La Corte di giustizia si pronuncia sul requisito della condivisione degli oneri relativi agli aiuti di Stato alle banche: una “legittimazione” del bail-in?
Filippo Croci, Dottorando presso l’Università di Torino
Come è noto, per contrastare la crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Unione europea ed i suoi Stati membri a partire dal 2007, è stato necessario, in molti casi, introdurre modifiche alla disciplina vigente, o addirittura mettere in atto veri e propri “cambi di paradigma”. Un esempio emblematico, in tal senso, è costituito dal settore bancario e finanziario, che è stato oggetto, nel volgere di pochi anni, dapprima di specifiche deroghe alla normativa dell’Unione sugli aiuti di Stato e, successivamente, di una serie di riforme volte alla creazione di un’unione bancaria. Le prime sono state concesse dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE – che consente di considerare compatibili con il mercato interno «gli aiuti destinati […] a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro» – sulla scorta di varie comunicazioni (c.d. crisis communications), la più recente delle quali è la comunicazione relativa all’applicazione, dal 1° agosto 2013, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria (di seguito, la “comunicazione sul settore bancario” o la “comunicazione del 2013”). L’Unione bancaria, invece, è stata realizzata (rectius, è in corso di realizzazione) mediante l’adozione di atti di diritto derivato, con l’obiettivo di rendere il settore finanziario maggiormente solido, sicuro ed affidabile, anche attraverso la risoluzione delle banche economicamente non sostenibili, senza aggravi per le finanze pubbliche e con il minimo impatto sull’economia reale (il c.d. burden sharing, poi evoluto nel bail-in).
È in tale quadro che si inserisce la sentenza Kotnik e a. (di seguito, “Kotnik”), pronunciata il 19 luglio scorso dalla Corte di giustizia, su rinvio pregiudiziale promosso, per la prima volta, dalla Corte costituzionale slovena (Ustavno sodišče). I ricorrenti nel procedimento dinanzi a quest’ultima hanno messo in dubbio la legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge nazionale sul settore bancario, le quali, secondo quanto risulta dall’ordinanza di rinvio pregiudiziale, «mirano a trasporre nel diritto nazionale la comunicazione sul settore bancario, per consentire alle autorità nazionali di accordare alle imprese di tale settore aiuti compatibili con il mercato interno» (sentenza Kotnik, punto 29). La Corte costituzionale slovena ha dunque sottoposto alla Corte di giustizia diverse questioni pregiudiziali relative alla validità ed all’interpretazione di tale comunicazione, con particolare riguardo al requisito – previsto ai punti da 40 a 46 della stessa – del c.d. burden sharing (o condivisione degli oneri). Poiché esso presenta forti analogie con il meccanismo del bail-in, uno dei principi fondamentali dell’Unione bancaria, la pronuncia in commento fornisce spunti anche rispetto a taluni profili di quest’ultimo istituto, pur non rilevante, ratione temporis, nel caso di specie.
La Corte di giustizia si è espressa su tali questioni in un momento peculiare, caratterizzato da ampie discussioni sulla solidità del sistema bancario di alcuni Stati membri, Italia in primis, e da forti timori legati all’applicazione delle norme dell’Unione sulla risoluzione delle banche. In vari articoli di stampa pubblicati nei giorni immediatamente successivi alla sentenza Kotnik, tale pronuncia è stata letta come una “legittimazione” del bail-in, suscettibile di segnare un punto di svolta nelle trattative tra il governo italiano e la Commissione europea in merito al salvataggio del Monte dei Paschi di Siena (v., ad esempio, qui). Pare quindi opportuna una riflessione sulla portata effettiva della sentenza, dopo una breve rassegna delle principali analogie e differenze tra il requisito della condivisione degli oneri e il bail-in previsto nell’ambito dell’Unione bancaria.
Il burden sharing e il bail-in
La comunicazione sul settore bancario, adottata dalla Commissione il 10 luglio 2013, è la settima delle c.d. crisis communications (per l’elenco completo, v. qui e qui, sub “Financial sector”) e, inter alia, rafforza il criterio della condivisione degli oneri da parte degli azionisti e dei creditori subordinati delle banche, già contenuto – quantomeno in forma embrionale – nella comunicazione, del 23 luglio 2009, sul ripristino della redditività e la valutazione delle misure di ristrutturazione del settore finanziario nel contesto dell’attuale crisi in conformità alle norme sugli aiuti di Stato (spec. punto 22 ss.). In particolare, i punti da 40 a 46 della comunicazione del 2013 mirano a consentire interventi statali in favore di istituti bancari in difficoltà soltanto quando le perdite siano state assorbite, in prima battuta, dagli azionisti e dai detentori di capitale ibrido e di debito subordinato. Tale condizione (burden sharing o condivisione degli oneri) è generalmente ritenuta una tappa del progressivo passaggio dal bail-out – ossia l’intervento degli Stati per risollevare (letteralmente, “tirare fuori”) le banche dal dissesto – al bail-in. Quest’ultima espressione, coniata nel 2008 proprio in opposizione a bail-out (cfr. Sommer, p. 207; Presti, p. 340 s.), indica, per l’appunto, la priorità del “sacrificio” degli azionisti e degli obbligazionisti di una banca, rispetto agli interventi finanziati con risorse statali e, dunque, posti a carico della generalità dei contribuenti. In tal modo, il bail-in contribuisce a ridurre il moral hazard derivante dalla consapevolezza di poter beneficiare, in ogni caso, del sostegno pubblico, in applicazione del principio del c.d. too big to fail (ovvero del c.d. too interconnected to fail), così favorendo una maggior responsabilizzazione del management degli istituti bancari.
A seguito dell’adozione, nel contesto dell’Unione bancaria, della direttiva 2014/59/UE (di seguito, “BRRD”, acronimo di “Bank Recovery and Resolution Directive”) e del regolamento (UE) n. 806/2014 (di seguito, “regolamento SRM”, dall’acronimo di “Single Resolution Mechanism”), l’espressione bail-in non ha più soltanto il significato generale appena visto. Essa designa altresì specifiche categorie di misure previste dai predetti atti, segnatamente: (i) il bail-in propriamente detto, che rappresenta uno dei quattro strumenti di risoluzione contemplati dagli atti in questione (artt. 43-55 della BRRD; art. 27 del regolamento SRM); e (ii) il potere di svalutare o di convertire gli strumenti di capitale (artt. 59-62 della BRRD; art. 21 del regolamento SRM; amplius sulla distinzione in parola cfr. Wojcik, spec. p. 106 ss.).
Condizione fondamentale per l’applicabilità del bail-in nel quadro dell’Unione bancaria (artt. 34, par. 1, lett. g), e 73, lett. b), della BRRD; art. 15 del regolamento SRM), come già del burden sharing di cui alla comunicazione sul settore bancario (punto 46 della stessa), è il rispetto del principio del c.d. no creditor worse off. In base a tale principio, nessun creditore della banca deve sostenere perdite più ingenti di quelle che avrebbe sostenuto se essa fosse stata liquidata con procedura ordinaria di insolvenza, ovvero, per quanto riguarda la condivisione degli oneri, in caso di mancata concessione di aiuti di Stato.
Il burden sharing e il bail-in ai sensi della BRRD e del regolamento SRM, dunque, hanno numerosi tratti in comune, entrambi costituendo meccanismi di bail-in in senso ampio, e, sotto il profilo funzionale, sono sostanzialmente equivalenti, come rilevato dall’avvocato generale Wahl nelle conclusioni presentate il 18 febbraio 2016 nella causa Kotnik e a. (spec. nota 72; nello stesso senso cfr. Wojcik, cit., p. 105 s.). Occorre tuttavia segnalare due importanti differenze tra i criteri in parola. La prima, come è evidente, consiste nella diversa cornice normativa di riferimento: la condivisione degli oneri è una condizione posta da una comunicazione della Commissione, cioè da un atto di soft law o quanto meno atipico, nell’ambito della disciplina sugli aiuti di Stato; al contrario, il bail-in è un meccanismo previsto da tipici atti vincolanti, nel contesto dell’Unione bancaria. Correlati al differente quadro legale, diversi sono i soggetti cui spetta il potere di mettere in atto i due meccanismi: per la condivisione degli oneri, gli Stati membri, sotto il controllo (di compatibilità con il mercato interno) della Commissione europea; per il bail-in, alternativamente, il Comitato di risoluzione unico o le autorità nazionali di risoluzione (sul punto cfr., ad esempio, Alberti). Il secondo elemento di distinzione concerne l’ambito di applicazione, che per bail-in è maggiormente esteso, comprendendo non soltanto le azioni e le obbligazioni subordinate, ma altresì le obbligazioni ordinarie e i depositi di importo superiore a 100.000 euro, per la parte eccedente tale somma (i depositi di valore pari o inferiore alla predetta soglia, invece, sono sempre esclusi dal bail-in e sono coperti dai sistemi di garanzia dei depositi). Anche a causa di un così ampio raggio d’azione, l’attuazione del bail-in, non a caso posticipata di un anno rispetto al termine iniziale di applicazione della BRRD, è stata accompagnata da forti, e non sedate, polemiche (con riferimento all’Italia v., ad esempio, qui e qui; v. inoltre le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia sul 2015, spec. p. 14 s.).
Le principali questioni affrontate dalla Corte di giustizia nella sentenza Kotnik
Pronunciandosi sui sette quesiti pregiudiziali proposti dalla Corte costituzionale slovena, la Corte di giustizia ha chiarito diversi profili controversi in relazione alla comunicazione sul settore bancario ed ai suoi rapporti con vari principi e atti dell’Unione (tra i primi commenti alla sentenza Kotnik, cfr. Tosato).
Prima di procedere all’analisi del “merito” della causa, la Corte di Lussemburgo ha vagliato la ricevibilità del rinvio pregiudiziale. Sia la Commissione, sia il governo sloveno, infatti, avevano espresso dubbi sulla competenza della Corte a rispondere ai quesiti relativi ai punti da 40 a 46 della comunicazione del 2013, atteso che tale atto non sarebbe produttivo di effetti giuridici diretti nei confronti di terzi. Sul punto, la Corte si limita a rilevare che la causa Kotnik e a. riguarda la conformità, in relazione a varie disposizioni del diritto dell’Unione, della condizione di condivisione degli oneri, posta dalla Commissione ai fini della valutazione di compatibilità con il mercato interno – ex art. 107, par. 3, lett. b), TFUE – degli aiuti di Stato al settore bancario: «la validità di una simile condizione deve poter essere verificata» – afferma la Corte – nell’ambito del procedimento di rinvio pregiudiziale (sentenza Kotnik, punto 33). È nota, del resto, la tendenza della Corte ad interpretare estensivamente la portata dell’art. 267 TFUE, sub specie con riguardo alle categorie di atti che possono formare oggetto di una pronuncia pregiudiziale (come dimostra, da ultimo, la sentenza Gauweiler e a.; in precedenza, cfr., ad esempio, Grimaldi, spec. punti 7-9). Nel caso in commento, la scelta di procedere all’esame delle questioni pregiudiziali di validità proposte dal giudice del rinvio, ritenute ricevibili dalla Corte, conduce indubbiamente ad un rafforzamento del controllo giurisdizionale, anche in considerazione dell’impossibilità, per i ricorrenti nel procedimento nazionale, di contestare un atto quale la comunicazione sul settore bancario mediante ricorso per annullamento ex art. 263 TFUE.
L’efficacia giuridica della comunicazione sul settore bancario
Con il primo quesito pregiudiziale, la Corte costituzionale slovena ha chiesto alla Corte di giustizia se la comunicazione sul settore bancario abbia effetto vincolante nei confronti degli Stati membri che intendano porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia mediante aiuti di Stato in favore di istituti bancari.
La Corte di giustizia, in primo luogo, richiama la propria giurisprudenza secondo cui la Commissione, adottando orientamenti sui criteri di compatibilità di misure di aiuto previste dagli Stati membri, «si autolimita nell’esercizio [del suo] potere discrezionale e non può, in linea di principio, discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento» (sentenza Grecia c. Commissione, punto 69 s. e giurisprudenza ivi citata). L’effetto delle norme di comportamento in questione, così circoscritto, implica che la Commissione non possa rinunciare all’esercizio del potere discrezionale conferitole dall’art. 107, par. 3, TFUE, dovendo in ogni caso (i) esaminare le specifiche circostanze eccezionali invocate da uno Stato membro ai fini dell’applicazione diretta di una deroga prevista dalla predetta disposizione e (ii) motivare un eventuale rifiuto di accogliere una siffatta richiesta (sentenza Kotnik, punto 41).
In secondo luogo, con riferimento al caso di specie, la Corte osserva che il punto 45 della comunicazione sul settore bancario contempla espressamente la possibilità, per gli Stati membri, di derogare al requisito della condivisione degli oneri ove l’attuazione delle misure previste ai punti 43 e 44 della medesima comunicazione (essenzialmente, riduzione del debito subordinato e/o conversione dello stesso in capitale proprio) «metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati». Gli Stati membri conservano, quindi, «la facoltà di notificare alla Commissione progetti di aiuto di Stato che non soddisfano i criteri previsti da detta comunicazione e la Commissione può autorizzare progetti siffatti in circostanze eccezionali» (sentenza Kotnik, punto 43). Per tali ragioni, ad avviso della Corte, la comunicazione sul settore bancario non è idonea a creare obblighi autonomi in capo agli Stati membri.
Le predette considerazioni consentono alla Corte di rispondere anche al sesto quesito pregiudiziale, ossia se, nell’ipotesi in cui una banca non soddisfi i requisiti patrimoniali obbligatori previsti dalla normativa dell’Unione (e, dunque, il capitale non sia sufficiente ad assorbire le perdite), le misure di cui sopra – di riduzione o conversione del debito subordinato – siano un prerequisito per la concessione di aiuti o se possano essere applicate in misura proporzionale. La Corte, nel riaffermare la non obbligatorietà delle condizioni poste dalla comunicazione del 2013, e facendo salve le citate eccezioni di cui al punto 45 della stessa, precisa tuttavia che, qualora gli aiuti di Stato non siano limitati al minimo necessario (come richiede il punto 15 della comunicazione), «[l]o Stato membro, come le banche beneficiarie degli aiuti di Stato di cui trattasi, si assumono il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l’incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno» (sentenza Kotnik, punto 100).
La compatibilità del burden sharing con le norme primarie sugli aiuti di Stato
Quanto alla compatibilità dei punti da 40 a 46 della comunicazione sul settore bancario con gli artt. 107-109 TFUE, oggetto del secondo quesito pregiudiziale, la Corte di giustizia rileva innanzitutto che i servizi finanziari rivestono un ruolo centrale nell’economia dell’Unione, poiché costituiscono una fonte essenziale di finanziamento per le imprese; inoltre, il fatto che le banche siano spesso interconnesse, con conseguenti rischi di contagio in caso di difficoltà di una di esse, può comportare ricadute negative in altri settori dell’economia (sentenza Kotnik, punto 50). In tale contesto, il ricorso all’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE – su cui si fonda, come visto, la comunicazione sul settore bancario – è ancor più giustificato in considerazione degli sconvolgimenti che hanno colpito numerosi Stati membri nel corso della crisi (ivi, punto 51).
Con particolare riguardo alla condivisione degli oneri, la Corte afferma, sotto il profilo sostanziale, che tale requisito risulta ispirato alla duplice finalità di limitare al minimo necessario gli aiuti di Stato al settore bancario e di ridurre le distorsioni concorrenziali nel mercato interno, contribuendo altresì ad ovviare al problema del moral hazard (ivi, punti 54 e 58). Dal punto di vista procedurale, poi, l’adozione della comunicazione sul settore bancario non ha comportato uno sconfinamento, da parte della Commissione, nelle competenze attribuite al Consiglio dalle norme sugli aiuti di Stato. Infatti, la comunicazione del 2013, per un verso, non incide sul potere riconosciuto al Consiglio dall’art. 108, par. 2, comma 3, TFUE; per altro verso, non trattandosi di atto vincolante, essa non può costituire un regolamento ai sensi 109 TFUE (ivi, punto 59). Per tali ragioni, i punti da 40 a 46 della comunicazione del 2013 non contrastano con la normativa primaria sugli aiuti di Stato.
Il principio della tutela del legittimo affidamento e il diritto di proprietà
Con riferimento alla tutela del legittimo affidamento – principio generale del diritto dell’Unione – la Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza costante, tale principio può essere invocato soltanto da un soggetto che abbia ricevuto dalle competenti autorità dell’Unione «rassicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate ed affidabili» (sentenza Kotnik, punto 62 e giurisprudenza ivi citata). Non risulta che, nel caso di specie, siano state fornite agli azionisti, né ai creditori subordinati, simili rassicurazioni, non essendo rilevante, in tal senso, il fatto che questi ultimi non fossero stati chiamati a contribuire al salvataggio degli istituti bancari durante la prima fase della crisi. Nemmeno la mancata previsione di un periodo transitorio per l’applicazione del burden sharing, secondo la Corte, integra una violazione del legittimo affidamento degli azionisti e dei creditori subordinati, in considerazione dell’interesse pubblico inderogabile perseguito dalla Commissione (sentenza Kotnik, punto 68 e giurisprudenza ivi citata), ossia garantire la stabilità del sistema finanziario, evitando una spesa pubblica eccessiva e minimizzando le distorsioni concorrenziali.
Quanto poi alla compatibilità della condivisione degli oneri con il diritto di proprietà, garantito dall’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Corte fonda il suo ragionamento, ancora una volta, sull’efficacia non vincolante, per gli Stati membri, della comunicazione sul settore bancario. In particolare, poiché tale comunicazione non richiede forme o procedure particolari per l’adozione di misure di burden sharing, è ben possibile che queste ultime siano «adottate volontariamente dagli azionisti, attraverso un accordo tra l’istituto di credito interessato e i creditori subordinati, il che non può essere considerato come un’ingerenza nel loro diritto di proprietà» (sentenza Kotnik, punto 72).
Se per gli azionisti non si pongono particolari criticità, essendo pacifico che tali soggetti assumono in toto il rischio dei propri investimenti, maggiori problemi potrebbero sorgere con riferimento ai creditori subordinati. Tuttavia, la Corte “promuove” la condivisione degli oneri anche sotto questo profilo, atteso che, da un lato, i predetti creditori contribuiscono a ridurre la carenza di capitale, ai sensi della comunicazione sul settore bancario, solo una volta che le perdite siano state in primo luogo assorbite dal capitale e soltanto se non vi sono altre possibilità; dall’altro lato, il punto 46 della comunicazione pone, in riferimento a tali soggetti, il citato principio del c.d. no creditor worse off (sentenza Kotnik, punto 77). Pertanto, conclude la Corte, le misure di burden sharing non possono comportare, per il diritto di proprietà dei creditori subordinati, un pregiudizio che essi non avrebbero subito in caso di fallimento della banca.
Conclusione… o inizio di una nuova saga giudiziaria sulla legittimità del bail-in?
La sentenza Kotnik costituisce un’importante conferma della gestione degli aiuti di Stato alle banche, nel corso degli ultimi anni, da parte della Commissione europea (in merito alla quale sia consentito rinviare a questo contributo); peraltro, non tutti i passaggi del ragionamento svolto dalla Corte di giustizia appaiono pienamente convincenti.
In primo luogo, dalla lettura della pronuncia emerge come la “legittimazione” del burden sharing da parte della Corte derivi, per molti aspetti, dalla risposta data al primo quesito pregiudiziale, relativo alla vincolatività della comunicazione sul settore bancario. Non essendo possibile approfondire, in questa sede, il problema dell’efficacia giuridica degli atti di soft law adottati dalla Commissione, ci si limita ad osservare come la sentenza in commento non sembri in grado di superare le rilevanti ambiguità che da sempre connotano tale tema. Ancorché non formalmente vincolanti per gli Stati membri, le comunicazioni della Commissione, di fatto, spesso condizionano notevolmente gli interventi di questi ultimi, come è dimostrato, nel caso di specie, dalla circostanza che le norme nazionali controverse siano state adottate, come si è visto, al fine di «trasporre nell’ordinamento nazionale la comunicazione sul settore bancario» (sentenza Kotnik, punto 29). Se è vero che nessun obbligo di recepimento era previsto (ovviamente) in capo agli Stati membri, è nondimeno singolare – anche in considerazione della tradizionale ritrosia degli Stati membri nella corretta e tempestiva trasposizione degli atti “comunitari” – che la Slovenia abbia ritenuto di procedere sostanzialmente in tal senso, rendendo vincolanti, ai sensi del diritto interno, previsioni che non lo erano secondo il diritto dell’Unione.
Con riguardo, poi, alla compatibilità del burden sharing con il diritto di proprietà, l’analisi della Corte – nonostante l’importante valorizzazione del principio del c.d. no creditor worse off – pare piuttosto sintetica (anche rispetto alle riflessioni svolte, in proposito, dall’avvocato generale Wahl nelle conclusioni: cfr. punti 71-92), alla luce del fatto che la questione dei rapporti tra tale diritto e misure adottate nei confronti delle banche è stata oggetto, recentemente, di significative pronunce.
Ad esempio, la Corte costituzionale austriaca (Verfassungsgerichtshof), con sentenza del 3 – 28 luglio 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa nazionale adottata per la riorganizzazione dell’istituto bancario Hypo Alpe Adria. Tale normativa, peraltro, si distingueva dalla disciplina dettata dalla BRRD e dal regolamento SRM, in quanto: (i) differenziava le posizioni dei creditori subordinati sulla scorta del mero dato temporale relativo alla scadenza dei rispettivi crediti, così introducendo un’irragionevole disparità di trattamento; e (ii) non contemplava il principio del c.d. no creditor worse off (amplius, tra i vari contributi, cfr. Guizzi, Il bail-in nel nuovo sistema di risoluzione delle crisi bancarie. Quale lezione da Vienna?, in Corriere giuridico, 2015, p. 1485 ss.).
La Corte europea dei diritti dell’uomo, invece, nel caso Grainger and others v. United Kingdom ha ritenuto inammissibile il ricorso con cui alcuni azionisti della banca inglese Northern Rock avevano chiesto che fosse loro riconosciuto un indennizzo, ai sensi dell’art. 1, Protocollo 1, CEDU, a seguito della nazionalizzazione di tale istituto. In particolare, la Corte di Strasburgo ha attribuito rilevanza alle eccezionali ragioni di interesse generale poste alla base dell’intervento del legislatore nel caso di specie, nell’ottica di scongiurare il moral hazard (punto 42 della decisione).
Al di là della soluzione che sarà individuata, nel caso Kotnik, dalla Corte costituzionale slovena, è probabile che nuovi ricorsi saranno proposti non soltanto in merito al burden sharing, ma soprattutto avverso misure di bail-in adottate nel quadro dell’Unione bancaria (gli aiuti di Stato alle banche dovrebbero essere, nel nuovo contesto normativo, sempre più rari: sul punto, cfr. Nicolaides). In proposito, con riguardo all’ordinamento italiano, è stato posto in rilievo il potenziale contrasto tra il bail-in e taluni principi costituzionali, tra i quali la tutela del risparmio garantita dall’art. 47 della Costituzione (v., ad esempio, qui), a motivo dell’impatto di tale strumento sui depositi bancari.
Varie questioni, dunque, restano aperte, anche in ragione delle menzionate differenze tra burden sharing e bail-in e della conseguente impossibilità di applicare (integralmente) a quest’ultimo l’interpretazione fatta propria dalla Corte di giustizia nella sentenza Kotnik. Sotto questo profilo, non è certo condivisibile la tendenza – emersa, come si è anticipato, in alcuni commenti “a caldo” – ad una lettura, per così dire, strumentale della pronuncia, vista come una legittimazione tout court del bail-in previsto nell’ambito dell’Unione bancaria, ovvero come un’apertura all’esigenza di erogare aiuti pubblici alle banche in dissesto ottenendo deroghe alla disciplina posta dalla BRRD e dal regolamento SRM. Ciò, con tutta evidenza, è ben lontano da quanto affermato nella sentenza Kotnik dalla Corte di giustizia, che auspicabilmente avrà modo, in futuro, di pronunciarsi anche su tali aspetti.
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