La questione dell’Arcipelago Chagos all’esame della Corte Internazionale di Giustizia
Anna Di Lieto, Università Federico II Napoli
Il 22 giugno 2017 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione A/RES/71/292 contenente la richiesta alla Corte internazionale di giustizia (CIG) di un parere concernente: a) la legittimità dell’avvenuto processo di decolonizzazione con il riconoscimento dell’indipendenza di Mauritius dal Regno Unito successivamente alla separazione dal territorio di Mauritius dell’Arcipelago delle isole Chagos e b) le conseguenze della perdurante amministrazione delle isole Chagos da parte britannica che impedisce a Mauritius il reinsediamento nell’Arcipelago dei suoi cittadini di origine chagossiana.
Per comprendere perché una questione risalente ad oltre 50 anni fa sia stata sottoposta adesso dall’Assemblea Generale al vaglio della CIG è opportuno illustrare i dati della vicenda iniziata nel 1965 quando il Regno Unito, madrepatria di Mauritius, separò da Mauritius l’Arcipelago, costituendolo Territorio britannico dell’Oceano Indiano (British Indian Ocean Territory BIOT), sotto la sovranità inglese. Gli abitanti furono deportati a Mauritius e alle Seychelles e fu accordato agli Stati Uniti di installare una base militare a Diego Garcia, l’isola più grande, collocata per la sua posizione geografica in una zona strategica. Mauritius, nel 1968, ottenne l’indipendenza dal Regno Unito ma trovandosi in una perdurante situazione socio-economica difficile che la costrinse a mantenere buoni rapporti con il Regno Unito non avanzò alcuna rivendicazione di sovranità sull’Arcipelago delle Chagos temendo le conseguenze negative di una sua azione. Soltanto a partire dagli anni ’80 ha indirizzato al Regno Unito formali proteste chiedendo di rimuovere una historic injustice e ha inviato periodicamente all’Assemblea Generale delle NU dichiarazioni in cui affermava che la situazione creata dal Regno Unito nell’Arcipelago viola il diritto internazionale ed in particolare gli obblighi scaturenti dai diritti fondamentali dell’uomo e dal principio di autodeterminazione così come richiamati in alcune risoluzioni dell’Assemblea stessa in relazione al caso (RES/1514/XV, del 14 dicembre 1960, 2066/XX del 16 dicembre 1965, 2232/XXI del 20 dicembre 1966 e 2357/XXII del 19 dicembre 1967).
Mauritius ha protestato anche contro la proclamazione, avvenuta da parte del Regno Unito il 1° aprile 2010, di un’Area Marina Protetta (AMP) a largo delle isole Chagos ed ha chiesto ed ottenuto che, ai sensi dell’articolo 286 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS), fosse istituito un Tribunale arbitrale, conformemente all’allegato VII UNCLOS, competente in base all’articolo 288 UNCLOS. Il Tribunale con sentenza del 18 marzo 2015 ha affermato che la controversia riguardava una questione di sovranità, nella specie sulle isole Chagos, materia che non rientra tra quelle di sua competenza e di conseguenza non ha risolto il caso. Ha tuttavia rilevato che il Regno Unito, prima di istituire una zona di protezione ecologica, avrebbe dovuto informare e consultare lo Stato costiero contiguo e avrebbe dovuto rispettare l’impegno assunto con un accordo concluso con Mauritius il 23 settembre 1965 al termine dei Lancaster House Meetings di trattare la restituzione dell’Arcipelago a Mauritius. I colloqui intercorsi tra le due parti successivamente alla sentenza arbitrale non hanno sortito effetti positivi per cui Mauritius, come aveva già annunciato nel 2016, con il sostegno del Congo e dell’Unione Africana, ha chiesto che l’Assemblea Generale sottoponesse il caso all’esame della CIG cui spetta ora dare una risposta ad una problematica che da come illustrato si presenta particolarmente complessa.
In chiave prospettica si può osservare che la Corte potrebbe anche rifiutare di pronunciarsi sul primo quesito, seguendo quanto sostenuto dal Regno Unito, che considera la richiesta di parere da parte dell’Assemblea Generale «a distraction», un ostacolo ai colloqui bilaterali e «a terrible precedent» per la stessa Assemblea e per la Corte. A tal riguardo l’Ambasciatore inglese Matthew Rycroft ha affermato che la questione sottoposta alla Corte non è quella indicata nella risoluzione dell’Assemblea, ma una controversia sorta in ambito bilaterale e portata all’Assemblea solamente al fine di ottenere un parere o risolvere una controversia bilaterale. Di conseguenza il Regno Unito «is not obliged to have its bilateral disputes submitted for judicial settlement without its consent», e la Corte non può emanare un parere. Al riguardo è stato rilevato che non esiste un precedente di rifiuto della Corte di dare un parere per mancanza di consenso delle parti e che non si possa considerare tale il parere della Corte Permanente di giustizia internazionale (CPGI) sullo Statuto della Carelia orientale ove la CPGI non si pronunciò sui quesiti posti dal Consiglio della Società delle Nazioni in difetto degli elementi di giudizio necessari ai fini dell’accertamento dei fatti data la mancata partecipazione al procedimento dell’Unione Sovietica, che però non era membro della Società delle Nazioni né parte dello Statuto della CPGI.
D’altro canto, va tenuto presente che la Corte, in base all’art. 65 del suo Statuto, gode di un ampio potere discrezionale e che secondo la risoluzione dell’Assemblea Generale la questione non riguarda, o non soltanto, la sovranità sull’Arcipelago, come affermato dal Regno Unito, ma piuttosto il diritto di autodeterminazione. La Corte può quindi decidere che la sua risposta è effettivamente utile all’Assemblea Generale e che, come nel parere sull’edificazione di un muro nei territori palestinesi [par. 50], la problematica non è soltanto una questione fra Stati, ma è di interesse per le Nazioni Unite.
In relazione al secondo quesito posto alla Corte relativo al reinsediamento nell’Arcipelago dei cittadini di Mauritius di origine chagossiani va osservato che il problema non è stato oggetto di attenzione dei primi commenti alla risoluzione dell’Assemblea Generale, attenzione peraltro non manifestata neanche dai due Stati coinvolti nella vicenda. Mauritius si è occupata soprattutto della questione di sovranità sulle isole Chagos e nella richiesta rivolta all’Assemblea Generale ha precisato che il reinsediamento non riguarderà l’isola di Diego Garcia. Per il governo britannico i Chagossiani non sono né residenti né popolo indigeno ma semplicemente immigrati provenienti da Mauritius o dalle Seychelles, in quanto lavoratori di grandi società produttrici di olio [le isole sono ricche di piantagioni di cocco da cui si estraeva la copra (la polpa di cocco essiccata) per la produzione di olio], allora presenti nell’Arcipelago, che avevano loro offerto un alloggio. Pertanto l’allontanamento degli abitanti non ha costituito una violazione della Carta delle NU, in particolare dell’art. 73 relativo ai territori non autonomi, non avendo il Regno Unito inserito tra essi il Territorio britannico dell’Oceano Indiano. Inoltre un’operazione di reinserimento di individui nelle isole non sarebbe soltanto molto (o troppo) costosa per il Regno Unito, come da esso più volte affermato, ma in realtà costituirebbe un intralcio alle operazioni militari degli Stati Uniti nell’isola di Diego Garcia nonostante le assicurazioni date al riguardo da Anerood Jugnauth, Ministro della difesa di Mauritius, nella sua dichiarazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
In definitiva va notato che da tempo le Nazioni Unite dedicano particolare attenzione alle questioni riguardanti i popoli indigeni soprattutto dopo la dichiarazione del 2007 sui diritti di tali popoli ed il parere richiesto dall’Assemblea Generale potrebbe costituire un’occasione per la Corte per esprimersi in materia ed essere di supporto alla lotta degli abitanti dell’Arcipelago e dei loro discendenti che finora si sono rivolti a tribunali interni ed internazionali per ottenere il riconoscimento dei loro diritti di popolo indigeno ma senza alcun risultato.
Ricordiamo che, in relazione ai popoli indigeni, nelle Nazioni Unite sono stati creati tre organi ad hoc. Il primo è il Gruppo di lavoro sulle popolazioni indigene, istituito nel 1982 dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite con la risoluzione 1982/34 del 7 maggio, sostituito nel 2007 da un Meccanismo di esperti creato dal Consiglio dei diritti dell’uomo con risoluzione 6/36 del 25 settembre 2007. Il secondo è il Forum Permanente delle Nazioni Unite sulle questioni indigene, organo consultivo del Consiglio Economico e Sociale, istituito con risoluzione n 2000/22 del 28 luglio 2000 Il terzo è il Relatore Speciale sui diritti dei popoli indigeni creato dalla Commissione sui diritti umani (ora Consiglio sui diritti umani), nel 2001 (con risoluzione n.2001/57 del 24 aprile 2001). A seguito dell’attenzione dedicata in sede di Nazioni Unite ai problemi dei popoli indigeni, sono state adottate convenzioni ed emanati atti che sanciscono l’obbligo degli Stati di garantire diritti ai popoli indigeni e si sta sviluppando una giurisprudenza internazionale in materia [v. le sentenze della Corte interamericana nel caso Yatama contro Nicaragua, nel caso Comunidad Magagna (Sumo) Awas Tingni c. Nicaragua, nel caso Saramaka People v. Suriname, nel caso Pueblo Indígena Kichwa de Sarayaku contro Ecuador], mentre a livello interno, negli Stati in cui sono presenti comunità indigene, sono state promulgate specifiche leggi a protezione dei popoli indigeni[ad es. nelle più recenti costituzioni di Stati, in cui sono presenti popoli indigeni, sono state inserite disposizioni che espressamente affermano un riconoscimento formale di tali popoli e dei loro diritti come la costituzione dell’Ecuador, che alle sezioni 83- 85 parla dei diritti collettivi ad essi riconosciuti, o la Costituzione messicana che all’art 2 parla di diritto all’autodeterminazione.] e si registrano decisioni applicative delle norme interne e internazionali a loro tutela [v. Digesto de jurisprudencia latinoamericana sobre los derechos de los pueblos indígenas a la participación, la consulta previa y la propiedad comunitaria].
Per incidens va ricordato il problema sollevato relativamente alla composizione della Corte in quanto due dei suoi attuali giudici hanno fatto parte del Tribunale arbitrale che si è occupato del caso dell’Area Protetta Marina a largo delle isole Chagos, ossia il giudice Greenwood, designato come giudice dal Regno Unito, ed il giudice Crawford nominato consulente di Mauritius. La prima questione posta al Tribunale arbitrale era se il Regno Unito fosse uno Stato costiero rispetto alle isole di Chagos e quindi indirettamente sollevava la questione se il Regno Unito aveva sovranità sugli arcipelaghi. Analogamente, la domanda rivolta alla Corte dall’Assemblea generale è essenzialmente se il Regno Unito possa amministrare l’Arcipelago delle Isole Chagos e quali conseguenze giuridiche derivano da tale amministrazione. La questione non è identica, né vi è alcuna identità di parti (in quanto non ci sono parti in un procedimento consultivo). Pertanto non dovrebbe aversi ricusazione. Resta tuttavia un’altra questione, forse più interessante, relativa alla composizione della Corte. Se non ci sarà ricusazione e se il giudice Greenwood farà parte della Corte Mauritius potrebbe voler nominare un giudice ad hoc. Non c’è una prassi univoca in materia. La Corte nel caso della Namibia ha rifiutato tale nomina per il Sudafrica mentre nel caso del Sahara occidentale l’ha rifiutata per la Mauritania e l’ha ammessa per il Marocco.
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