nazionali e le condizioni sanitarie esistenti sono ritenute comunemente affidabili e di alta qualità, la possibile mancanza di effettività delle misure temporanee adottate dal Direttore generale dell’OMS, a norma dei regolamenti sanitari internazionali, appare più evidente. Si è assistito e si assiste all’adozione, da parte degli Stati maggiormente vulnerabili al contagio, di azioni di carattere discordante quanto ai tempi e all’intensità normativa anche perché l’Emergency Committee non si è riunito più per aggiornare le misure temporanee adottate il 30 gennaio scorso, non contemplanti, come segnalato, la necessità di alcuna limitazione alla libera circolazione delle persone.
L’ineffettività di quest’elemento importante delle misure temporanee del 30 gennaio scorso è emersa chiara quando, il 16 marzo, la Presidente della Commissione europea ha raccomandato la chiusura dell’intero territorio dell’Unione europea, ammettendo che «[w]hile travel restrictions are generally not seen by the World Health Organisation as the most effective way of countering a pandemic, the rapid spread of COVID-19 makes it essential that the EU and Member States take urgent, immediate and concerted action not only to protect the public health of our populations, but also to prevent the virus from further spreading from the EU to other countries, as has been observed in recent weeks. Travel restrictions should focus on drastically reducing incoming people flows at the external borders of the Union, thereby also slowing transmission to other countries on travellers’ return, and discouraging outgoing travel of EU citizens and other persons residing in the EU+ area».
La debolezza del coordinamento ad opera dell’OMS delle reazioni degli Stati membri e di altri organismi internazionali si evince inoltre dalla circostanza che alcuni di questi Stati, tra cui l’Italia, abbiano ritenuto di dover adottare misure normative e coercitive di restrizione della libera circolazione delle persone nei propri territori nazionali, malgrado la proliferazione di raccomandazioni, video dimostrativi, linee guida e dichiarazioni dell’OMS volte a orientare i comportamenti, tanto dei suddetti Stati quanto delle persone ivi abitanti, affinché l’emergenza mondiale per la diffusione del contagio potesse essere evitata e misure siffatte non risultassero necessarie. La pandemia COVID-19 ha confermato, invero, la predilezione dell’OMS per la produzione di atti non vincolanti quali standard, codici di condotta, linee guida e programmi di azione. Non pare essere andato tuttavia a buon fine l’intento dell’OMS di portare le persone negli Stati più colpiti a conformarsi, in maniera volontaria, a regole di condotta di stampo sociale, quali isolamento, distanza e pratiche di igiene ricorrenti. L’autorevolezza di tali regole sarebbe dovuta derivare dal fatto che esse si fonderebbero sui risultati di attività di ricerca scientifica realizzate grazie anche all’attività dell’OMS stessa. Siffatte regole sarebbero dunque, in linea di principio, attendibili, benché restrittive. Per concludere, l’OMS ha agito una volta ancora come una guida sotto il profilo scientifico e uno strumento di facilitazione, al pari di altri organismi internazionali, sotto i profili politico e normativo.
1 Comment
Mi chiedo di quali mezzi scientifici ( comitati tecnici) laboratori a disposizione, verifiche in situ per controllare la adeguatezza delle comunicazioni degli Stati membri la WHO dispone per fondare una propria autonoma tempestiva valutazione in merito e raccomandare misure. Appropriate. Il 14/1 WHO ha diffuso l’informazione che non era accertato che il virus si trasmettesse da umano a umano. Glie l’aveva sembrerebbe comunicato la Cina!