L’Accordo di Londra del 1953 e la ristrutturazione del debito estero tedesco: alcune considerazioni (in)attuali
Giuseppe Bianco è dottorando di ricerca alle università di Oslo e Paris 1 Panthéon-Sorbonne
Nel dibattito pubblico europeo ci si interroga sulle questioni relative al trattamento del debito pubblico (specialmente quello greco) e spesso si menziona il precedente che riguardò la Germania alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Accordo di Londra sul debito estero tedesco del 27 febbraio 1953 tra la Repubblica federale di Germania e venti Paesi creditori prebellici, entrato in vigore il 16 settembre dello stesso anno, rappresenta in effetti un modello unico di ristrutturazione del debito sovrano di uno Stato, inquadrato dal diritto internazionale pubblico. È fuor di dubbio che il contesto relativo a questo episodio possa considerarsi eccezionale, in ragione della Guerra Mondiale da cui la maggior parte dei Paesi partecipanti all’Accordo usciva, della divisione della Germania in due repubbliche e soprattutto dell’inizio della Guerra fredda, con tutte le sue implicazioni geopolitiche e finanziarie. Tuttavia, questo Accordo può essere analizzato come esempio di ricorso a tecniche di diritto internazionale che costituiscono una «riserva» a disposizione degli Stati e che, in funzione delle loro virtù, potrebbero essere impiegate nuovamente – beninteso, se si raggiunge un consenso politico.
La consapevolezza dell’importanza della questione debitoria era ben chiara alle autorità tedesche, le quali già nel 1948 crearono un Comitato tedesco per le relazioni finanziarie internazionali (Deutscher Ausschuss für internationale finanzielle Beziehungen). Nel 1950, gli Alleati formarono un Gruppo di studio intergovernativo sulla Germania (Intergovernmental Study Group on Germany) per esaminare le questioni relative allo statuto giuridico e politico della Repubblica federale. Esso doveva occuparsi delle rivendicazioni contro la Germania derivanti dal debito tedesco precedente alla guerra (Buxbaum).In una lettera all’Alta Commissione Alleata del 6 marzo 1951, il cancelliere Konrad Adenauer da un lato riconobbe a nome della Repubblica federale tedesca i debiti prebellici del Reich e quelli derivanti dall’assistenza economica ricevuta dagli Alleati a partire dall’8 maggio 1945. Allo stesso tempo, tuttavia, segnalò la necessità di un accordo il cui obiettivo fosse «normalizing the economic and financial relations of the Federal Republic with other countries» e di tenere in considerazione «the general economic position of the Federal Republic, notably the increase of its burdens and the reduction in its economic wealth» (v. la lettera riportata nel Department of State Bulletin).
Il Regno Unito, la Francia e gli Stati Uniti accettarono queste premesse e istituirono una Commissione tripartita nel 1951 per rappresentarli durante i negoziati e le riunioni che avrebbero condotto alla ristrutturazione.
Un problema rilevante riguardava l’inclusione dei creditori privati nelle discussioni: ci si accordò per una prima fase con riunioni intergovernative e una seconda con dibattiti tra rappresentanti degli Alleati e rappresentanti dei creditori (Buxbaum).
Una volta che gli Alleati ebbero determinato la porzione di debito a cui avrebbero rinunciato, si aprì una conferenza a Londra, il 28 febbraio 1952, in cui le delegazioni nazionali comprendevano dei rappresentanti dei creditori privati, tra cui il Council of Foreign Bondholders, l’American Committee for Standstill Creditors of Germany, il British Banking Committee for German Affairs e lo Swiss Banking Committee for the German Credit Agreement (Waibel). I tipi di debito presi in considerazione erano assai vari: vi erano dei detentori di «standstill claims» (crediti a breve termine posticipati dal 1931) – soprattutto istituzioni finanziarie europee – e dei detentori di obbligazioni, in gran parte statunitensi.
Un Comitato direttivo (Steering Committee) redigeva delle raccomandazioni per raggiungere «an equitable overall settlement and equal treatment for all creditors within each category». Quattro comitati di negoziati specifici furono poi stabiliti per: A. debiti del Reich e di altre autorità pubbliche; B. altri debiti a medio e lungo termine; C. debiti «standstill»; D. debiti commerciali e diversi. Il negoziatore tedesco Hermann Josef Abs si fece notare per le sue abili doti nel favorire la posizione della Repubblica federale (Hulmann).
L’inclusione di tutti i creditori ha permesso di rendere la negoziazione dell’Accordo di Londra «the only occasion in history when the whole external debt, sovereign and private, of a major industrial state has been reorganised in one unified operation» (Waibel). Altri tipi di debito furono invece esclusi dai negoziati dell’Accordo di Londra: le reclamazioni degli Stati in guerra od occupati dal Reich e i loro cittadini, nonché quelle degli Stati neutri e dei Paesi alleati o incorporati dal Reich e i loro cittadini (Simpson; tali debiti sono ancora oggetto di controversia: Maisano e Da Rold).
Il preambolo dell’Accordo riflette la volontà di tutti i Paesi partecipanti di ristabilire relazioni economiche normali tra la Repubblica federale di Germania e gli altri Stati. Il principio era che i pagamenti non avrebbero dovuto mettere in pericolo il benessere della popolazione nel breve termine e la possibilità di ricostruire l’economia e la società nel lungo periodo (Guinnane). Si mise in pratica la lezione di Keynes: bisognava preservare la capacità del Paese di generare un avanzo commerciale sufficiente a coprire il pagamento del debito.
I risultati della conferenza di Londra furono all’altezza di tali aspettative. Innanzitutto, per il periodo 1953-1958 fu deciso di pagare gli interessi e non il capitale, per dare maggior respiro al Paese, che doveva nel frattempo farsi carico delle riparazioni allo Stato di Israele. Quanto alle obbligazioni derivanti dal Piano Dawes del 1924 e dal Piano Young del 1930, il valore nominale rimase uguale, ma il tasso d’interesse fu ridotto; gli arretrati furono calcolati all’interesse semplice e non composto. Inoltre, il pagamento degli arretrati degli interessi sulle obbligazioni dei Piani Dawes e Young fu posticipato rispettivamente al 1969 e al 1980.
Risulta difficile calcolare l’ammontare della riduzione del debito. Alcune stime (Guinnane) valutano i debiti prebellici a 13,5 miliardi di marchi, con 2,6 miliardi di interessi; i debiti postbellici sarebbero stati di 16,2 miliardi di marchi. L’Accordo li ridusse rispettivamente a 7,5 e 7 miliardi di marchi, di cui il governo tedesco pagò 11 miliardi e i debitori privati tedeschi 3,5 miliardi. In totale, la riduzione del debito pubblico e privato della Repubblica federale tedesca fu, dunque, di almeno la metà.
Inoltre, i negoziatori tedeschi avevano proposto che, qualora la Repubblica federale fosse incorsa in seri disavanzi commerciali, una clausola prevedesse la riduzione o l’interruzione del pagamento del debito. L’Accordo previde, in termini più vaghi, che la Germania poteva richiedere consultazioni nel caso di difficoltà e che si sarebbe tenuto conto di tutte le considerazioni economiche, finanziarie e monetarie relative alla capacità di trasferimento, così come influenzata da fattori interni ed esterni (art. 34).
Un altro problema che emerse durante i negoziati concerneva la clausola oro, contenuta in larga parte delle obbligazioni, che eliminava per i creditori le conseguenze della svalutazione della valuta – fenomeno allora considerevole. Ci si accordò per sostituire la clausola oro con la clausola dollaro: le somme erano calcolate come se la valuta indicata nei titoli fosse il dollaro, invece di quella d’emissione (salvo per il franco svizzero). In tal modo, i negoziatori fecero ricadere gli effetti della svalutazione essenzialmente sulle spalle dei creditori (Guinnane).
Infine, una parte dei pagamenti (ritenuta rappresentare i debiti relativi al territorio della Repubblica democratica) era sottoposta alla condizione della riunificazione. Nel 1953 i creditori ricevettero dei «rights certificates» non delle obbligazioni, ma certificati rappresentativi di questa parte del loro credito a esigibilità futura. Questi certificati furono regolarmente pagati in seguito alla riunificazione, con l’ultimo pagamento effettuato nel 2010 (Crossland).
Quanto allo scambio, secondo l’art. 15 dell’Accordo, il debitore proponeva lo scambio ai creditori (o, nel caso delle obbligazioni, ai rappresentanti dei creditori), che potevano accettare l’offerta presentando le obbligazioni o, per gli altri tipi di debito, manifestando il proprio consenso in maniera chiara con qualsiasi mezzo. L’esecuzione degli obblighi del nuovo contratto o della nuova obbligazione comportava l’estinzione degli obblighi derivanti dal vecchio debito (art. 16).
Un tratto che ha caratterizzato i negoziati e l’Accordo di Londra sin dall’inizio è stato considerare la capacità del debitore di far fronte ai pagamenti, specialmente alla luce dell’impossibilità di farsi carico delle riparazioni dopo il primo conflitto mondiale (Morales). Salvo una controversia arbitrale relativa alla svalutazione (Young Loan Arbitration), non si sviluppò un contenzioso dall’Accordo di Londra. Se si pensa al livello di complessità della ristrutturazione, a causa della natura eterogenea dei tipi di crediti e creditori inclusi, il risultato dell’Accordo acquista una valenza particolare: mostra l’alto tasso di stabilità cui può condurre una soluzione condivisa, globale e retta dal diritto internazionale pubblico.
La Germania era stata il motore dell’economia europea sin dalla fine dell’Ottocento, e il periodo interbellico aveva ampiamente dimostrato che l’Europa non poteva prosperare con una Germania malata. Questa poteva pertanto porre le proprie condizioni e pretendere una generosa ristrutturazione del proprio debito. Inoltre, gli Alleati occidentali avevano tutto l’interesse a sostenere una Germania federale forte anche come contrafforte all’Unione sovietica.
Il confronto con l’attuale situazione greca è istruttivo. La Grecia non può rivendicare un ruolo centrale come quello della Germania all’interno dell’economia europea. Tuttavia, oggigiorno l’appeal della Russia di Putin (malgrado la crisi del rublo), della Cina o di altri attori stranieri potrebbe giocare un ruolo non così dissimile da quello dell’Unione sovietica.
Tenere in considerazione la capacità di pagare fu la scelta vincente dell’Accordo di Londra, che non soffocò l’economia della neonata Repubblica federale, la quale poté giovarsi della ripresa legata alla ricostruzione postbellica. Nel contesto odierno, questo criterio pare ancora più significativo, alla luce della recessione che ha fatto seguito alla crisi finanziaria globale.
Inoltre, laddove nel 1953 gli Stati partecipanti potevano essere animati dallo spirito di riconciliazione tra ex nemici, il cammino compiuto dall’Unione europea, che si impegna a promuovere “la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri” (art. 3.2 TUE), dovrebbe costituire uno stimolo ulteriore alla cooperazione.
Infine, la negoziazione del debito tedesco era complicata dall’eterogeneità dei creditori (pubblici e privati) e delle tipologie di debito. I maggiori creditori della Grecia sono attualmente i Paesi euro, la BCE, il FMI e lo European Financial Stability Facility: un accordo per allungare i termini del rimborso sarebbe più semplice da mettere in pratica.
In conclusione, non pare peregrino ipotizzare che, di fronte a un irrigidimento del dialogo con i partner europei, il governo greco prenda in considerazione l’opzione di rivolgersi altrove per reperire i fondi di cui ha bisogno, con scenari foschi per l’avvenire dell’Unione “sempre più stretta e sempre più perfetta”. L’esempio della riduzione del debito tedesco nel 1953 potrebbe, forse, spingere i leader europei a qualche ripensamento.
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Grazie, molto più interessante e sensato di tanti intereventi recenti. PM