Prime riflessioni sulle proposte di riforma del sistema europeo comune d’asilo in materia di qualifiche, procedure e accoglienza
Giandonato Caggiano, Università Roma Tre
1. Di recente le politiche di asilo e integrazione sono messe in discussione, a seguito di fatti di cronaca nera o di terrorismo attribuiti a richiedenti-asilo, rifugiati o cittadini europei di seconda generazione. La crisi dei flussi migratori sulla rotta balcanica (2015-16) ha peraltro evidenziato l’inadeguatezza dell’attuale Sistema comune europeo di asilo (SECA) che non sembra realizzare pienamente il diritto primario del TFUE e della Carta dei diritti fondamentali. Sono evidenti sia la crisi del sistema di Dublino, malgrado il meccanismo correttivo delle decisioni di ricollocazione, sia le persistenti differenze degli ordinamenti nazionali dopo due generazioni di direttive.
A pochi anni dall’entrata in vigore del II Pacchetto SECA (2013-15), la Commissione ne propone una nuova modifica integrale. Alla proposta di regolamento Dublino IV seguono, a breve distanza di tempo, tre nuove proposte: qualifiche e procedure in sostituzione delle direttive in vigore (e breve modifica della direttiva lungo-soggiornanti) e la rifusione della direttiva-accoglienza. La Commissione propone la trasformazione di due direttive in regolamenti, che contengono però ancora varie norme opzionali (non self-executing) per gli Stati membri, e la rifusione della direttiva in materia di accoglienza, strumento giuridico preferibile perché meno invasivo dell’azione degli Stati-membri in un settore così sensibile.
L’intento dichiarato del nuovo pacchetto SECA è quello della deterrenza dei movimenti secondari e dell’asylum shopping per i richiedenti la protezione internazionale. Le proposte intendono promuovere, in primo luogo, procedure ridotte e veloci di esame delle domande, anche per ridurre l’onere dell’accoglienza in attesa di decisioni amministrative con bassi indici di riconoscimento e dell’esito dei ricorsi spesso più favorevoli; in secondo luogo, “retrocedere” la responsabilità dell’esame delle domande (e della conseguente protezione) ai Paesi di primo asilo o terzi-sicuri (se sono disponibili a riprenderli) in cui siano transitati i profughi o rinviare i richiedenti ai Paesi di origine considerati sicuri.
Le tre proposte completano il quadro giuridico di cui fa parte la proposta di regolamento Dublino IV, che non ha inteso incidere sulla suddivisione della responsabilità e l’asimmetria degli oneri tra Stati-membri frontalieri e di seconda-linea. Il criterio proposto di determinazione della competenza resta il Paese di primo ingresso, salvo i casi nei quali esistano rapporti familiari in un altro Stato-membro. Tuttavia, nell’ipotesi di un’eccessiva pressione sul sistema nazionale d’asilo si prevede un meccanismo correttivo (“di equità”) in base ad una quota-limite calcolata su dimensioni e ricchezza di ciascuno Stato-membro. Nel caso di superamento di tale quota, i richiedenti dovranno essere ricollocati negli altri Stati-membri ma si è già osservato nella prassi quanto difficile sia attuare il meccanismo di ricollocazione. Gli Stati-membri potrebbero però non parteciparvi in cambio del versamento di un elevato e “spropositato” contributo finanziario per ciascun richiedente “rifiutato”. La proposta rappresenta solo una provocazione sulla necessità di condividere la responsabilità tra gli Stati membri e di porre un obbligo di condivisione per gli Stati membri “recalcitranti”.
Le vicende del diritto di asilo sono collegate integralmente alle relazioni inter-governative tra gli Stati-membri mentre si attenua la natura individuale del diritto d’asilo (il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto declaratorio (considerando (18): «The recognition of refugee status is a declaratory act», identico al considerando (21) della direttiva 2011/95). La conseguenza concreta di questa natura si scorge, almeno per quanto riguarda il non-refoulement (v. Cherubini, p. 206 s.) anche se sono garantiti i diritti fondamentali, prima, durante e dopo il riconoscimento dello status. Al riguardo, l’aspetto positivo della riforma in commento consiste proprio nel rafforzamento delle garanzie procedurali, relativamente al colloquio personale, al diritto all’assistenza legale gratuita e al tutoraggio per i minori non accompagnati.
Lo sviluppo dell’acquis comunitario è messo a rischio dalle proposte volte ad introdurre restrizioni e limiti al sistema europeo di accoglienza. In generale, è nostra opinione che non esistano meccanismi, termini e condizioni rigorose per bloccare le aspirazioni di persone verso una prospettiva di vita nello Stato-membro in cui abbiano collegamenti linguistico-culturali, professionali e relazionali. Per fortuna, a diritto vigente, è impossibile rimpatriare/espellere chi abbia acquisito nel frattempo lo statuto di lungo-soggiornante, ma si propone di modificare la relativa direttiva, ricalcolando daccapo il dies a quo dei cinque anni necessari per l’acquisizione, quale sanzione a seguito dell’accertamento di movimenti secondari del richiedente.
La chiusura della fortezza-Europa non appare a nostro avviso una risposta adeguata al momento di crisi ma non è qui possibile argomentare sulle politiche di sostegno auspicabile a favore delle persone traumatizzate da violenze o situazioni di guerra né sugli antidoti per invertire i limiti (evidenti da anni) dell’integrazione di molti cittadini europei naturalizzati o di seconda generazione. Sul piano politico cresce il dibattito sul miglior modus operandi per l’isolamento culturale dei fenomeni di estremismo, accanto al loro contrasto per mezzo di strumenti legislativi, di polizia e d’intelligence. Si tratta certo di un tema che troverà crescente spazio nell’opinione pubblica, nella riflessione scientifica e, auspicabilmente, nella politica sociale europea.
2. L’oggetto della proposta di regolamento-qualifiche continua a essere duplice come per la direttiva in vigore: stabilisce, da un lato, le norme per il riconoscimento della qualifica di rifugiato o beneficiario di protezione internazionale; dall’altro, il contenuto dei diritti e obblighi che contraddistinguono gli status. Non vi è una disposizione che consenta di concedere un trattamento più favorevole a livello nazionale ma gli Stati membri sono liberi di concedere uno status umanitario purché ciò non generi confusione sulla tipologia di protezione accordata (art. 3 (2)).
Nella proposta sono introdotti a carico del richiedente alcuni obblighi: sostanziare la domanda fornendo tutti gli elementi a propria disposizione, cooperare con le autorità e restare sul territorio nel corso della procedura (art. 4 (1)).
La proposta impone agli Stati-membri l’obbligo di sottoporre lo status di rifugiato e di beneficiario della protezione sussidiaria a condizione risolutiva in caso di cessazione delle circostanze esistenti al momento del riconoscimento. Al riguardo, la facoltà di rivedere lo status di protezione, caduta in obsolescenza nella prassi di molti Stati membri, si trasforma in un vero e proprio obbligo di revisione al momento del rinnovo dei permessi, prima che si consolidi tramite l’acquisto dello status di lungo-soggiornante. La proposta obbliga le autorità nazionali a revocare, cessare o rifiutare il rinnovo dello status di protezione internazionale quando ne siano cessati i motivi o siano applicabili ex novo dei motivi di esclusione (articoli 14 (1) e 20 (1)), in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno previsto per i rifugiati e per i beneficiari di protezione sussidiaria (due i rinnovi previsti (articoli 15 (1) (a) e 21 (1) (b)).
In tale prima fase, il diritto d’asilo e alla protezione sussidiaria rischia di affievolirsi, confondendosi con la protezione temporanea il cui regime, peraltro, non è mai decollato nel diritto dell’Unione. In base ad una deriva rigorista, gli status di rifugiato e di beneficiario di protezione sussidiaria sarebbero così ulteriormente precarizzati. Ove gli status siano revocati, le persone interessate potrebbero comunque salvarsi dal rimpatrio nell’arco di un breve “periodo di grazia” (tre mesi), avvalendosi di altri motivi di soggiorno (permesso umanitario, di lavoro, blu card, ecc.). Su tale aspetto della riforma, il Parlamento europeo dovrebbe opporsi al fine di non peggiorare la situazione giuridica dei rifugiati e beneficiari di protezione internazionale il cui percorso di vita è già precario in sé.
Alcune proposte codificano la giurisprudenza della Corte di giustizia. In primo luogo, l’autorità nazionale accertante non può decidere sul presupposto che il richiedente si comporterà discretamente o si asterrà da pratiche inerenti la sua identità nel suo paese di origine, per evitare il rischio di persecuzione (art. 10 (3)) (v. sentenza della Corte del 7 novembre 2013, X, Y e Z). In secondo luogo, la commissione di alcuni reati, in particolare atti crudeli e terroristici anche se con motivazioni politiche, esclude la possibilità di riconoscimento dallo status di rifugiato (art. 12 (5)) (v. sentenza della Corte (grande sezione) del 9 novembre 2010, B e D). In terzo luogo, è possibile limitare la libertà di movimento dei beneficiari di protezione internazionale all’interno di uno Stato membro, ove necessario per la loro integrazione (art. 28 (2)) (v. sentenza della Corte (Grande Sezione) del 1º marzo 2016, Osso e Alo).
Per quanto riguarda i rapporti di famiglia (art. 25), la portata è estesa per includere i parenti stretti in forza dei rapporti di dipendenza con il richiedente che spesso si sono stabiliti nei campi-profughi a seguito del prolungato periodo di transito, dopo l’abbandono del paese di origine e prima dell’arrivo sul territorio degli Stati membri. Un considerando chiarisce che tali disposizioni costituiscono lex specialis rispetto alla direttiva sul ricongiungimento familiare.
Il Capitolo VII prevede il contenuto della protezione (disposizioni generali, diritti connessi all’integrazione e diritti connessi alla residenza). Alcune modifiche riguardano i documenti di soggiorno e di viaggio, così come la portata dell’accesso ai diritti, in particolare quelli a carattere sociale. Alcuni diritti, quali l’accesso al lavoro e alla sicurezza sociale sono collegati al permesso di soggiorno (art. 22 (3)).
3. Un aspetto positivo della riforma è il rafforzamento delle garanzie nel regolamento-procedure. Il diritto del richiedente a essere ascoltato comporta l’obbligatorietà del colloquio personale, con l’assistenza dell’interprete, nelle fasi dell’ammissibilità e di merito (art. 12 (1) (8)). L’intervista deve essere registrata e i consulenti legali avere accesso alla registrazione o alla trascrizione della stessa prima che l’autorità prenda una decisione (art. 13). I diritti all’assistenza legale gratuita e alla rappresentanza sono garantiti nello svolgimento di tutte le fasi della procedura salve poche eccezioni (art. 15 (1)). Il diritto a un effettivo ricorso comporta che il richiedente-asilo abbia il diritto di rimanere nel territorio fino al termine del primo livello di appello e, se del caso, in attesa dell’esito del ricorso (art. 54 (1)).
Un’altra importante garanzia è quella per i minori non-accompagnati ai quali deve essere assegnato prontamente un tutore (art. 22 (1)), che non deve avere la responsabilità di un numero troppo elevato di minori (art. 22 (4) primo comma). La sua attività è sottoposta a meccanismi di monitoraggio e alla verifica di eventuali reclami (ivi, secondo comma).
La priorità del regolamento-procedure è costituita dall’esame delle domande nel più breve iter complessivo; in particolare, le fasi della presentazione, registrazione, decisione e ricorso presentano scadenze più ravvicinate. La proposta di regolamento-procedure prevede che la procedura ordinaria amministrativa o quasi-giudiziale (di durata variabile oggi da Stato a Stato), abbia un termine massimo di sei mesi, rinnovabile per altri tre mesi (art. 34(2) e (3)). Tale durata può essere ulteriormente prolungata sino a quindici mesi, come nella direttiva in vigore, solo quando l’esame della domanda sia sospeso a causa del cambiamento di circostanze nel Paese d’origine del richiedente (art. 34 (5)).
La Commissione riconosce la difficoltà di rispettare termini così ridotti ma esalta il sostegno tecnico-operativo che può essere fornito dall’European Asylum Support Office (EASO) a uno Stato-membro in difficoltà. L’Agenzia dovrebbe intervenire in base a una misura di esecuzione della Commissione, anche in assenza di una richiesta dello Stato-membro in difficoltà, ove una pressione migratoria sproporzionata renda inefficace il suo sistema nazionale, così da danneggiare il funzionamento complessivo del sistema europeo (considerando (21)). È facile prevedere il rigetto di tale proposta da parte del Consiglio come accaduto per l’analogo tentativo di verticalizzazione dei rapporti Commissione/Stati membri nel controllo delle frontiere esterne in sede di adozione del regolamento dell’Agenzia della Guardia di frontiera (attuale Frontex).
La proposta disciplina in modo sistematico le procedure speciali (Sez. IV): esame accelerato (art. 41), di frontiera (art. 42) e per domanda reiterata (art. 43). Il trattamento della domanda con procedura accelerata diventa obbligatorio, mentre è oggi facoltativo (art. 31(8) direttiva-procedure), al verificarsi delle medesime circostanze già previste per l’inammissibilità prima facie (con l’aggiunta delle domande ai sensi del regolamento Dublino). Nei casi previsti, la decisione sull’ammissibilità della domanda (art. 36) deve essere presa in breve tempo e nell’arco di dieci giorni quando dipende dall’applicazione dei concetti di Paesi di primo asilo o di paese terzo sicuro, dietro verifica che i Paesi in parola siano disponibili a riprendere il richiedente (art. 34 (1) (2)).
I meccanismi del Paese di origine e del paese terzo sicuro si basano sulla presunzione iuris tantum che una protezione sufficiente sia già ottenibile dal richiedente (articoli 45 e 47) quando tali Paesi sono individuati nelle due liste comuni da allegare al regolamento-procedure e modificabili successivamente con specifiche procedure e garanzie (articoli 46 e 48). La lista comune dei Paesi di origine sicura ha assunto straordinaria priorità durante la crisi della rotta balcanica ed è pertanto già oggetto di una precedente proposta di regolamento che riguarda, per il momento, i cittadini di alcuni Paesi (Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia, oltre alla Turchia). La Commissione LIBE del Parlamento europeo ha espresso, il 7 luglio u.s., parere positivo su tale disciplina ma ha rinviato la decisione sui singoli Paesi da includere nella lista comune ad un approfondimento dell’EASO. Occorre dire che solo dodici Stati-membri dispongono al momento di liste nazionali (diversi i Paesi ivi inclusi). L’Italia non ha adottato alcuna lista nazionale e, in base ai Paesi inclusi sinora nella lista comune in discussione, avrebbe scarsi vantaggi nell’onere delle procedure perché l’origine prevalente dei richiedenti-asilo riguarda Paesi africani “insicuri”. In ogni caso, i due meccanismi in parola possono essere applicati solo a seguito di esame individuale comprendente un’intervista. Inoltre, il rigetto della domanda non genera un effetto sospensivo automatico del ricorso (art. 53 (2) (a)).
La procedura di frontiera, che può essere ugualmente applicata per esaminare la fondatezza della ricevibilità della domanda (nella maggior parte dei casi nello stato di detenzione del richiedente), continua invece ad avere carattere opzionale. Come previsto nella direttiva in vigore, se la decisione al riguardo non è adottata entro il termine di quattro settimane, il richiedente ha il diritto di entrare e rimanere sul territorio dello Stato-membro (art. 41).
Le procedure di esame accelerato e di frontiera non determinano un effetto sospensivo automatico della permanenza del richiedente sul territorio. Alle categorie vulnerabili di richiedenti (art. 19) e ai minori non-accompagnati (articoli 21 e 22), le due procedure in parola non dovrebbero in linea di principio essere applicabili, salvo che non sia possibile un supporto specifico adeguato (art. 19 (3)).
4. Nella proposta di rifusione di direttiva-accoglienza, un certo numero di disposizioni è stato modificato: la definizione di familiari, le esigenze particolari di accoglienza, l’accesso al mercato del lavoro, il diritto di informazione, di accoglienza e di garanzie in caso di detenzione. La proposta impone agli Stati membri di prendere in considerazione gli standard operativi e gli indicatori dell’EASO e prevede la possibilità di piani di emergenza. Essa introduce restrizioni alla libertà di movimento dei richiedenti.
La direttiva-accoglienza si applica al richiedente per il tempo in cui sia autorizzato a restare sul territorio dello Stato-membro competente. Nel caso in cui sia presente irregolarmente in un altro Stato membro diverso, non ha diritto a condizioni di accoglienza materiale a livello scolastico e di educazione dei minori, nonché all’occupazione e alla formazione professionale. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero offrire ai minori l’accesso alle attività didattiche idonee, in attesa del trasferimento verso lo Stato-membro competente. I richiedenti avranno comunque sempre il diritto di assistenza sanitaria e il diritto ad un tenore di vita dignitoso per coprire i bisogni di sussistenza e di sicurezza fisica, dignità e relazioni interpersonali (art. 17 a).
I richiedenti possono muoversi liberamente nel territorio dello Stato membro o in una zona assegnata all’interno da parte dello Stato membro (art. 7 (1)). Tuttavia, per motivi di interesse pubblico o di ordine pubblico, per la procedura ai sensi del regolamento Dublino, la proposta impone agli Stati membri di assegnare ai richiedenti la residenza in un luogo specifico. Tale decisione può essere necessaria in particolare nei casi in cui il richiedente non abbia rispettato gli obblighi previsti: non ha fatto domanda di protezione internazionale nello Stato membro di primo ingresso irregolare o legale o è fuggito da tale Stato membro e, senza autorizzazione, si è trasferito in un altro Stato membro; è stato rinviato allo Stato membro in cui è tenuto ad essere presente, dopo essersi nascosto in un altro Stato membro.
È stato aggiunto un motivo di detenzione nel caso in cui il richiedente non abbia rispettato l’obbligo di risiedere in un posto specifico, ove ci sia il rischio che il richiedente possa tentare la fuga (art. 8 (3) (c)). È stato specificamente dichiarato che il diritto alla parità di trattamento non dà luogo ad un diritto di soggiorno nei casi in cui la domanda dei richiedenti protezione internazionale venga respinta (art. 15 (3)).
La definizione di condizioni di accoglienza materiale è estesa a prodotti non-alimentari, quali l’assistenza sanitaria come già previsto in molti Stati membri (art. 2 (7)). Alloggio, cibo, vestiti e beni di prima necessità non possono essere ridotti o revocati, a differenza dell’indennità giornaliera che può, invece, in alcune circostanze, essere ridotta, e, in casi eccezionali debitamente giustificati, anche ritirata. Quando i beni non-alimentari sono forniti in forma di sussidi economici, possono essere in alcune circostanze conferiti in natura (art. 19 (1)). Sono state aggiunte quattro nuove circostanze nelle quali è legittimo ridimensionare la forma materiale di accoglienza: se il richiedente ha gravemente violato le regole del centro di accoglienza o si è comportato in modo gravemente violento; non ha rispettato l’obbligo di richiedere protezione internazionale nello Stato membro di primo ingresso irregolare o di ingresso legale; è stato ripreso in carico dopo il trasferimento in un altro Stato membro; non ha partecipato alle misure di integrazione obbligatoria (art. 19 (1)).
La proposta rende possibile limitare la parità di trattamento concernente la formazione e la formazione professionale all’istruzione e alla formazione direttamente collegate ad una specifica attività lavorativa. La proposta rende possibile limitare altresì la parità di trattamento in materia di prestazioni familiari e sussidi di disoccupazione.
5. Si collegano al Piano di azione sul tema dell’integrazione, i diritti relativi all’integrazione inseriti nella proposta di regolamento-qualifiche (Cap VII, Sez. III)). Apprezzabili appaiono le disposizioni per la proto-integrazione dei richiedenti-asilo, v. Caggiano, che da sola può ridurre il peso dell’assistenza sociale dello Stato-ospite, oltre che conferire dignità alle persone, soprattutto tramite l’accesso precoce al mercato del lavoro nella direttiva-accoglienza (modifiche agli articoli 15 (1) (2) e nuovo (3) che crea uno statuto del lavoro del richiedente-asilo).
La proposta riduce il termine per l’accesso al mercato del lavoro da nove a sei mesi dalla data in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata, se non è presa la decisione amministrativa secondo il regolamento-procedure. Un precoce accesso al mercato del lavoro contribuisce all’aumento delle prospettive d’integrazione per i richiedenti e riduce i costi di accoglienza, specie quando è probabile che la protezione internazionale venga concessa. La proposta consente agli Stati membri di concedere l’accesso al lavoro anche prima, quando la domanda è ben fondata ed ha priorità di esame.
Si prevede la sanzione del ritiro o riduzione delle condizioni materiali (art. 19 (2) (f) della direttiva-accoglienza) in caso di mancata partecipazione a misure d’integrazione che uno Stato-membro decida di rendere obbligatorie (art. 38 (2) del regolamento-qualifiche). L’obbligo di partecipazione a tali misure obbligatorie può essere imposto anche tramite la condizionalità all’accesso a talune prestazioni dell’assistenza sociale (art. 34 regolamento-qualifiche).
In conclusione si può dire che solo un sistema centralizzato o il mutuo riconoscimento delle decisioni delle Autorità nazionali avrebbe potuto agevolare veramente l’integrazione del richiedente nello Stato di preferenza o destino. Ma purtroppo gli sviluppi normativi vanno esattamente nella direzione opposta.
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