L’Italia e il sovraffollamento carcerario: verso la soluzione del problema?
Claudia Morini, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Occasioni per riflettere
Sebbene nel nostro Paese quello del sovraffollamento carcerario sia un problema grave ed attuale, l’Italia è solo uno dei moltissimi Paesi al Mondo nei quali il numero delle persone detenute supera la capacità massima di quelle che potrebbero essere accolte nelle strutture penitenziarie: il sovraffollamento tocca infatti picchi del 100 % e addirittura del 200% in circa 92 Paesi. In proposito, il 15 agosto 2015 l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite ha presentato il suo Rapporto annuale su Human rights implications of overincarceration and overcrowding nel quale, da un lato, mette in evidenza le violazioni dei diritti umani connesse al problema del sovraffollamento carcerario e, dall’altro lato, cerca di indicare approcci e misure che possano permettere agli Stati, e dunque anche all’Italia, di cercare di risolverlo.
Lo scorso 17 dicembre, poi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una nuova versione delle Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners, oggi ribattezzate Mandela Rules (UN-Doc A/Res/70/175). Sin dalla loro adozione il 30 agosto 1955, esse hanno costituito un importante punto di riferimento per tutti gli Stati e sono ancora oggi un fondamentale parametro per l’attività di monitoraggio e ispezione per il trattamento dei detenuti. A sessant’anni dalla loro adozione si è sentita la necessità di rivederle radicalmente in quanto ormai ritenute superate da nuovi standard in materia di diritti umani e giustizia penale e da rinnovate buone prassi adottate nel settore delle metodologie correzionali. Le modifiche più incisive hanno riguardato le cure mediche per i detenuti, le indagini in caso di morte del detenuto, le misure disciplinari adottate nelle carceri, la necessità di ‘professionalizzare’ lo staff che lavora all’interno dei penitenziari e la questione delle ispezioni indipendenti. Per la prima volta, invece, è stata introdotta in uno strumento internazionale, seppur non vincolante, una limitazione all’uso del regime di isolamento nonché indicazioni sul ricorso alle perquisizioni sui detenuti, prevedendo forti limitazioni per quelle maggiormente ‘invasive’. Anche al tema del sovraffollamento sono ovviamente dedicate alcune ‘regole’: in proposito rileva particolarmente la sezione dedicata agli Alloggi (regole 12-17).
Malgrado la rilevanza degli atti sin qui indicati, non c’è dubbio che è la Corte europea dei diritti dell’uomo a contribuire in modo determinante a tracciare il percorso del legislatore italiano. E invero, dopo la sentenza Torreggiani e altri c. Italia dell’8 gennaio 2013 (diventata definitiva il 27 maggio 2013) – con la quale l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 della Convenzione europea, con l’ulteriore accertamento della Corte in ordine al carattere strutturale del problema del sovraffollamento carcerario – l’Italia ha proceduto a mettere mano con maggiore efficacia al sistema carcerario. E anzi, per la prima volta, gli interventi italiani sono stati indicati come modello in due recenti sentenze pilota (v. Neshkov c. Bulgaria, parr. 282 e 286 e Varga v. Hungary, par. 105).
L’Italia e l’esecuzione della sentenza Torreggiani
In fase di monitoraggio dell’esecuzione della sentenza Torreggiani, il 15 giugno 2014 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva dichiarato il suo apprezzamento per le misure adottate dall’Italia sino a quel momento, invitando contestualmente il nostro Paese a continuare sul percorso intrapreso. Il termine per l’esecuzione veniva inoltre posticipato di un anno (giugno 2015). Nella successiva seduta del dicembre 2014, il Comitato, apprezzando l’ulteriore stato di avanzamento dell’esecuzione, decideva di posticipare ulteriormente la decisione finale sull’attuazione della sentenza al dicembre 2015: l’Italia, dunque, entro il 1° dicembre 2015 doveva presentare ulteriori dati che mostrassero il consolidamento del trend positivo già raggiunto.
Così, il 20 novembre scorso, le autorità italiane hanno presentato un nuovo piano d’azione (Action report (20/11/2015) – Communication from Italy concerning the case of Torreggiani and others against Italy), facendo seguito al piano di azione del 27 novembre 2013, nel quale erano state indicate misure preventive e compensative da mettere in atto per ottemperare a quanto richiesto dalla Corte al fine di porre termine alla violazione strutturale dell’art. 3 derivante dalla condizione dei detenuti nelle nostre carceri.
In sintesi, per quanto riguarda le misure di tipo legislativo, nel 2013 il Governo aveva indicato la riduzione dei flussi di detenuti attraverso la depenalizzazione di alcuni reati minori – da ultimo, lo scorso 15 gennaio nel corso del Consiglio dei ministri n. 100 è stato approvato lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’art. 2, comma 2, della I. 28 aprile 2014, n. 67” che prevede la depenalizzazione, tra l’altro, della guida senza patente e dell’uso della cannabis a scopo terapeutico – e l’incremento del ricorso a sanzioni e misure di stampo ‘restaurativo’. Ulteriori interventi riguardavano le strutture carcerarie e prevedevano la ristrutturazione e l’ampliamento di quelle esistenti. Ancora, il Governo aveva previsto sistemi di detenzione ‘aperti’ per quei detenuti destinatari di misure di sicurezza classificabili come di lieve o di media entità, affinché le celle potessero tornare ad essere luoghi usati esclusivamente per il riposo e non in cui essere costretti a trascorrere l’intera giornata.
Quanto alle misure preventive individuate, invece, esse possono essere ricondotte a quattro categorie: un’autorità giudiziaria incaricata di porre fine a quelle situazioni che potrebbero assurgere a una violazione dell’art. 3 della Convenzione; la possibilità di ottenere una decisione giudiziaria qualora le misure sopra previste non fossero attuate correttamente; la creazione di un sistema di monitoraggio informatico sulla situazione di ogni detenuto per quanto riguarda tutti gli aspetti della sua permanenza in carcere; infine, l’istituzione di un sistema interno e indipendente di monitoraggio sui luoghi di privazione della libertà personale, in ottemperanza a quanto previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (OPCAT, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 2002, entrato in vigore nel giugno del 2006; l’Italia ha firmato il Protocollo in data 20 agosto 2003 e lo ha ratificato con la l. 9 novembre 2012, n. 195 – deposito strumento ratifica in data 3 aprile 2013), il cui art. 3 prevede che «[c]iascuno Stato Parte istituirà, nominerà e manterrà operativo a livello nazionale uno o più organismi con poteri di visita per la prevenzione della tortura e delle altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti». In proposito, con una nota del 28 aprile 2014 il nostro Governo aveva comunicato che il meccanismo nazionale italiano di prevenzione sarebbe stato costituito dal sistema di garanti locali, coordinati da un Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, da nominarsi.
Da ultimo, per quanto concerne le misure di tipo ‘compensativo’ in favore di coloro i quali avessero sofferto di una violazione dei diritti loro garantiti in virtù della Convenzione, nel Report del 2013 si prevedeva che esse dovessero, da un lato, contemplare e riconoscere l’avvenuta violazione e, dall’altro, ammettere non solo una compensazione di natura economica ma, possibilmente, anche misure consistenti in specifici benefici dal punto di vista della detenzione, quali ad esempio sconti di pena.
La bontà di quei primi interventi posti in essere dall’Italia è stata confermata già prima della presentazione dell’Action report dello scorso novembre, dalle dichiarazioni di irricevibilità del 16 settembre 2014 di due gruppi di ricorsi in materia di sovraffollamento e cattive condizioni di vita dei detenuti (ricorsi Stella e altri c. Italia e Rexhepi e altri c. Italia): la Corte le ha motivate adducendo che attualmente l’ordinamento italiano prevede misure sia di tipo preventivo che compensativo per far fronte alla situazione del sovraffollamento.
I nuovi provvedimenti adottati
Dati alla mano, il nostro Governo nell’ultimo rapporto ha dimostrato di aver raggiunto importanti risultati nell’arco di un lasso temporale abbastanza breve: non solo si sta assistendo a una diminuzione del numero dei detenuti, ma contestualmente si sta riducendo anche il numero dei nuovi ingressi nelle carceri. In aumento, inoltre, anche i casi di utilizzo di strumenti quali la c.d. ‘messa alla prova’ e il braccialetto elettronico. Anche la situazione dei detenuti in attesa di giudizio appare in miglioramento. A fronte di una loro diminuzione si registra invero un aumento della percentuale di detenuti che scontano una sentenza di condanna (v. le tabelle inserite nell’Action report del 2015).
Unitamente alla questione del numero di detenuti, il problema del sovraffollamento è strettamente connesso anche alle strutture carcerarie. L’approccio adottato dal nostro Paese per farvi fronte è stato, però, quello di intervenire prevalentemente sulla diminuzione del numero delle persone in stato di detenzione invece che sull’incremento del numero dei luoghi di detenzione. Laddove si è deciso di intervenire sulle strutture, si è optato per la ristrutturazione e l’ammodernamento di quelle esistenti, al fine di adeguarle a quanto previsto dagli standard internazionali. Si è poi deciso per la chiusura di quelle più fatiscenti o poco funzionali. Nelle nostre carceri nessun detenuto occupa attualmente uno spazio inferiore ai tre metri quadri.
Come enunciato nell’art. 27 della nostra Costituzione la pena deve tendere alla rieducazione del condannato: la riabilitazione è dunque, al pari della sua funzione retributiva, un aspetto strutturale e imprescindibile della pena (sul riconoscimento del valore centrale della dignità umana nel quadro dello scopo della pena v. Chenal). Proprio per rendere concreto il dettato costituzionale, il nostro Governo si è impegnato su più fronti affinché i detenuti possano vivere il carcere come vera occasione di redenzione e riscatto sociale. Sono infatti state incrementate le ore che i detenuti condannati per reati meno gravi possono trascorrere fuori dalle celle per svolgere attività di vario genere, sia ricreative sia formative o lavorative. Anche l’importante aspetto delle relazioni con i propri congiunti è stato affrontato: da un lato sono state incrementate le occasioni di visita, dall’altro sono state introdotte nuove modalità per restare in contatto con i propri cari, come la possibilità di poterli raggiungere anche con un collegamento Skype. Sono stati inoltre notevolmente incrementati i luoghi dedicati ai minori che si recano in carcere per visitare un proprio caro e quelli dedicati ad attività culturali (biblioteche) e sportive.
Qualora, nonostante gli sforzi profusi, un detenuto ritenga che la situazione in cui si trovi o si sia trovato a scontare la pena possa assurgere a una violazione dell’art. 3 della Convenzione, il nostro Governo ha approvato un decreto legge, poi convertito nella L. n. 117 dell’11 agosto 2014, con il quale viene introdotto nella legge 26 luglio 1975, n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, il nuovo art. 35 ter, un’importante misura di tipo compensativo (che si affianca a quella di tipo preventivo prevista con il procedimento di reclamo ex art. 35 bis) basata su un duplice meccanismo di sconto di pena (un giorno per ogni dieci giorni di accertata violazione qualora si siano spesi almeno quindici giorni in una situazione pregiudizievole) e, laddove ciò non sia possibile perché la pena è già stata integralmente scontata, su una compensazione pecuniaria (otto euro per ogni giorno di sconto di pena non goduto).
L’applicazione di queste misure, sia preventive (il procedimento di reclamo previsto dall’art. 35 bis) sia soprattutto compensative, non sarà però scevra da difficoltà, tanto è vero che la stessa Corte europea, nella decisione di irricevibilità sul caso Stella e altri c. Italia, si è riservata di pronunciarsi su eventuali doglianze qualora i due meccanismi non si rivelino poi di fatto efficaci (par. 54 e 62).
Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Infine, oltre alle novità sopra richiamate, una nuova misura adottata dalle autorità italiane riguarda l’attività di verifica e di monitoraggio delle condizioni detentive nel nostro Paese: si tratta dell’avvenuta istituzione, con il d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, del già menzionato Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Il Ministero della Giustizia, con decreto 11 marzo 2015, n. 36, entrato in vigore il 15 aprile 2015, ha poi approvato il Regolamento recante la struttura e la composizione dell’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (GU Serie Generale n.75 del 31-3-2015). Da ultimo, nella seduta della Camera dei deputati del 1° ottobre 2015, in seno alla Commissione Giustizia, è stato dato parere favorevole alla nomina della persona individuata per ricoprire tale ruolo, il prof. Mauro Palma, che dovrà ora essere ufficialmente nominato dal Presidente della Repubblica.
L’importanza dell’istituzione del Garante nazionale nell’ottica dell’adempimento di obblighi internazionali da parte del nostro Paese rileva anche alla luce della stretta cooperazione prevista tra tale organo di sorveglianza interno e le autorità internazionali istituite con analoghe finalità, previste dalle Regole penitenziarie del 2006 adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Inoltre, le autorità di vigilanza interne, prima fra tutte proprio il Garante di nuova istituzione, possono poi svolgere un ruolo di utile veicolo di informazioni periodiche nei confronti del Comitato istituito dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti, del 27 novembre 1987, organo chiamato a visitare, con accesso illimitato e libertà di comunicazione, i luoghi di detenzione dei diversi Stati membri per verificare le condizioni di trattamento delle persone private della libertà e inviare successivamente un rapporto al Governo dello Stato interessato con invito a fornire risposte dettagliate a eventuali raccomandazioni o commenti (http://www.cpt.coe.int).
Per quanto riguarda il nostro Paese, la prossima visita è prevista proprio per il 2016 e sarà dunque possibile testare a stretto giro sia il peso che tale nuova figura potrà avere in materia di tutela dei diritti dei detenuti, sia più in generale lo stato del rispetto dei diritti dei detenuti in Italia (in proposito si segnala questa Comunicazione, depositata lo scorso 2 dicembre presso il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa in vista della riunione del prossimo marzo, con la quale si criticano alcune delle misure adottate nel nostro Paese, ritenendole inadeguate a risolvere il problema della violazione strutturale dell’art. 3 Cedu).
Gli Stati generali dell’esecuzione penale: un nuovo inizio?
Tutti i provvedimenti ad oggi messi in atto nel nostro Paese partono dal presupposto di una riconcettualizzazione della nozione di pena o meglio, come già rilevato, di un ritorno alle origini costituzionali delle sue finalità. Come ogni ‘rivoluzione culturale’, anche in questo ambito un ruolo centrale deve essere svolto dalla società civile oltre che dagli operatori direttamente coinvolti nelle diverse attività.
A tal fine il Governo italiano ha avviato il 19 maggio 2015 un percorso di sei mesi, denominato Stati generali dell’esecuzione penale, con lo scopo di definire concretamente un nuovo modello di esecuzione penale e una differente fisionomia del sistema carcerario che sia più dignitoso sia per chi vi lavora sia per i detenuti.
L’impianto di questa iniziativa è consistito nell’istituzione di 18 tavoli tematici, idealmente luoghi di studio e confronto. I temi sono i più vari: si va dall’architettura carceraria all’educazione e sport, dalla vita detentiva alla territorializzazione della pena, dalle donne e i minori in carcere al lavoro, dalla salute alle misure di sicurezza, dalle misure di comunità, dalla mediazione e da altre misure di stampo ‘riparativo’ alla formazione del personale, dal processo di reinserimento all’organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale.
Il progetto è stato molto ambizioso, ma si dovrà attendere ancora per valutarne i frutti. Sarà in particolare interessante accedere alle conclusioni del tavolo 14 su Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali. Gli esperti che sono stati individuati hanno infatti convenuto di affrontare importanti tematiche, tra cui la tutela delle detenute madri; la tutela del diritto e dei bisogni all’affettività dei detenuti; i diritti e bisogni specifici dei detenuti stranieri; la tutela dei diritti dei detenuti; il circuito penitenziario minorile; le misure alternative alla detenzione.
Il Rapporto dell’agosto 2015
Nonostante gli sforzi profusi dal nostro Governo, un attento e costante monitoraggio sulla situazione del sovraffollamento carcerario in Italia si impone anche alla luce delle conclusioni cui è giunto l’Alto Commissario per i diritti umani nel citato Rapporto dell’agosto 2015: sono molti infatti i diritti che possono essere violati in situazioni di sovraffollamento. Tra questi rilevano, oltre alla libertà dalla tortura e da altri trattamenti inumani o degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza; il diritto alla salute; il diritto al cibo, all’acqua e ai servizi igienici; il diritto all’istruzione e alla riabilitazione; la libertà di religione e di credo; il diritto alla privacy e alla vita familiare; il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione.
Prendendo atto che il sovraffollamento e l’abuso del ricorso a misure privative della libertà personale sono fenomeni complessi e che pertanto non possono essere affrontati e risolti da un giorno all’altro, l’Alto Commissario correttamente propone l’adozione di un approccio olistico che preveda una combinazione di misure legislative, amministrative, politiche ed economiche. In particolare, egli rileva che spesso una delle soluzioni maggiormente paventate dagli Stati, ovvero la costruzione di nuove strutture o la ristrutturazione di quelle già esistenti, si pone come mero palliativo di breve e medio periodo: solo, infatti, riforme legislative strutturali possono costituire una risposta efficace e duratura al problema. In quest’ottica non può che valutarsi positivamente il percorso intrapreso dal nostro Paese di individuare misure che, da un lato, possano limitare allo stretto necessario il numero delle persone che varcano le soglie del carcere e, dall’altro, possano migliorare le condizioni di vita di chi vi è rinchiuso. Infine, riteniamo che un ruolo centrale nel contrasto al sovraffollamento e all’abuso di misure privative della libertà personale possa essere svolto proprio da un efficace e costante sistema di monitoraggio dei luoghi di reclusione da parte di specifici organi all’uopo preposti, in quanto ciò aumenta la trasparenza e l’efficienza del sistema carcerario stesso. L’esistenza di meccanismi di reclamo indipendenti facilmente accessibili da parte dei detenuti, come quelli introdotti nel nostro ordinamento, è poi ugualmente importante al fine di alleviare i fenomeni in esame e le loro nefaste conseguenze.
2 Comments
Ringraziando Claudia Morini per le interessanti osservazioni che ho letto e apprezzato, desideravo presentare un brevissimo spunto a latere (essendomi occupato a mia volta della sentenza in oggetto e del relativo “follow up”).
Personalmente sono più scettico sui meriti da attribuire all’azione politica condotta a livello governativo, e proverò a spiegarlo con un esempio. In una comunicazione del Ministro della giustizia del 3 aprile 2014 (mi riferisco al Progress of the Action Plan submitted to the Department for the Execution of Judgements of the ECHR), si specifica che, al 21 marzo 2014, il tasso di sovraffollamento è ‘sceso’ a 60.419 unità (pur contemplando ancora un numero rilevante – 1.972 – di detenuti confinati in uno spazio inferiore ai tre metri quadri); nel corso del successivo incontro svoltosi il 19 maggio 2014 il Ministero della Giustizia ha specificato che il numero complessivo dei detenuti è sceso sotto la quota di 60.000 (per la precisione 59.555) e che tra questi non risultano più persone confinate in uno spazio inferiore ai tre metri quadri; poco più tardi, il 31 agosto del 2014, il Ministero indica in 54.252 detenuti il numero di persone ospitate nei centri di detenzione.
Ricapitolando: nel marzo 2014 la popolazione carceraria è di 60.419 unità; il 19 maggio 2014 è di 59.555 unità (e non ci sono più persone confinate in uno spazio inferiore ai tre metri quadri); e il 31 agosto il numero dei detenuti è sceso sotto la soglia di 54.252 unità.
In breve, in cinque mesi e senza il ricorso ad istituti di clemenza (amnistia o indulto – come avvenuto in passato), lo Stato italiano è stato in grado di ridurre di 6.167 unità il numero di detenuti.
Com’è stato possibile?
Dal mio punto di vista, più che nell’iniziativa governativa, la principale ragione deflattiva va individuata nell’intervento della Corte Costituzionale, la quale, con sentenza 12 febbraio 2014, n. 32, ha dichiarato l’illegittimità del testo unico in materia di stupefacenti (cd. legge ‘Fini-Giovanardi’).
Tutto ciò che il Governo ha attuato fino ad ora è soltanto pubblicità. Inviterei tutti se possibile a visitare una struttura carceraria, a fare qualche giretto nei tribunali per rendersi conto delle migliaia di incombenze che paralizzano tutto e tutti, per non parlare dei diritti dei detenuti e di tutte le persone calpestati da un governo di solo parole.