La Corte di giustizia e le anti-suit injunctions a protezione dell’arbitrato (osservazioni sul caso Gazprom)
Elena D’Alessandro, Università di Torino
Con sentenza 13 maggio 2015 la Grande sezione della Corte di giustizia ha deciso il caso Gazprom, nell’ambito del quale era stata sollecitata a valutare la compatibilità, con il sistema del Regolamento n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, di un provvedimento inibitorio emesso da un collegio arbitrale e finalizzato a far sì che una delle parti tenute della convenzione di arbitrato (il Ministero dell’energia lituano), in ossequio alla medesima, riducesse l’oggetto della controversia proposta dinanzi ad un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro.
In precedenza, dapprima nella causa Turner c. Grovit, la Corte del Lussemburgo aveva reputato incompatibile con il sistema della Convenzione di Bruxelles del 1968 l’emissione, da parte di un giudice di uno Stato membro, i.e. inglese, di un provvedimento inibitorio diretto a vietare ad una persona di iniziare o proseguire un procedimento dinanzi alle autorità giurisdizionali di altro Stato membro a vantaggio della giurisdizione inglese. Successivamente, pur essendo l’arbitrato materia esclusa dall’ambito di applicazione del Regolamento n. 44/2001, con la sentenza West Tankers la Corte di giustizia aveva affermato che una anti-suit injunction pronunciata dal giudice inglese a protezione non già di un locale giudizio nazionale ma, piuttosto, di un arbitrato avente sede in tale Stato membro confligge con l’effetto utile del Regolamento, in quanto incide sulla libertà delle autorità giurisdizionali nazionali di valutare liberamente la sussistenza della propria potestas decidendi.
La vicenda Gazprom concerne, anch’essa, un arbitrato. Vi sono, però, due elementi che differenziano il caso Gazprom dalla vicenda West Tankers e che, pertanto, hanno originato il nuovo rinvio pregiudiziale: 1) nel caso Gazprom, l’inibitoria non era stata emessa da un’autorità giurisdizionale di altro Stato membro ma, viceversa, da un tribunale arbitrale, costituito nel contesto di un arbitrato amministrato dalla camera di Stoccolma; 2) nel caso Gazprom, l’inibitoria non era una anti-suit injunction disciplinata dal diritto inglese, la cui caratteristica, come ricordato dalla Corte di giustizia al punto 40 della sentenza che qui si commenta, consiste: i) nel fatto di essere destinata alle parti del procedimento straniero, comunque soggette (anche) alla giurisdizione inglese; ii) nel fatto che la sua effettività è garantita dalla sanzione, parimenti emessa dal giudice anglosassone, del contempt of court, come rilevato sia dall’Avvocato generale Kokott nelle conclusioni relative al caso West Tankers, sia dall’Avvocato generale Wathelet nelle conclusioni relative al caso Gazprom.
Nel caso di specie il provvedimento arbitrale (così risulta dal testo della sentenza Gazprom) era destinato al Ministero dell’energia lituano, parte del procedimento arbitrale, ma risultava privo della possibilità di essere assistito da un provvedimento giurisdizionale coercitivo emesso da un giudice di altro Stato membro e finalizzato a garantirne l’attuazione (come nota Layton, p. 144: «of course, an arbitrator’s anti-suit award will only have contractual force and hence will not have the same teeth as a court injunction, which can be enforced by processes of contempt»). Almeno stando agli atti del procedimento pregiudiziale, l’attuazione dell’inibitoria restava rimessa alla libera volontà della parte destinataria, ossia, come ricordato, il Ministero dell’energia lituano. Invero, essendo tale parte quella che aveva instaurato il procedimento giurisdizionale, in mancanza di una efficace sanzione per il suo inadempimento, un volontario abbandono del giudizio lituano (ovvero una riduzione dell’oggetto della controversia là proposta, come richiesto dal lodo reso a Stoccolma) era difficilmente immaginabile.
Nelle proprie conclusioni, l’Avvocato generale Wathelet ha colto l’occasione per tentare di superare la lettura che dei rapporti tra anti-suit injunctions a tutela dell’arbitrato e spazio giudiziario europeo ha dato la pronuncia West Tankers, in considerazione delle critiche avanzate nei confronti di tale dictum da parte della dottrina, in specie quella inglese. Il tentativo, ispirato ad un favor arbitrati, fa leva sul sopraggiunto testo del Regolamento n. 1215/2012 (non applicabile, però, ratione temporis alla vicenda Gazprom) il quale, pur escludendo l’arbitrato dall’ambito di applicazione del regolamento, senza soluzione di continuità rispetto alla Convenzione di Bruxelles ed al Regolamento n. 44/2001, per un verso precisa – al suo art. 73, par. 2, – che il Regolamento n. 1215/2012 lascia impregiudicata l’operatività della Convenzione di New York del 1958 e, per altro verso, al suo considerando n. 12, prevede che la decisione dell’autorità giurisdizione di uno Stato membro relativa alla nullità, inoperatività o inapplicabilità di una convenzione arbitrale non dovrebbe essere assoggettata alle disposizioni del Regolamento n. 1215/2012. Secondo l’Avvocato generale tale inciso sta a significare che «fatta salva la nullità o inapplicabilità manifesta della convenzione arbitrale, le parti debbono essere tenute a rispettarla» e, pertanto, debbono essere rinviate davanti al tribunale arbitrale.
In base a tale argomentazione, Wathelet afferma che, sia le autorità giurisdizionali, nella loro qualità di giudici di sostegno dell’arbitrato, sia gli arbitri, possono pronunciare anti-suit injunctions, in quanto trattasi di misure finalizzate a garantire il rispetto della convenzione di arbitrato, senza che a ciò ostino le norme sulla cooperazione giudiziaria in materia civile. Inoltre, secondo l’Avvocato generale, nel caso di misure inibitorie pronunciate nel contesto di un arbitrato, un ulteriore argomento a sostegno della conclusione de qua è costituito dal fatto che gli arbitri non possono essere vincolati al principio della reciproca fiducia sancito dal regolamento (i.e. dal Regolamento n. 44/2001 e, attualmente, dal Regolamento n. 1215/2012), posto che quest’ultimo riguarda unicamente le autorità giurisdizionali. Per Wathelet, nel caso di specie, il testo del Regolamento n. 44/2001 avrebbe dovuto essere applicato alla luce delle novità contenute nel Regolamento n. 1215/2012.
La Corte di giustizia non ha ritenuto di fare propria questa interpretazione pro arbitrato che si sarebbe sostanziata in un revirement rispetto alla decisione West Tankers. I giudici del Lussemburgo hanno preferito risolvere il quesito interpretativo in modo più semplice, ossia, per un verso, valorizzando le differenze sussistenti tra la vicenda West Tankers e quella Gazprom, in primis la mancanza di un provvedimento coercitivo emesso dal giudice di un altro Stato membro a sostegno dell’inibitoria pronunciata dagli arbitri, il quale avrebbe in tal modo indirettamente inciso sulla potestas decidendi delle autorità giurisdizionali lituane; per altro verso, valorizzando la circostanza per cui il lodo arbitrale reso a Stoccolma non era concretamente idoneo a limitare la possibilità di conoscere la causa da parte del giudice lituano e non soltanto per mancanza di strumenti coercitivi finalizzati a rendere effettiva l’inibitoria, ma anche perché il lodo, per sortire un siffatto risultato, avrebbe dovuto essere in primo luogo dichiarato produttivo di effetti in Lituania. Segnatamente, il riconoscimento e l’esecuzione in territorio lituano del lodo emanato a Stoccolma risultano subordinati alla mancata integrazione di alcuno dei requisiti ostativi di cui all’art. V della Convenzione di New York del 1958. Ed è verosimile affermare che la corte di legittimità lituana, davanti alla quale proseguirà il giudizio di riconoscimento ed esecuzione del lodo, confermerà la precedente pronuncia di diniego di efficacia, a tacer d’altro a causa dell’integrazione del requisito di cui all’art. V, paragrafo 2, lettera a, di detta Convenzione, ossia per invalidità del patto compromissorio, in quanto relativo a materia non compromettibile ai sensi della legge lituana. Non a caso, proprio in considerazione di questo aspetto, l’Avvocato generale Wathelet aveva espresso dubbi a proposito della concreta rilevanza nel giudizio a quo del quesito interpretativo sottoposto alla Corte di giustizia.
Pertanto, in base a questi due soli argomenti, i giudici del Lussemburgo sono giunti alla condivisibile conclusione per cui il riconoscimento di un siffatto lodo è questione indifferente al sistema della cooperazione giudiziaria in materia civile, in quanto totalmente riservata alla Convenzione di New York del 1958. Gli arbitri, cioè, non sono tenuti a rispettare il principio della reciproca fiducia contenuto, ad oggi, nel Regolamento n. 1215/2012, inapplicabile alla fattispecie de qua. Ne risulta, come è evidente, che, nella vicenda Gazprom, il giudice lituano non soltanto non avrebbe dovuto applicare alcuna disposizione di diritto dell’Unione europea per decidere della riconoscibilità nel foro del lodo reso a Stoccolma, ma, in concreto, non avrebbe avuto neppure a che fare con il c.d. effetto utile su cui si fondava la pronuncia West Tankers. Ex post, pertanto, non si può che constatare che si verteva al di fuori dell’ambito di operatività dell’art. 267 TFUE.
Non v’è dubbio che la vicenda che ha dato origine al rinvio pregiudiziale si differenziasse dal caso West Tankers e, dunque, giustificasse un distinguishing. Qualcos’altro, però, è cambiato rispetto al momento storico in cui fu pronunciata la sentenza West Tankers e, pertanto, ben al di là di quel distinguishing, forse i tempi potrebbero essere maturi per un futuro overruling della decisione concernente i rapporti tra anti-suit injunction pronunciata da un giudice statale ed arbitrato. In primo luogo è stato emanato ed è divenuto applicabile il Regolamento n. 1215/2012, il quale, con soluzione di continuità rispetto a quanto previsto dal Regolamento n. 44/2001, cerca anche di evitare che una delle parti, sfruttando l’operare della norma sulla litispendenza, ostacoli il pratico funzionamento di un precedente patto attributivo della giurisdizione ad un determinato giudice statale ubicato in uno Stato membro in precedenza siglato. Il riferimento è all’art. 31, par. 2, del Regolamento n. 1215/2012. Secondo l’Avvocato generale, un analogo atteggiamento protettivo nei confronti della comune volontà delle parti sarebbe tenuto dal considerando n. 12 nei confronti della convenzione arbitrale.
In secondo luogo, per effetto della emanazione della sentenza Gothaer non è più vero che – come affermato nella pronuncia West Tankers – ciascun giudice ubicato in uno Stato membro è in ogni caso libero di valutare in autonomia la sussistenza della propria potestas decidendi. Ciò proprio in considerazione della idoneità a circolare nello spazio comune (con vincolo anche sui motivi portanti della decisione) delle decisioni declinatorie della giurisdizione per sussistenza di una valida clausola attributiva della giurisdizione disciplinata vuoi dai Regolamenti n. 44/2001 o n. 1215/2012, vuoi dalla Convenzione di Lugano, clausola che condivide con la convenzione di arbitrato la natura di negozio processuale ed inoltre (se esclusiva) la circostanza per cui attribuisce la potestas decidendi ad una determinata autorità che in quel caso è giurisdizionale (ed è invece privata, nell’ipotesi dell’arbitrato).
La Corte di giustizia ha limitato la portata della pronuncia Gothaer agli accordi attributivi della giurisdizione (e, del resto, non avrebbe potuto fare diversamente, in primo luogo in considerazione del tenore del quesito rimessole) e la ha basata sul principio della fiducia reciproca che deve sussistere tra giudici di differenti Stati membri, valorizzando la circostanza per cui gli accordi attributivi della giurisdizione sono disciplinati in maniera uniforme dai Regolamenti n. 44/2001 o n. 1215/2012, ovvero dalla Convenzione di Lugano. Tuttavia, l’argomentazione non è di quelle “a tenuta stagna”, considerato che i due Regolamenti (e parimenti la Convenzione) non disciplinano in modo “euro-unitario” i requisiti di validità (sostanziale) dell’accordo, i.e. i requisiti di efficacia diversi da quelli formali e da quello consistente nella elezione di un foro ubicato in uno Stato membro. In proposito, segnatamente, il Regolamento n. 44/2001 taceva (e la materia è altresì esclusa dalla sfera di operatività del Regolamento n. 593/2008 – c.d. “Roma I”), mentre il Regolamento n. 1215/2012, al suo art. 25, espressamente stabilisce che la validità sostanziale dell’accordo è disciplinata dalla legge dell’ordinamento in cui è ubicata la corte a cui è attribuita giurisdizione esclusiva. Dimodoché, per fare operare il dispositivo della sentenza Gothaer, ossia al fine di ammettere, senza eccezione alcuna, la vincolatività per gli altri giudici dell’Unione di sentenze declinatorie della giurisdizione fondate sulla sussistenza di un valido accordo attributivo della potestà decisionale, occorre necessariamente postulare che la regola del mutual trust non riguardi soltanto il modo con cui i giudici dei singoli Stati membri applicano le norme uniformi contenute (oggi) nell’art. 25 del Regolamento n. 1215/2012 ovvero nella Convenzione di Lugano, ma, piuttosto, si estenda anche all’applicazione che il giudice adito ha fatto della legge sostanziale dell’ordinamento al quale appartiene l’autorità giurisdizionale menzionata dalla clausola attributiva della giurisdizione, al fine di vagliarne la validità sotto il profilo sostanziale.
Ne risulta che, ad oggi, una pronuncia declinatoria della giurisdizione per sussistenza di un accordo attributivo della giurisdizione non emessa per effetto dell’applicazione di sole norme uniformi di diritto europeo e che impedisce al giudice di altro Stato membro di valutare autonomamente la sussistenza della propria giurisdizione è compatibile con il sistema di Bruxelles, in virtù della prevalente esigenza di evitare conflitti negativi di giurisdizione. Viceversa, con un risultato che sembra peccare un poco di incoerenza, non è considerata compatibile con il sistema di Bruxelles – per contrasto con il c.d. effetto utile del regolamento – la decisione (non già arbitrale, poiché essa, come coerentemente sostenuto dalla decisione in epigrafe è in linea di principio ammissibile ma, invece, giurisdizionale) che reputa valido un accordo compromissorio e che, sulla base di tale presupposto, invita le parti a non continuare un procedimento giurisdizionale pendente in altro Stato membro. Anche in questo secondo caso si priva il giudice di altro Stato membro della facoltà di valutare autonomamente la sussistenza della propria potestas decidendi in base alla applicazione di una normativa non uniforme ed anche in questo secondo caso la finalità è quella di evitare un diniego di giustizia e, parimenti, di salvaguardare l’effettività di un accordo negoziale, ossia quello compromissorio.
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