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Riflessioni su proto-integrazione dei richiedenti asilo e diversità culturali

Giandonato Caggiano, Università Roma Tre

 

1. Per effetto dell’afflusso di massa degli ultimi mesi, il tema dell’integrazione in relazione ai nuovi arrivi di richiedenti asilo e rifugiati rappresenta una delle priorità del dibattito europeo. Ciò riguarda soprattutto alcuni Stati membri, come la Germania, la Svezia e l’Austria, che ne hanno accolto il maggior numero. Nel totale dei ventotto Stati membri, il trend dei richiedenti asilo è in continua ascesa in contemporanea con il blocco quasi totale dei flussi per motivi di lavoro (per un’aggiornata analisi qualitativa e quantitativa, v. DG for Economic and Financial Affairs, An Economic Take on the Refugee Crisis, 7.6.2016).

La risposta europea alla crisi è stata caotica e divisiva fra gli Stati membri, caratterizzata da controversie sulla condivisione di responsabilità della gestione dei flussi migratori e sul “rinvio” dei richiedenti asilo verso i paesi vicini dei Balcani e della Turchia (Paesi terzi “sicuri”). La tanto attesa proposta della Commissione europea di riforma del regolamento Dublino perpetua l’approccio intergovernativo nel metodo asimmetrico negli oneri a svantaggio dei Paesi di “primo approdo”, salvo l’inserimento di una chiave di redistribuzione/ricollocazione in casi di emergenza (COM(2016) 270 final, 4.5.2016 su cui v. per un primo commento Di Filippo in questo Blog).

La questione dell’integrazione degli stranieri deve essere affrontata, ripartendo dai principi generali, dal diritto derivato sull’immigrazione legale e dal pacchetto-asilo (CEAS), dalla soft law e dall’utilizzo dei fondi dell’Unione. Tra le incertezze politiche, che pongono in crisi il progetto stesso dell’Unione europea, torna il dibattito su vitalità e cogenza dei suoi valori, soprattutto dello stato di diritto, dei diritti fondamentali, dei principi di non discriminazione, tolleranza e solidarietà verso le persone vulnerabili quali sono i rifugiati. L’attuazione dei diritti fondamentali, l’accesso al lavoro e al welfare rappresentano lo strumento principale di integrazione verso una tendenziale e progressiva parità di trattamento con i cittadini nazionali (equo trattamento). In ogni caso, il riconoscimento dei diritti non si traduce in una automatica disponibilità e accesso ai beni e ai servizi a cui hanno accesso i cittadini dell’Unione (per l’analisi e l’inquadramento della questione dell’integrazione si rinvia a Caggiano, p. 27 ss.).

Una tesi condivisibile sostiene che, in termini di rischi di stabilità socio-economica o di spreco delle potenzialità umane ed economiche, il costo della “non-integrazione” potrebbe essere molto più alto delle politiche di integrazione dei nuovi arrivati, altrimenti destinati ad una prospettiva di marginalizzazione anziché a divenire motore di crescita nelle società accoglienti. La necessità di una governance europea dei flussi migratori presuppone l’attuazione e la riforma del diritto sovranazionale dell’immigrazione e dell’asilo. Al contrario, l’adozione di politiche nazionali e l’approccio intergovernativo rendono più difficile il processo decisionale europeo, soprattutto ove esse non siano coerenti con i valori fondamentali e il principio di solidarietà dell’Unione (come ad esempio nel caso dell’estensione dell’attesa per il ricongiungimento familiare, la modifica delle condizioni di accoglienza per i minori non accompagnati e il respingimento alle frontiere, tramite muri e leggi penali, senza la possibilità di sottoporre una domanda di asilo).

Sull’integrazione specifica dei richiedenti asilo e dei beneficiari di protezione internazionale, nel contesto dell’integrazione dei cittadini degli Stati terzi, meritano di essere segnalate alcune prese di posizione e iniziative istituzionali dell’Unione: il Secondo dialogo sulla rule of law del Consiglio Affari generali del 24.5.2016 dedicato ai flussi migratori e il documento della Commissione europea sul Piano d’azione per l’integrazione dei cittadini dei Paesi terzi (COM(2016) 377 final, 7.6.2016), che prende in rassegna le potenzialità dei Fondi europei e le indicazioni del Semestre europeo.Significativa anche la visione olistica del Parlamento europeo nel parere di propria iniziativa, Risoluzione del 12 aprile 2016 sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione (par. 44).

Il tema della diversità culturale e dell’immigrazione in una società aperta resterà di estrema attualità nei prossimi anni. Anche un gruppo di docenti e ricercatori di diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea intende farne occasione di comune lavoro, insieme a tutti i colleghi interessati, all’interno dei Gruppi di interesse della SIDI su “Diversità culturale” e “Diritto delle migrazioni e dell’asilo”. L’oggetto della riflessione comune è rappresentato dal punto di bilanciamento, in una società aperta, tra la salvaguardia della diversità culturale e l’affermazione dei diritti riconosciuti a ogni individuo in quanto tale (diversità culturale e diritti indisponibili), nonché dai limiti (eventualmente) posti all’affermazione e alla tutela della diversità culturale di individui e gruppi (per un inquadramento e i riferimenti bibliografici di base si rinvia a: Campiglio, p. 1029 ss., oltre che ai numerosi contributi, in Cataldi, Grado). Su vari aspetti della tematica si è tenuto di recente un importante dibattito fra qualificati studiosi all’Istituto universitario europeo (International Conference, EUI: The Multicultural Question in a Mobile World, April 7-8, 2016).

 

2. La base giuridica specifica per l’integrazione (art. 79, par. 4, TFUE) permette di adottare misure volte a incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Com’è noto, si tratta di una competenza di sostegno completamento e coordinamento dell’Unione, mentre la competenza principale in materia appartiene agli Stati membri.

I vecchi e nuovi migranti irregolari sono invece esclusi da ogni forma di integrazione e, secondo gli atti recenti dell’Unione europea, gli “illegali” recentemente arrivati dovrebbero essere oggetto esclusivamente di misure di rimpatrio. Si dimentica però che gli Stati membri conservano la piena sovranità sui flussi di ingresso (art. 79, par. 5, TFUE) e possono, secondo la direttiva “rimpatri” (2008/115/CE), regolarizzare e quindi “integrare” anche coloro che sono entrati in maniera irregolare sul loro territorio (art. 5, par. 4: «In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio»).

La facoltà degli Stati membri di sottoporre i migranti regolari al rispetto delle misure nazionali di integrazione è prevista nella direttiva 2003/109/CE sui lungo-soggiornanti (art. 5, par. 2; v. sentenza della Corte di giustizia del 4 giugno 2015, P e S, causa C‑579/13 e Nicolosi, D’Alfonso), e nella direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare (art. 7, par. 2, co. 1; v. sentenze del 10 luglio 2014, Naime Dogan, causa C-138/13 e del 9 luglio 2015, K e A, causa C-153/14, e Ippolito).

Anche l’ordinamento italiano (D.P.R. 14 settembre 2011, n. 179, Regolamento concernente la disciplina dell’accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato, entrato in vigore il 10 marzo 2012) prevede la firma di un accordo da parte dell’immigrato legale che si impegna a completare, entro due anni, un determinato numero di attività qualificate come positive evitando comportamenti qualificati come negativi (secondo un meccanismo di crediti/debiti che ricorda la “patente a punti”). L’azzeramento dei crediti comporta la revoca del titolo di soggiorno e la conseguente espulsione, ma non ci risulta che vi sia stato un solo caso giurisdizionale al riguardo. Ne risulta il carattere puramente “ordinatorio” e propagandistico del meccanismo in parola, che meriterebbe di essere abrogato per gli innumerevoli profili di incostituzionalità.

I richiedenti asilo appena arrivati si confrontano con problemi specifici, come i postumi dai traumi subiti, la mancanza di documentazione (compresa quella relativa alle qualifiche professionali), ma anche le barriere culturali e linguistiche e le difficoltà in materia di istruzione e alloggio a fronte di standard minimi di tutela (previsti nel secondo pacchetto-asilo). Durante la procedura di riconoscimento si realizza spesso un lungo periodo di inattività, non mitigato dalla facoltà di accesso al mercato del lavoro che non offre loro opportunità (legali). Pertanto, almeno per i nuovi richiedenti asilo (con elevata probabilità di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato o di beneficiario di protezione internazionale), sarebbe auspicabile la creazione di una “corsia normativa ed operativa” di integrazione precoce (early integration o proto-integrazione) e accelerata (fast-track). Questa prospettiva non è stata approfondita negli atti più recenti dell’Unione, dopo una prima iniziale posizione favorevole dei servizi della Commissione (v. DG Migration and Home Affairs, in una presentazione alle organizzazioni della società civile, alle autorità locali e regionali e altri stakeholder, riportata da Ryngbeck, 23 marzo 2016).

Nell’interesse reciproco dello sviluppo delle potenzialità e della dignità di persone destinate a soggiornare un lungo periodo nelle società di accoglienza, l’approccio favorevole alla proto-integrazione dovrebbe essere opportunamente realizzato tramite la prevista adozione di nuovi regolamenti sul diritto d’asilo. La Commissione si propone di uniformare tali regole (COM(2016) 197 final, 6.4.2016, Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa). In caso di prevedibili contrasti a tale processo legislativo, le esigenze di proto-integrazione potrebbero comunque essere sviluppate, a legislazione europea invariata, nelle politiche degli Stati membri più consapevoli e sensibili, anche con l’innalzamento degli standard minimi di accoglienza previsti a livello europeo. Infatti, il sistema europeo dell’asilo è caratterizzato da differenze sostanziali fra gli ordinamenti degli Stati membri, che, insieme a motivazioni culturali e familiari, incoraggiano i movimenti secondari dei rifugiati e la loro “ritrosia” alla registrazione-dati nel primo Paese di ingresso.

L’armonizzazione minimale attuale riguarda la fase di attesa dell’esito delle domande presentate (secondo la direttiva “accoglienza” 2013/33/UE: scolarizzazione e istruzione dei minori ex art. 14, accesso al lavoro entro un massimo di nove mesi ex art. 15, accesso alla formazione professionale ex art. 16, condizioni materiali di accoglienza e assistenza sanitaria ex art. 17) e la fase successiva al riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione internazionale (secondo la direttiva “qualifiche” 2011/95/UE: accesso agli strumenti specifici di integrazione ex art. 34: «Al fine di facilitare l’integrazione dei beneficiari di protezione internazionale nella società, gli Stati membri garantiscono l’accesso ai programmi d’integrazione che considerano adeguati, in modo da tenere conto delle esigenze particolari dei beneficiari dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, o creano i presupposti che garantiscono l’accesso a tali programmi»; accesso all’occupazione ex art. 26, accesso all’istruzione ex art. 27, riconoscimento delle qualifiche professionali ex art. 28, assistenza sociale ex art. 29, assistenza sanitaria ex art. 30, alloggi e altre condizioni speciali dei minori non accompagnati ex art. 31, accesso all’alloggio ex art. 32).

Soprattutto nella direttiva “qualifiche”, la ratio delle norme in parola è ben chiara nel considerando 45 («Per scongiurare soprattutto il disagio sociale, è opportuno offrire ai beneficiari di protezione internazionale assistenza sociale e mezzi di sostentamento adeguati, senza discriminazioni in materia di servizi sociali […] La possibilità di limitare tale assistenza alle prestazioni essenziali deve intendersi nel senso che queste ultime comprendono almeno un sostegno di reddito minimo, l’assistenza in caso di malattia o di gravidanza e l’assistenza parentale, nella misura in cui le medesime prestazioni siano offerte ai cittadini conformemente al diritto nazionale») e nel considerando 47 («I programmi di integrazione rivolti ai beneficiari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria dovrebbero tenere conto, per quanto possibile, delle particolari esigenze e delle specificità della situazione degli interessati, ivi inclusa ove opportuno, l’offerta di una formazione linguistica e di informazioni sui diritti e sugli obblighi individuali connessi allo status di protezione riconosciuto nello Stato membro in questione»).

Gli standard minimi di accoglienza potrebbero essere rafforzati nella loro attuazione nazionale per intraprendere al più presto il processo di integrazione.

 

3. Non è qui possibile approfondire il contenuto dei Principi fondamentali comuni della politica di integrazione degli immigrati nell’Unione europea (adottati dal Consiglio e dai rappresentanti dei governi degli Stati membri, Doc. 14615/04, 2618ª Sessione del Consiglio Giustizia e affari interni, 19 novembre 2004) e della comunicazione della Commissione del 20 luglio 2011 sull’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi.

Basti ricordare alcuni considerando delle Conclusioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri sull’integrazione dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti legalmente nell’Unione europea (Consiglio Giustizia e interni del 5-6 giugno 2014 che approva il Doc. 9905/1/14 Rev. 1, 26 maggio 2014). In particolare: considerando 1:«le misure di integrazione rientrano nella competenza degli Stati membri e riflettono e tengono in conto i loro bisogni, la loro storia e il loro quadro giuridico. Tali misure devono essere attuate in conformità dell’acquis dell’UE»; e considerando 3: «L’integrazione è un processo dinamico e bidirezionale di adeguamento reciproco da parte di tutti i migranti e tutti i residenti degli Stati membri. Tale processo richiede sforzi da parte sia dei migranti sia delle società di accoglienza ed è essenziale per sfruttare le potenzialità della migrazione e migliorare la coesione sociale».

Nello stesso atto si ritrova il “nucleo duro” del Progetto europeo: «la diversità è una caratteristica arricchente e permanente delle società europee, di cui i migranti costituiscono una parte essenziale. Tutti i residenti negli Stati membri dell’UE dovrebbero rispettare la diversità nonché i valori fondamentali su cui si fondano le società europee, quali i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto». Si ritrova anche per intero la filosofia dell’azione da portare avanti in questa difficile fase: «i) dovrebbero essere compiuti ulteriori sforzi per trovare un approccio più equilibrato per salvaguardare i valori fondamentali su cui si fondano le società europee, combattere i pregiudizi e rispettare la diversità al fine di rafforzare la tolleranza e la non discriminazione nelle società europee; ii) La cooperazione volontaria tra Paesi di accoglienza e Paesi di origine in una fase precedente la partenza potrebbe facilitare l’accoglienza e l’integrazione a livello nazionale, regionale e locale; iii) un approccio globale e olistico all’integrazione presuppone, tra l’altro, politiche e misure di accoglienza efficaci che rispondano ai bisogni specifici sia dei singoli sia dei diversi gruppi di migranti, che sono a maggior rischio di esclusione sociale, compresi i beneficiari di protezione internazionale; iv) gli Stati membri dell’UE sono incoraggiati a coinvolgere il settore privato negli sforzi volti a rispettare la diversità, a rafforzare la non discriminazione sul luogo di lavoro e a collaborare strettamente con le parti sociali e la società civile».

Significativa la posizione del Parlamento europeo nella Risoluzione del 12 aprile, al par. 44: «mette in rilievo che gli Stati membri ospitanti devono offrire ai rifugiati sostegno e opportunità di integrarsi e costruirsi un futuro nella loro nuova società; osserva che ciò dovrebbe includere necessariamente l’alloggio, corsi di alfabetizzazione e di lingua, il dialogo interculturale, l’istruzione e la formazione professionale come pure l’accesso effettivo alle strutture democratiche della società, come previsto nella direttiva qualifiche; fa presente che i rifugiati, esattamente come i cittadini dell’Unione, hanno diritti e doveri negli Stati membri di accoglienza; sottolinea pertanto che l’integrazione è un processo bidirezionale e che il rispetto dei valori su cui è costruita l’Unione deve essere parte integrante del processo d’integrazione, così come deve esserlo il rispetto dei diritti fondamentali dei rifugiati».

Il secondo dialogo annuale del Consiglio Affari generali sulla “rule of law” del 24 maggio 2016 è stato dedicato alle sfide che i flussi migratori creano per il rispetto dei valori fondamentali dell’Unione europea (art. 2 TUE) da parte degli Stati membri per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati e da parte di quest’ultimi a livello individuale nell’ambito delle società di accoglienza. Secondo il Consiglio: «The rule of law is one of the fundamental values of the European Union and a cornerstone of European cooperation […] The significant inflows of refugees are without doubt a test to these values. But only by respecting these values ourselves and ensuring their respect by those who come to us we will be able to overcome the migration challenge and successfully integrate refugees in our societies».

Per meglio comprendere il contesto politico-giuridico della posizionedel Consiglio occorre riferirsi brevemente all’High Level Seminar on the Topic of EU Fundamental Values, Immigration and Integration (seminario preparatorio del dialogo organizzato dalla Presidenza olandese tenutosi a Strasburgo, il 2 febbraio 2016). I suoi risultati sono riportati in un documento (non paper) che sintetizza, nella forma di un resoconto sommario, il dibattito attuale in materia (Doc. 8774/16, Annex EU Fundamental Values, Immigration and Integration: A Shared Responsibility, 13 May 2016). Il rapporto si concentra su un certo numero di temi: il problema dell’integrazione tra responsabilità comune e solidarietà di tutti gli Stati membri; la reciproca relazione fra valori e diritti; l’intreccio delle sfide della migrazione. Vale la pena di sintetizzare alcune delle numerose affermazioni giuridicamente rilevanti del non-paper in parola. Ecco le principali. I valori dello Stato di diritto e i diritti fondamentali sono elementi costitutivi dell’identità europea. La reciprocità fra condivisione dei valori e godimento dei diritti fondamentali è elemento determinante nel processo a lungo termine per l’integrazione dei migranti. Gli Stati membri hanno il dovere di rispettare i valori fondamentali dell’Unione europea e i diritti per l’accoglienza e l’integrazione. La comprensione e la sottoscrizione di questi valori fondamentali da parte di rifugiati e migranti è un elemento essenziale della partecipazione alla società di accoglienza. Il concetto di responsabilità nel rapporto bilaterale dell’integrazione serve anche per la narrazione del fenomeno e la costruzione del sostegno dell’opinione pubblica. Tutti hanno il diritto di partecipare alla vita sociale, ma occorre che condividano i valori europei. Quando l’autodeterminazione individuale è in conflitto con l’autodeterminazione di un gruppo, la reciprocità può diventare un problema. Certo gli standard della Carta dei diritti fondamentali e della CEDU sintetizzano quanto ci si attende dai nuovi arrivati nelle società europee. La Carta sancisce i diritti coinvolti nel processo di integrazione di migranti e rifugiati, tra cui la libertà di espressione e di religione, nonché il diritto alla parità e alla non discriminazione.

 

4. La comunicazione della Commissione del 7 giugno 2016 (COM(2016) 377 final, Action Plan on the Integration of Third Country Nationals) presenta un quadro politico-strategico che individua orientamenti e misure di sostegno operativo e finanziario dell’Unione europea alle politiche degli Stati membri.

Sul piano delle definizioni e dei principi, la comunicazione ribadisce: «This dynamic two-way process on integration means not only expecting third-country nationals to embrace EU fundamental values and learn the host language but also offering them meaningful opportunities to participate in the economy and society of the Member State where they settle […] Actively contributing and being allowed to contribute to the political, cultural and social life is at least as important to creating a sense of belonging and feeling fully anchored in the host society and to building socio-economically thriving societies. Developing welcoming, diverse and inclusive societies is a process that needs the engagement both of the third country nationals and of the receiving society. The promotion of intercultural dialogue, including interreligious dialogue between faith communities, of respect for human rights, and of European values is essential» (ivi, p. 5).

Le politiche d’integrazione dei cittadini di Paesi terzi restano una competenza nazionale, ma molti Stati membri si trovano ad affrontare sfide analoghe. Le azioni proposte riguardano aree cruciali, quali: le misure d’integrazione che precedono la partenza e l’arrivo, in particolare per le persone reinsediate con evidente bisogno di protezione internazionale; l’istruzione, l’occupazione e la formazione professionale; l’accesso ai servizi di base; la partecipazione attiva e l’inclusione sociale. Nelle loro politiche di integrazione, gli Stati membri sono invitati a predisporre un fast-track per l’integrazione veloce nel mercato del lavoro dei cittadini di Paesi terzi appena arrivati, per esempio attraverso la valutazione precoce delle competenze e delle qualifiche, il linguaggio combinato e la formazione on-the-job, orientamenti specifici e mentoring (COM(2016) 377 final, par. 7). Nel quadro dell’Agenda per le nuove competenze per l’Europa. Lavorare insieme per rafforzare il capitale umano, l’occupabilità e la competitività (COM(2016) 381/2 – di prossima pubblicazione), la Commissione sosterrà l’integrazione nel mercato del lavoro anche con vari strumenti volti a migliorare le competenze dei migranti e a riconoscere e mettere a profitto le qualifiche di cui sono già in possesso.

 

5. La Commissione prevede invece un approccio più strategico e coordinato all’uso dei fondi UE a sostegno delle misure d’integrazione nazionali. Nel contesto europeo (v. ad es. COM(2015) 240 final, 13.5.2015, Agenda sull’immigrazione dell’Unione europea) l’accento viene posto sui finanziamenti del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF), del FESR e del FSE (delle cui risorse almeno il 20% è destinato nel periodo di programmazione 2014-2020 a misure per l’inclusione sociale, ivi compresa l’integrazione dei migranti in particolare dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei minori). Le iniziative degli Stati membri interessate dai finanziamenti riguardano le competenze linguistiche e professionali, l’accesso ai servizi e l’accesso al mercato del lavoro, un’istruzione inclusiva e scambi interculturali, e campagne di sensibilizzazione rivolte sia alle comunità di accoglienza che ai migranti (per un quadro riassuntivo sul mercato di lavoro per i rifugiati, v. Kraatz,Dimova; id.).

La questione dell’integrazione non riguarda più soltanto l’utilizzo dei fondi strutturali, ma anche il sistema di supervisione macroeconomica delle economie nazionali. Nel contesto della strategia Europa 2020 e del Semestre europeo, gli esiti dell’integrazione dei cittadini di Paesi terzi sono analizzati nel contesto delle relazioni e delle raccomandazioni specifiche per Paese, con particolare attenzione alla integrazione nel mercato del lavoro, e la formazione, al fine di promuovere una migliore inclusione sociale(COM(2016) 95 final/2, 7.4.2016, Semestre europeo 2016: valutazione dei progressi in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici e risultati degli esami approfonditi a norma del regolamento (UE) n. 1176/2011). In particolare, nell’obiettivo Proseguire le riforme strutturali per modernizzare le economie, Occupazione e politica sociale, la questione è trattata al par. 5.2: «L’integrazione efficace dei migranti e dei rifugiati in alcuni Stati membri richiede un’attenzione particolare. L’arrivo massiccio di migranti e rifugiati nel corso dell’ultimo anno costituisce un’importante sfida per numerosi Stati membri e per l’UE, ma è anche un’opportunità, in particolare per gli Stati membri che stanno vivendo cambiamenti demografici […] Un’integrazione efficace richiede, tra l’altro, una valutazione precoce delle competenze, un rapido riconoscimento delle qualifiche e una formazione linguistica appropriata al fine di garantire un accesso tempestivo ed efficace al mercato del lavoro, all’assistenza sanitaria e al mercato degli alloggi. Data la quota elevata di bambini e giovani (circa il 26%), i sistemi di istruzione, in particolare, devono adattarsi rapidamente e offrire specifici programmi per lo sviluppo di competenze generali e linguistiche. Anche un’integrazione proficua delle donne richiede particolare attenzione».

 

6. Dopo gli eventi di Colonia e l’avanzata dei partiti anti-stranieri, il dibattito sull’integrazione degli stranieri e sull’impatto della diversità di culture (secondo alcuni: lo “scontro di culture”) è diventato ancora più urgente a livello istituzionale per la creazione di una “società aperta” che tenga ancora conto di valori e obiettivi dell’integrazione europea. Molti decisori politici pongono in discussione gli effetti positivi della diversità culturale e alcuni commentatori si domandano se la promozione della coesione sociale ponga limiti all’esistenza della diversità culturale tra migranti e maggioranza della società di accoglienza.

La progressiva stabilizzazione dei migranti nei paesi di immigrazione determina la convivenza fra soggetti portatori di culture diverse (multiculturalismo polietnico), che dovrebbero cercare un modello di proficua interazione e convivenza. In estrema sintesi, mentre il modello assimilazionista si riferisce all’eguaglianza formale e alla neutralità dello Stato di fronte alle differenze culturali (modello francese), il modello multi-culturalista (inglese) privilegia il principio dell’eguaglianza sostanziale che giustifica trattamenti differenziati o azioni positive a favore di una minoranza. In linea di principio, tali modelli di riferimento dovrebbero rispecchiarsi in differenti politiche: la prima a carattere unidirezionale delle minoranze di migranti verso la maggioranza; la seconda di reciproco adattamento fra le minoranze costituite dai migranti e la maggioranza dei cittadini autoctoni.

Nella letteratura filosofica e politologica si contrappongono la posizione liberale sulla neutralità dello Stato rispetto alle due concezioni etico-privata e comunitarista. La dottrina liberale pone l’accento sulla richiesta di riconoscimento delle identità dei singoli e delle comunità di migranti, portatori di propri valori culturali, anche se è ovvio che la nozione stessa di “identità” ha carattere dinamico nell’ambito di un fenomeno di continua “ibridizzazione”. Al modello liberale si contrappone il “modello comunitarista” di integrazione, che valorizza il popolo come un’unità identificata da valori e stili di vita comuni rispetto ai quali deve esserci l’adesione dello straniero. Significative appaiono le criticità che tale modello comporta: l’esasperato approfondimento della storia e della cultura nazionale; l’affermazione indiscussa di pratiche che in realtà appaiono problematiche nella stessa società nazionale; l’esaltazione dei comportamenti di carattere tradizionale, l’identificazione fra radicalismo religioso e minaccia all’ordine pubblico e alle libertà costituzionali. Soprattutto, occorre osservare come un processo di integrazione che abbia per obiettivo l’assimilazione del migrante può porsi nelle sue modalità di attuazione in contrasto con principi e diritti costituzionali, quali il pluralismo, il diritto al libero sviluppo della personalità e alla vita privata e familiare, la libertà religiosa e di espressione.

Nello sviluppo del liberalismo democratico, il filosofo québécois Charles Taylor ritiene possibile considerare al contempo la richiesta di riconoscimento dell’eguale dignità delle persone e della specifica identità dei singoli e dei gruppi. Alla tutela dei diritti soggettivi possono essere associati trattamenti diversi per gruppi specifici che tengano conto delle loro diversità culturali. Tale apertura, secondo Jürgen Habermas, è possibile se nello Stato liberale assume un ruolo rilevante il processo democratico di formazione delle deliberazioni collettive. È proprio nello spazio della discussione pubblica democratica che le richieste di riconoscimento possono essere condivise nell’ambito di una cultura civica e costituzionale. In questo senso, il “patriottismo costituzionale” potrebbe subentrare al “collante” del nazionalismo quale fondamento dell’integrazione in società nazionali sempre più differenziate. Questo fenomeno dovrebbe assumere la forma dell’approvazione/accettazione dei principi costituzionali dello Stato di diritto da parte del migrante (integrazione costituzionale), ma non comportare acculturazione e adozione di mentalità, pratiche e abitudini della cultura (assimilazione etico-culturale). Rilevante al riguardo la distinzione tra consenso sui valori sostanziali e consenso sulle procedure: l’integrazione si realizzerebbe nelle società complesse proprio tramite il consenso sulla legittimità delle procedure di produzione giuridica edi esercizio del potere pubblico. L’universalismo dei principi giuridici si rifletterebbe così in un consenso procedurale che condurrebbe successivamente ad un’attuazione concreta secondo la cultura politica nazionale in uno specifico momento storico. Si segnala che il saggio di Taylor sulla politica del riconoscimento associata al multiculturalismo è riproposto con commento di Habermas. Infine, in questo breve compendio del dibattito in materia, vale la pena segnalare Zagrebelsky che ha differenziato l’integrazione, implicante «l’omologazione alla cultura dominante e ai suoi “valori”» dall’interazione, «aperta all’evoluzione e alle reciproche influenze, in vista di un orizzonte umano comune» (p. 124 ss.).

Proprio i cambiamenti nella composizione delle società per effetto dell’immigrazione sono alla base di una nuova teoria dei diritti della maggioranza di Orgad, che si autodefinisce una teoria liberale. Negli ultimi anni, le liberal-democrazie avrebbero introdotto politiche di immigrazione e di naturalizzazione che riconoscono il diritto delle minoranze di mantenere la loro identità culturale, mentre i gruppi maggioritari non avrebbero avuto bisogno di un diritto simile né preteso una base morale per una analoga tutela. La tesi in rapida ascesa anche quale supporto al montante nazionalismo sostiene che i tentativi della maggioranza di proteggere gli elementi essenziali della propria cultura non rappresenti un abbandono delle loro tradizioni liberali, o una convergenza verso il nazionalismo estremo.Sul volume si è comunque svolto un interessante dibattito sul Verfassungblog con contributi di Joppke, Kaufmann, Fletcher, Yakobson, Hansen, Blokker, Owen, Abraham, Dumbrava.

In conclusione, la gestione equilibrata del possibile conflitto tra diritti umani universali e identità culturali costituisce un aspetto qualificante della legittimazione democratica dello Stato democratico-pluralista. In una società aperta, il rapporto della maggioranza autoctona con i migranti è basato sul rispetto dei diritti universali e sul principio di non discriminazione per razza, religione e sesso: «La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali differenti, e magari contrastanti. Ma, pena la sua autodissoluzione, non di tutti: la società aperta è chiusa solo agli intolleranti. E fonte privilegiata dell’intolleranza è la presunzione fatale di credersi possessori di una verità assoluta, dell’unico valore, di essere nel diritto, e di avere il dovere, di imporre questa verità e questo valore» (Popper, dalla IV di copertina).

Negli ordinamenti costituzionali degli Stati occidentali, la diversità culturale poggia sull’eguaglianza dei diritti, ma i valori costituzionali non sono eticamente neutri. Peraltro, il pluralismo culturale e religioso originato dai flussi migratori e dei rifugiati presenta aspetti diversi dal pluralismo costituzionale classico concepito per le dinamiche “interne” della società nazionale.

 

7. Una postilla sull’evoluzione normativa a livello nazionale. A seguito della recente crisi dei flussi migratori sulla rotta balcanica, la questione dell’accoglienza dei nuovi arrivati e dell’integrazione ha assunto un rilievo di grande attualità e urgenza per la Germania, che ha cambiato le regole per il diritto d’asilo a partire dal 23 ottobre 2015 (Asylverfahrensbeschleunigungsgesetz, BGBl. 2015 I S. 1722).

Tra le misure, ci sono l’accelerazione delle procedure d’esame delle richieste di asilo, il prolungamento della permanenza nei centri di accoglienza da tre a sei mesi (l’iter di una richiesta dura in media cinque), la possibilità di contratti di lavoro temporaneo già dopo tre mesi dall’arrivo, l’organizzazione di corsi di lingua e cultura nei centri di accoglienza.

Il Governo tedesco ha poi sottoposto al Parlamento il 24 maggio 2016, la proposta di legge sull’integrazione dei richiedenti asilo edei titolari della protezione internazionale, creando un rapporto soggettivo fra stato e migranti (fördern und fordern, vale a dire promuovere i diritti e pretendere i doveri). La proposta afferma che l’integrazione deve basarsi sul lavoro e individua canali “privilegiati” di accesso al lavoro e alla formazione professionale con l’obiettivo di raggiungere centomila posti di lavoro. Notevoli gli investimenti per misure connesse all’apprendimento della lingua tedesca ed alla conoscenza degli orientamenti civici e culturali. Il mancato impegno degli stranieri per raggiungere le condizioni minime di integrazione porterebbe automaticamente alla perdita del permesso di soggiorno e delle relative prestazioni sociali.

Che si possano e si debbano trovare soluzioni bilanciate tra oneri dello Stato ospite e diritti dei beneficiari di protezione internazionale che percepiscano un aiuto sociale, lo ha statuito anche la Corte di giustizia nella sentenza del 1° marzo 2016, Alo e Osso (cause riunite C-443/14 e C-444/14) La Corte ha ritenuto compatibile con il diritto comunitario la previsione legislativa sull’imposizione di limiti alla circolazione sul territorio tedesco, proprio bilanciando le forme della migliore integrazione in base ad una localizzazione diffusa di tali persone.

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Giandonato Caggiano

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