Il diritto alla protezione della salute nella Carta sociale europea
Giuseppe Palmisano, Istituto di Studi Giuridici Internazionali (ISGI – CNR)
Sul piano “regionale” europeo la tutela del diritto alla salute, pur passando per la CEDU (articoli 2, 3 e 8 della Convenzione) e la Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché per la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 35), trova il suo spazio più esteso e privilegiato nel sistema – spesso trascurato – della Carta sociale europea, che sin dal 1961 contempla una disposizione dedicata espressamente al «Diritto alla protezione della salute» (Articolo 11).
L’Articolo 11 della Carta sociale merita attenzione sia in se stesso, in quanto definisce gli obblighi degli Stati che si sono impegnati a rispettare il diritto alla salute (ossia 42 dei 43 Stati parti della Carta; l’Armenia è l’unico Stato parte a non aver accettato l’Articolo 11), sia perché nell’interpretare e applicare tale articolo il Comitato europeo dei diritti sociali – l’organo di controllo della Carta sociale – ha progressivamente individuato e chiarito i contenuti concreti e le implicazioni dell’obbligo di garantire la salute, ed anche il valore e la portata giuridica di quest’obbligo. Ciò è avvenuto nel contesto sia della valutazione da parte del Comitato dei rapporti presentati periodicamente dagli Stati, sia dell’esame e della decisione di alcuni «reclami collettivi» presentati contro gli Stati per violazione dell’Articolo 11.
Nella Parte I della Carta sociale, gli Stati parti hanno innanzitutto riconosciuto che «everyone has the right to benefit from any measures enabling him to enjoy the highest possible standard of health attainable». Nell’Articolo 11 essi si sono poi impegnati ad «assicurare l’esercizio effettivo» di questo diritto mediante l’adozione di misure adeguate «designed inter alia: 1. to remove as far as possible the causes of ill-health [in francese, «les causes d’une santé déficiente»]; 2. to provide advisory and educational facilities for the promotion of health and the encouragement of individual responsibility in matters of health; 3. to prevent as far as possible epidemic, endemic and other diseases, as well as accidents».
Pertanto, come risulta dal testo dell’Articolo 11 e come ha notato il Comitato europeo dei diritti sociali (Conclusions 2005, Statement of Interpretation on Article 11), l’adempimento dell’obbligo di rispettare il diritto alla protezione della salute richiede essenzialmente l’adozione di misure positive (di carattere legislativo, amministrativo, formativo e tecnico-sanitario) idonee a raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla disposizione.
Alcuni dei contenuti possibili e delle caratteristiche di tali misure meritano di essere evidenziati.
L’adozione di misure volte a rimuovere le cause di una salute deficitaria è stata intesa dal Comitato dei diritti sociali principalmente nel senso dell’obbligo per gli Stati di garantire, a tutti quelli che ne hanno necessità, l’accessibilità e la sostenibilità economica delle cure sanitarie. La mancanza di risorse economiche non deve costituire un impedimento a tale accesso; di conseguenza gli Stati europei avrebbero, ai sensi della Carta sociale, l’obbligo di garantire l’accesso alle cure sanitarie senza costi a chi non dispone di risorse economiche. Questo implica che i costi delle cure sanitarie debbano essere sostenuti, almeno in parte, dalla comunità statale.
Accessibilità significa anche obbligo per gli Stati di garantire che l’organizzazione del sistema sanitario non determini ritardi indebiti negli interventi sanitari e la somministrazione delle cure, tali da causare rischi di peggioramento della salute. Per questo, gli Stati hanno l’obbligo di garantire, ad esempio, che la gestione delle liste e dei tempi di attesa delle cure sanitarie sia sempre tale da assicurare cure tempestive ed adeguate.
È in questa prospettiva che vanno inquadrate, tra le altre, due recenti decisioni del Comitato riguardanti gli interventi sanitari di interruzione di gravidanza in Italia, in presenza di un numero molto alto di medici e sanitari “obiettori di coscienza”. Secondo il Comitato, «once States introduce statutory provisions allowing abortion in some situations, they are obliged to organise their health service system in such a way as to ensure that the effective exercise of freedom of conscience by health professionals in a professional context does not prevent patients from obtaining access to services to which they are legally entitled under the applicable legislation» (IPPF EN v. Italy, complaint n. 87/2012, § 69, e CGIL v. Italy, complaint n. 91/2013, §§ 166-167) .
L’obbligo di adottare misure volte a rimuovere le cause di una salute deficitaria, affinché ogni persona possa godere del miglior stato di salute possibile, implica inoltre che gli Stati sono impegnati a garantire che i rispettivi sistemi sanitari siano in grado di rispondere in modo adeguato (tenuto conto delle conoscenze esistenti) ai «rischi sanitari evitabili», ossia a quei rischi «that can be controlled by human action» (v. ad es. Conclusions XV-2, 2001, Denmark).
In questa prospettiva, e in ragione della connessione crescente operata dagli Stati e dalle istanze internazionali tra la protezione della salute ed un ambiente sano, il Comitato considera che tra i rischi evitabili debbano essere inclusi quelli derivanti dalle “minacce ambientali”, e che l’Articolo 11 comprenda quindi il diritto ad un ambiente sano (Marangopoulos Foundation for Human Rights (MFHR) v. Greece, complaint n°30/2005, §§ 194-195 e 202).
Tale diritto, come parte di quello alla protezione della salute, è stato affermato e valorizzato soprattutto con riferimento al paragrafo 3 dell’Art.11, che obbliga gli Stati all’adozione delle misure necessarie per prevenire malattie epidemiche, endemiche o di altro genere. Nell’ambito di quest’obbligo si è dunque fatta rientrare l’adozione di misure atte ad evitare o ridurre i rischi legati all’amianto, quelli legati alla radioattività per le comunità viventi nelle vicinanze di centrali nucleari, i c.d. rischi alimentari, oltre che – ovviamente – quelli derivanti dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua.
Riferendosi appunto all’obbligo di controllare e ridurre l’inquinamento, il Comitato ha avuto modo di precisare i concetti di “realizzazione progressiva” di tale obbligo e di “protezione effettiva” del diritto (sociale) alla salute. Esso ha infatti riconosciuto che «overcoming pollution is an objective that can only be achieved gradually. Nevertheless, States party must strive to attain this objective within a reasonable time, by showing measurable progress and making best possible use of the resources at their disposal. The Committee assesses the efforts made by States with reference to their national legislation and regulations and undertakings entered into with regard to the European Union and the United Nations, and in terms of how the relevant law is applied in practice» (MFHR v. Greece, cit., § 203). E ricordando che l’attuazione della Carta sociale richiede agli Stati non solo di adottare «legal action», ma anche «practical action» e «operational procedures» «to give full effect to the rights recognised in the Charter», ha chiarito come l’obbligo di garantire un ambiente sano implichi, ad esempio, che gli Stati parti adottino «specific steps, such as modifying equipment, introducing threshold values for emissions and measuring air quality, to prevent air pollution at local level» (Conclusions 2009, Georgia), e che essi assicurino altresì l’attuazione delle norme e degli standard ambientali mediante meccanismi di controllo effettivi ed efficaci, che siano sufficientemente dissuasivi e abbiano un’incidenza reale sulle emissioni inquinanti (MFHR v. Greece, cit., §§ 203, 209, 210, 215).
In questo senso proprio la mancanza di controlli effettivi, in un caso di inquinamento derivante dallo sfruttamento di miniere di lignite, è stata individuata dal Comitato dei diritti sociali come idonea in sé stessa a determinare la violazione del diritto alla protezione della salute delle persone viventi nell’area delle miniere (ibid., §§ 215-221).
Da ultimo, è importante rilevare come il Comitato abbia riconosciuto nell’obbligo di tutelare il diritto alla salute un valore giuridico speciale e per così dire “rafforzato”. La cura della salute costituisce infatti, secondo il Comitato, una precondizione essenziale alla preservazione della dignità umana (FIDH v. France, Complaint n. 14/2003, § 31) ed è strettamente complementare alla tutela del diritto fondamentale alla vita e al divieto di trattamenti inumani e degradanti (Conclusions 2005, Statement of Interpretation on Article 11).
Da ciò il Comitato ha coraggiosamente dedotto che, in deroga all’Annesso alla Carta sociale (che purtroppo obbliga gli Stati ad applicare la Carta agli stranieri nel solo caso di «nationals of other Parties lawfully resident or working regularly within the territory of the Party concerned»), il diritto di accesso alle cure sanitarie debba essere garantito anche a quelle persone – come ad es. i migranti c.d. irregolari o gli stranieri non europei, ivi compresi ovviamente i minori stranieri non accompagnati – che non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della Carta.
Precisamente, secondo il Comitato: «the restriction of the personal scope included in the Appendix should not be read in such a way as to deprive foreigners coming within the category of unlawfully present migrants of the protection of the most basic rights enshrined in the Charter or to impair their fundamental rights such as the right to life or to physical integrity or the right to human dignity»; e «not considering the States Parties to be bound to comply with the requirement to protect health in the case of foreign minors unlawfully present in their territory and, in particular, with the requirement to ensure access to health care would mean not securing their right to the preservation of human dignity and exposing the children and young persons concerned to serious threats to their lives and physical integrity» (Defence for Children International v. Belgium, Complaint n. 69/2011, §§ 102 e 28).
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