Un sostanziale pareggio: le misure cautelari nel caso Enrica Lexie
Massimo Lando, University of Cambridge
L’ordinanza sulle misure cautelari nel caso Enrica Lexie (sul quale il precedente post di Irini Papanicolopulu) vince la palma come ordinanza più controversa nella storia del Tribunale internazionale del diritto del mare (ITLOS o il Tribunale). Il Tribunale non è mai stato così diviso nel prescrivere misure cautelari, con una maggioranza di “soli” 15 voti favorevoli a fronte di 6 contrari. L’ordinanza ha battuto il precedente record di quattro opinioni dissenzienti in un provvedimento analogo, detenuto dal caso M/V Louisa: infatti, ben cinque giudici si sono espressi in aperto dissenso con la maggioranza (i giudici Bouguetaia, Rao, Ndiaye, Lucky e Heidar).
Il caso Enrica Lexie (v. i precedenti post di Annalisa Ciampi ed Enrico Milano) riguarda l’incidente avvenuto il 15 febbraio 2012 nella zona economica esclusiva (ZEE) dell’India, a circa 20 miglia nautiche dalla costa, in cui due pescatori indiani sono stati uccisi da due marò italiani che si trovavano a bordo della petroliera Enrica Lexie, di bandiera italiana. Dopo l’arresto dei due marò da parte delle autorità indiane, l’incidente si è evoluto in una controversia internazionale riguardante l’esercizio della giurisdizione penale. L’Italia può asserire la propria giurisdizione esclusiva sull’Enrica Lexie? L’India può vantare giurisdizione concorrente, sulla base del fatto che due suoi cittadini sono stati uccisi nell’incidente? Queste sono le questioni sul merito che il tribunale arbitrale dovrà decidere una volta costituito secondo l’Annesso VII della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS o la Convenzione).
Per ciò che riguarda la fase cautelare, si può dire che si sia risolta in un sostanziale pareggio tra Italia e India, con una sola delle due misure richieste dall’Italia accolta dall’ITLOS. L’Italia aveva richiesto che l’ITLOS prescrivesse all’India sia di sospendere i procedimenti penali sull’incidente, sia di permettere il ritorno in Italia dei marò (par. 29 dell’ordinanza). Tuttavia, il Tribunale ha prescritto che:
«Italy and India shall both suspend all court proceedings and shall refrain from initiating new ones which might aggravate or extend the dispute submitted to the Annex VII arbitral tribunal or might jeopardize or prejudice the carrying out of any decision which the arbitral tribunal may render» (par. 141(1) dell’ordinanza).
In sostanza, mentre l’Italia ha ottenuto di impedire il proseguimento dei procedimenti giudiziari presso le corti indiane, l’India ha ottenuto di poter impedire ai marò il ritorno in Italia.
L’articolo 290, par. 5, UNCLOS, nell’attribuire all’ITLOS la competenza a prescrivere misure cautelari in pendenza della costituzione del tribunale arbitrale competente sul merito, richiede che certi requisiti siano soddisfatti perché essa possa essere esercitata: (i) la giurisdizione prima facie del non ancora costituito tribunale arbitrale, (ii) il rischio di pregiudizio irreparabile ai diritti delle parti pendente la costituzione del tribunale arbitrale, e (iii) l’urgenza. A tali requisiti, la giurisprudenza recente del Tribunale ha aggiunto anche il fumus boni iuris, seguendo un’evoluzione della giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia (CIG) iniziata con il caso Pulp Mills.
Quanto alla giurisdizione prima facie del tribunale arbitrale, l’articolo 288 UNCLOS afferma che la corte o tribunale competente secondo l’articolo 287 ha giurisdizione rispetto a ogni controversia «concerning the interpretation or application of th[e] Convention». Durante il procedimento cautelare, l’Italia ha affermato che il tribunale arbitrale sarà chiamato a decidere circa l’interpretazione e l’applicazione di non meno di 12 articoli della Convenzione (par. 38 dell’ordinanza), riguardanti la giurisdizione penale degli stati nelle acque territoriali e nella zona contigua (articoli 27-33), la libertà di navigazione della ZEE (articoli 56-58), la libertà di navigazione nell’alto mare (articoli 87-89) e i diritti ed obblighi degli stati nelle acque internazionali (articoli 92, 94 e 97). Gli articoli sulla navigazione nell’alto mare sono invocati con riferimento alla ZEE, in virtù dell’articolo 58(2) della Convenzione, secondo il quale il regime delle acque internazionali si applica anche alla ZEE fintantoché compatibile con le norme che disciplinano quest’ultima. È interessante notare che l’Italia ha invocato l’articolo 97 il quale, disciplinando l’ipotesi di collisione tra navi e incidenti della navigazione, sembra di primo acchito non essere pertinente nel caso Enrica Lexie. Secondo l’articolo 97, par. 1, UNCLOS:
«[i]n the event of a collision or any other incident of navigation concerning a ship on the high seas, involving the penal or disciplinary responsibility of the master or of any other person in the service of the ship, no penal or disciplinary proceedings may be instituted against such person except before the judicial or administrative authorities either of the flag State or of the State of which such person is a national».
L’invocazione dell’articolo 97 si sarebbe resa necessaria per stabilire un collegamento tra l’incidente avvenuto al largo delle acque indiane e l’immunità dei marò italiani; tuttavia, l’Italia non è stata completamente chiara sull’immunità, in quanto ha dichiarato che i marò sono immuni non in virtù dell’articolo 97, ma in quanto membri delle forze armate italiane. Infatti, l’articolo 97 non fa riferimento alle forze armate, ma solo a incidenti di navigazione che potrebbero far sorgere la responsabilità penale di un membro dell’equipaggio della nave. In tali casi, lo stato di cui la nave batte bandiera e lo stato di cui la persona che ha commesso il fatto di reato è cittadina hanno giurisdizione esclusiva per giudicare del fatto penalmente rilevante. Nel caso Enrica Lexie, si tratta dell’Italia in entrambi i casi. Tuttavia, riferendosi all’immunità delle forze armate, l’Italia ha invocato una norma consuetudinaria e non una norma della Convenzione. L’immunità invocata dall’Italia è stata contestata dall’India, secondo la quale tale questione non sussiste poiché l’Enrica Lexie non è una nave da guerra, ma una nave dedita ad attività commerciali. L’India confonde l’articolo 32 della Convenzione con l’articolo 97 invocato dall’Italia: mentre il primo, prendendo atto del diritto consuetudinario esistente (ARA Libertad, opinione individuale dei giudici Wolfrum e Cot, par. 49-50), afferma che la Convenzione non pregiudica l’immunità di cui le navi da guerra godono in diritto consuetudinario, il secondo tratta più in generale di «collision or any other incident of navigation concerning a ship on the high seas», senza specificare che una nave da guerra debba essere coinvolta. L’India sembra aver perso di vista l’ambito di applicazione delle due norme, la prima delle quali non è stata (giustamente) invocata dall’Italia. L’ITLOS ha basato la conclusione che il tribunale arbitrale ha giurisdizione prima facie sull’apprezzamento del fatto che una controversia esiste tra le parti circa l’interpretazione e l’applicazione di vari articoli della Convenzione: dato che una controversia di tale natura esiste, il tribunale arbitrale ha, prima facie, giurisdizione per decidere sull’interpretazione e sull’applicazione delle norme della Convenzione invocate dalle parti. È interessante notare come il Tribunale non abbia argomentato il punto in questione, ma sia stato piuttosto tranchant nella sua conclusione sulla giurisdizione prima facie, raggiunta in soli due paragrafi (par. 53-54 dell’ordinanza).
La questione della giurisdizione prima facie è legata a quella del fumus boni iuris. Dato che la giurisdizione nel sistema dell’UNCLOS può esercitarsi solo per l’interpretazione e applicazione delle norme della Convenzione stessa, stabilire l’esistenza della giurisdizione prima facie significa affermare, almeno provvisoriamente, che i diritti invocati in sede cautelare esistono nel sistema della Convenzione. L’accertamento del fumus boni iuris, riguardante la possibilità che la parte richiedente le misure cautelari sia vittoriosa sul merito, ne sarebbe una conseguenza (opinione dissenziente del giudice Heidar, par. 18). Occorre notare che il requisito del fumus non è espressamente previsto né nella Convenzione, né nel Regolamento di procedura del Tribunale. Questo requisito è stato infatti introdotto per via giurisprudenziale dall’ITLOS solo recentemente, nell’ordinanza cautelare nel caso Ghana/Costa d’Avorio (ordinanza cautelare del 25 aprile 2015, par. 58), probabilmente a seguito della sua introduzione nella giurisprudenza della CIG nell’ultimo decennio. Non a caso, la Camera speciale del Tribunale con il mandato di decidere la controversia tra il Ghana e la Costa d’Avorio comprende anche il Presidente della CIG, Ronny Abraham, che nel caso Pulp Mills ha per primo iniziato il dibattito sul requisito del fumus in relazione alle misure cautelari in diritto internazionale (opinione individuale del giudice Abraham, par. 9-10). Si potrebbe dubitare dell’opportunità di introdurre una considerazione del fumus boni iuris nella giurisprudenza dell’ITLOS e nella giurisprudenza internazionale più in generale: il problema che tale requisito pone è quello di pregiudicare la controversia nella fase cautelare. Mentre il fumus è un requisito giustificato nei sistemi di diritto interno, dove la giurisdizione delle corti è obbligatoria, è meno opportuno nel diritto internazionale, dove la giurisdizione è basata sul consenso statuale, il quale non verrebbe dato se uno stato si aspettasse che il merito della controversia possa essere pregiudicato nella fase cautelare.
Il secondo requisito per la prescrizione di misure cautelari è la presenza di un rischio di pregiudizio irreparabile ai diritti delle parti in causa. Diversamente dall’articolo 41 dello Statuto della CIG, nel caso dell’articolo 290, par. 5, UNCLOS è espressamente previsto che le misure cautelari devono proteggere da pregiudizio irreparabile i diritti di entrambe le parti e non solo della parte richiedente la misura. Mentre l’Italia ha invocato il rischio di pregiudizio al suo diritto di esercitare giurisdizione esclusiva sul caso dell’Enrica Lexie e al suo diritto di godere dell’immunità delle proprie forze armate (par. 76 dell’ordinanza), l’India ha affermato che l’uccisione di due suoi cittadini le conferisce il diritto di esercitare giurisdizione penale sull’incidente (par. 79 dell’ordinanza). Il Tribunale ha affermato che la situazione creatasi tra le parti circa l’esercizio di giurisdizione sull’incidente è tale da richiedere un’azione del Tribunale per proteggere i diritti di entrambe (par. 107 dell’ordinanza).
La questione del pregiudizio irreparabile, su cui il Tribunale non si è dilungato, potrebbe essere stata, e potrebbe ancora essere nella fase di merito davanti al tribunale arbitrale, il punto debole del caso italiano (opinione dissenziente del giudice Ndiaye, par. 35). Non si può fare a meno di notare la somiglianza tra il caso Enrica Lexie e il caso che nel 2013 ha visto Timor Est chiedere misure cautelari alla CIG contro l’Australia. In quest’ultimo caso, Timor Est aveva chiesto alla CIG di indicare misure cautelari per evitare che l’Australia potesse servirsi di documenti riservati sottratti all’avvocato di Timor Est a Canberra da agenti australiani e riguardanti l’arbitrato in corso tra i due paesi. Nonostante l’Australia avesse dichiarato che non avrebbe utilizzato i documenti sottratti se non per motivi di sicurezza nazionale, la CIG decise di indicare misure cautelari imponendo all’Australia di custodire i documenti sottratti senza servirsene: la dichiarazione unilaterale dell’Australia, seppur fonte di un obbligo internazionale per l’Australia stessa, non dissipava completamente il rischio di pregiudizio irreparabile ai diritti di Timor Est. Simili dichiarazioni unilaterali sono state fatte anche dall’India nel caso Enrica Lexie (par. 129 dell’ordinanza). Tuttavia, mentre la CIG, nella sua decisione, pare aver dato importanza alle dichiarazioni unilaterali dell’Australia, il Tribunale non sembra aver dato troppo peso alle dichiarazioni dell’India. L’ITLOS avrebbe potuto decidere diversamente, affermando che le dichiarazioni unilaterali dell’India creano un obbligo internazionale a carico dell’India stessa, e che, di conseguenza, il rischio di pregiudizio irreparabile non sussiste. In tal modo, l’ITLOS avrebbe seguito la decisione della CIG nel caso degli Esperimenti Nucleari, dove la CIG dichiarò la controversia tra la Francia, l’Australia e la Nuova Zelanda inesistente alla luce degli obblighi internazionali di fermare gli esperimenti nucleari atmosferici nel Pacifico assunti per via unilaterale dalla Francia. Ciò avrebbe portato l’ITLOS a rifiutare la prescrizione di misure cautelari. Nell’affrontare il problema delle dichiarazioni unilaterali dell’India, il Tribunale ha seguito l’impostazione della CIG nel caso tra Timor Est e l’Australia, dove la CIG ha indicato misure cautelari a favore di Timor Est, ma senza completamente soddisfare la richiesta di Timor Est di far pervenire i documenti alla CIG stessa affinché li custodisse fino alla fine del procedimento contro l’Australia. Data la decisione simile da parte dell’ITLOS, si può ipotizzare che quest’ultimo abbia guardato alla recente giurisprudenza della CIG e, nonostante non si sia dilungato sulle dichiarazioni unilaterali, le abbia prese in dovuta considerazione in sede di deliberazione.
Nel caso Enrica Lexie l’urgenza è stata il requisito più controverso: vari giudici hanno dissentito su tale punto (opinione dissenziente del giudice Rao, par. 13; opinione dissenziente del giudice Bouguetaia, par. 19; opinione dissenziente del giudice Heidar, par. 16). I giudici in questione hanno affermato che l’assenza di urgenza nella richiesta italiana è dimostrata dal fatto che procedimenti giudiziari in India riguardanti l’Enrica Lexie sono in corso da più di tre anni. I tre anni intercorsi tra l’incidente e la richiesta di misure cautelari sono un periodo abbastanza lungo, capace di dimostrare che l’Italia non ha mai sentito l’urgenza di proteggere i propri diritti sul piano internazionale. Tuttavia, sul piano giuridico la questione è diversa. È plausibile che l’Italia abbia voluto percorrere tutte le vie possibili sul piano del negoziato prima di adire un’istanza giudiziaria internazionale. Inoltre, l’Italia potrebbe aver atteso un congruo periodo di tempo prima di chiedere la costituzione di un tribunale arbitrale al fine di non incorrere in una pronuncia di inammissibilità per non aver soddisfatto i requisiti di previo negoziato imposti dall’articolo 283 UNCLOS (sul tema, si veda l’ordinanza cautelare dell’ITLOS nel caso Malesia c. Singapore, par. 33-51). Sembra che i giudici dissenzienti si siano concentrati solo sul lasso di tempo, certo cospicuo, intercorso tra l’incidente e la richiesta di misure cautelari, senza considerare i motivi per cui l’Italia avrebbe esperito il rimedio cautelare solo a tre anni di distanza dall’incidente.
È interessante notare che l’India ha invocato un diverso standard di urgenza a proposito delle misure cautelari richieste secondo l’articolo 290, par. 5, UNCLOS rispetto allo standard di urgenza richiesto dall’articolo 290, par. 1, UNCLOS (par. 100 dell’ordinanza). Tale distinzione, evocata dal giudice Heidar (par. 7 della sua opinione dissenziente), non è stata menzionata dal Tribunale nell’ordinanza cautelare. Mentre il par. 1 riguarda le misure cautelari richieste all’ITLOS quando lo stesso è anche competente a conoscere del merito della controversia, il par. 5 riguarda le misure cautelari richieste all’ITLOS quando competente a decidere del merito della controversia è un tribunale arbitrale ad hoc, come nel caso in esame. In effetti, una differenza importante esiste tra le misure cautelari secondo i paragrafi 1 e 5: mentre nel primo caso l’istanza giudiziaria a cui la decisione sul merito è stata richiesta è già presente e operante, nel secondo caso si tratta di un tribunale arbitrale ad hoc, la cui costituzione può esigere mesi di negoziato. Ciò, però, non giustifica la presenza di due diversi standard di urgenza nell’uno e nell’altro caso. In entrambe le situazioni ci si trova davanti a una richiesta per la risoluzione giudiziale di una controversia tra stati. Secondo il meccanismo dell’articolo 287 UNCLOS, l’arbitrato è talvolta l’unica via percorribile, come nel caso Enrica Lexie. Maggiori oneri non dovrebbero essere imposti agli stati a seconda del mezzo di risoluzione delle controversie invocabile per proteggere i loro diritti in via giudiziale. A maggior ragione, ciò non dovrebbe essere possibile quando gli stati non possono scegliere ex post a quale organo deferire la propria controversia. L’articolo 290, par. 5, UNCLOS intende assicurare che il fatto che il mezzo per la risoluzione delle controversie sia un tribunale arbitrale non porti pregiudizio ai diritti sub iudice, equiparando, per quanto concerne la tutela cautelare, un procedimento arbitrale a uno davanti all’ITLOS. Imporre uno standard d’urgenza più restrittivo comporterebbe rendere erroneamente più difficile la tutela cautelare dei diritti sub iudice.
Il Tribunale internazionale del diritto del mare non è una corte per i diritti umani. La richiesta dell’Italia di ordinare il rimpatrio dei due marò avrebbe potuto avere maggiore successo se la Convenzione riguardasse anche questioni attinenti ai diritti umani. Infatti, in quel caso l’Italia avrebbe potuto mettere in risalto che i marò sono stati sottoposti a misure restrittive della libertà personale senza che l’India abbia presentato delle accuse nei loro confronti nel corso di un procedimento penale. Se l’UNCLOS disciplinasse tali questioni attinenti ai diritti umani (v. artt. 5-6 della Convenzione europea dei diritti umani), l’Italia avrebbe potuto ottenere la liberazione dei due marò. Tuttavia, l’UNCLOS non disciplina questioni di tale natura. Si noti, al tempo stesso, che il Tribunale si è comunque mostrato conscio degli aspetti umanitari del caso a lui sottoposto (par. 133-135 dell’ordinanza). L’ITLOS ha prescritto misure cautelari adeguate al caso di specie, rimanendo nei limiti della giurisdizione che la Convenzione gli attribuisce. La cautela del Tribunale nel caso Enrica Lexie può essere vista come una conseguenza dell’attenzione del Tribunale stesso alle critiche che gli sono state mosse dopo la decisione del caso Arctic Sunrise, dove l’ITLOS aveva disposto il rilascio delle persone detenute in Russia a seguito di un’ispezione da parte delle autorità russe a bordo di una nave olandese (Arctic Sunrise, ordinanza del 22 novembre 2013, par. 105; v. anche il lodo del Tribunale arbitrale sul merito del 14 agosto 2015).
L’ordinanza cautelare nel caso Enrica Lexie si è conclusa in modo piuttosto positivo per l’Italia, la quale ha ottenuto una delle due misure richieste. L’Italia avrebbe potuto incorrere in maggiori problemi, data la possibilità che il Tribunale decidesse contro l’esistenza del pregiudizio irreparabile alla luce delle dichiarazioni unilaterali dell’India. Al tempo stesso, la fase cautelare può dirsi conclusa positivamente anche per l’India, la quale aveva già sospeso i procedimenti penali presso le sue corti interne: per l’India, l’ordinanza non fa altro che mantenere lo status quo. Come si è detto nell’incipit del commento, l’ordinanza si è risolta in un sostanziale pareggio. Tuttavia, non si può fare a meno di ipotizzare che forse l’India è uscita dalla fase cautelare più soddisfatta dell’Italia.
2 Comments
“La decisione del Tribunale di Amburgo è tipica di quei giudici che non vogliono scontentare nessuno. Da una parte il contentino per l’Italia, per cui nessuno dei due Paesi può assoggettare a giurisdizione i fatti avvenuti a bordo della Enrica Lexie fino alla conclusione dell’arbitrato, che pronuncerà sull’ambito di applicazione della Convenzione di Montego Bay e sulla giurisdizione indiana. Dall’altra parte il contentino per l’India, quindi la scelta della Corte di non adottare misure che riguardino Girone e Latorre in quanto”interferirebbero con il merito” (le uniche, in realtà, richieste dall’Italia e indispensabili nel caso di specie). Di fatto, rinviandosi l’inizio di qualunque giudizio di almeno tre anni, l’India è addirittura giustificata a ritardare il processo fino al lodo arbitrale trattenendo gli indagati. Tutto ciò a prescindere dall’interesse delle persone coinvolte (i due marinai e gli eredi delle parti offese) che hanno, invece, diritto – pienamente tutelato dal diritto internazionale – ad un processo equo ed in tempi ragionevoli.
Sotto il profilo del diritto internazionale, due considerazioni. Anzitutto, la decisione appare molto conformista: risponde ad una vecchia visione del diritto internazionale che non mette affatto al centro della questione le persone fisiche. I due marinai e i parenti delle vittime, infatti, come nel diritto internazionale dei nostri bisnonni, sono considerati oggetto non soggetti nella controversia. Alla Corte pare interessi solo il profilo “internazionale” della vicenda, cioè determinare se lo Stato costiero possa, in un caso di questo tipo, esercitare la giurisdizione su navi battenti bandiera straniera che si trovino fuori dalle acque territoriali. Malgrado la preoccupazione (che suona davvero ipocrita) manifestata nella decisione circa i diritti delle persone coinvolte, il tema dei diritti dell’uomo (il nuovo corpus del diritto internazionale del quale la Corte pare ignorare l’esistenza) non interferisce per nulla tanto che, appunto, si procrastina il processo e si ignorano i profili sulla libertà delle persone. In secondo luogo, non può non rilevarsi come la questione della giurisdizione dello Stato costiero per fatti che avvengono a bordo di navi battenti bandiera straniera sia molto problematica. La Repubblica Italiana, per impedire l’esercizio della giurisdizione indiana, invoca il criterio di collegamento della “legge della bandiera”. Tuttavia, a prescindere che in questo caso verrebbero in rilievo due leggi ( la legge della condotta – italiana – e quella dell’evento – indiana-) almeno dagli anni 60 ( e in modo più preciso dal lavoro del prof. Carbone) questo criterio di collegamento, inattendibile anche in considerazione del fenomeno delle c.d. bandiere ombra, si è rivelato inadatto a localizzare la fattispecie sulla base del principio di effettività, ed è quindi divenuto del tutto residuale in tutti gli strumenti internazionalistici e internazionalprivatistici. In breve, si ha la percezione che si sia “stimolata” la Corte su alcuni grandi temi che meriterebbero ben altra occasione di disamina (essendovi da dubitare, oltretutto, che i grandi Paesi marittimi condividano la posizione italiana). Ciò ai danni, è bene ripeterlo, delle persone interessate.
La sensazione è che meglio sarebbe stata, e tutt’ora sarebbe, una scelta “defensionale pura” nell’interesse di Girone e Latorre (che sono le vere parti del processo insieme ai familiari dei pescatori) evitandosi la “internazionalizzazione” della vicenda. Il diritto internazionale, sempre più in crisi la comunità di diritto ( ricordo una bellissima lezione del prof. Luzzatto ), non mi pare il terreno più propizio per difendere gli interessi dei due militari italiani. “
L’ordinanza del Tribunale del diritto del Mare nel caso della Enrica Lexie continua a dare origine a letture diverse da parte dei commentatori, tra chi ritiene che vi sia stato un sostanziale pareggio tra le parti e chi ritiene che l’Italia o invece l’India abbiano prevalso. Colpa dello stringatissimo decisum che non viene chiarito dalla lunga motivazione che per lo più riprende gli argomenti delle parti. A me pare che un punto sia indubitabile: se l’India non può più esercitare la sua giurisdizione sui due maro’ in attesa della decisione del costituendo tribunale arbitrale, entrambi devono considerarsi liberi.
Anzitutto Latorre che non deve più chiedere una proroga del suo soggiorno in Italia alla giustizia indiana che non è più competente ad emanare alcun provvedimento nei suoi confronti.
Ma anche Girone, perché il suo stato di detenzione deriva da un provvedimento che è stato ormai privato di ulteriore efficacia o vigenza dall’ordinanza di Amburgo secondo cui l’India “shall….suspense all court proceedings”. Una diversa interpretazione implicherebbe che l’India continui nei “court Proceedings” affermando la sua giurisdizione.