Il “nuovo quadro” dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto: un “contrappeso” ai limiti di applicazione della Carta ex articolo 51?
Rossana Palladino è Dottore di ricerca in “Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia” (Università degli Studi di Salerno) e Professore a contratto di Diritto dell’Unione europea (Università del Sannio).
Il 19 marzo 2014, la Commissione europea ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio una Comunicazione dal titolo “A new EU Framework to strengthen the Rule of Law” – COM(2014) 158 final/2, volta a definire a livello europeo un “nuovo quadro” per rafforzare lo Stato di diritto che, sollecitato dal Parlamento europeo e dal Consiglio stessi, è finalizzato ad introdurre nuovi meccanismi sanzionatori da applicarsi nei confronti di quegli Stati membri che violano costantemente lo Stato di diritto, ossia quei principi giuridici che consentono di difendere i valori fondamentali dell’Unione europea, come l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge o il corretto esercizio dei poteri pubblici.
La Comunicazione è inscrivibile nella più ampia serie di iniziative intraprese da quest’ultima per dare impulso alla definizione degli obiettivi strategici che saranno contenuti nel nuovo programma pluriennale sullo Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia “post-Stoccolma”. Si fa riferimento, in particolare, alle due Comunicazioni dell’11 marzo 2014 “An open and secure Europe: making it happen” COM(2014)154 e “The EU Justice Agenda for 2012 – Strengthening Trust, Mobility and Growth within the Union” COM(2014) 144 final. In particolare, si evidenzia che in quest’ultima la Commissione ha sollecitato lo sviluppo di uno “spazio comune di giustizia” pienamente operativo, basato su tre elementi chiave: fiducia, mobilità e crescita. In quest’ottica si comprende l’impulso nella definizione di un “nuovo quadro” per il rafforzamento dello Stato di diritto – quale elemento “intrinsecamente connesso” al rispetto della democrazia e dei diritti fondamentali – che persegua il duplice obiettivo di tutelare i suoi valori fondanti e di potenziare la fiducia reciproca e l’integrazione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne.
Più nel dettaglio, il “nuovo quadro” mira a garantire una tutela efficace e coerente dello Stato di diritto in tutti gli Stati membri, affrontando e risolvendo le situazioni di “minaccia sistemica” allo Stato di diritto. Devono cioè essere minacciati l’ordinamento politico, istituzionale e/o giuridico di uno Stato membro in quanto tale, la sua struttura costituzionale, la separazione dei poteri, l’indipendenza o l’imparzialità della magistratura, ovvero il suo sistema di controllo giurisdizionale compresa, ove prevista, la giustizia costituzionale, ad esempio in seguito all’adozione di nuove misure oppure di prassi diffuse delle autorità pubbliche e alla mancanza di mezzi di ricorso a livello nazionale. Il quadro verrà attivato allorché risulta che i meccanismi nazionali di salvaguardia dello Stato di diritto non sono in grado di affrontare efficacemente tali minacce.
Peraltro, come ben emerge dal discorso della Vice-Presidente Viviane Reding del 4 settembre 2013 (SPEECH/13/677) il “nuovo quadro” rappresenterebbe la formalizzazione di un ruolo già esercitato dalla Commissione europea per fronteggiare alcuni casi di “minaccia sistemica” allo Stato di diritto, come, ad esempio, nel caso della crisi relativa alla popolazione rom in Francia nel 2010 o agli attentati all’indipendenza del potere giudiziario durante la crisi politica del 2012 in Romania, nonché alle riforme costituzionali in Ungheria (sulla “questione ungherese”, si veda il post di Federico Casolari).
Nella specie, la procedura delineata dalla Commissione nella Comunicazione in analisi si basa sui seguenti principi:
– ricerca di una soluzione tramite il dialogo con lo Stato membro in questione;
– garanzia di una valutazione obiettiva approfondita della situazione;
– rispetto del principio della parità di trattamento degli Stati membri;
– indicazione di rapide azioni concrete che possono essere adottate per fronteggiare la minaccia sistemica ed evitare il ricorso ai meccanismi dell’articolo 7 del TUE.
In linea di principio, essa si articola in tre fasi che delineano un meccanismo di “preallarme” da attivarsi preliminarmente al verificarsi delle condizioni per ricorrere agli strumenti previsti dall’articolo 7 del TUE:
- Valutazione della Commissione: in questa fase la Commissione raccoglie ed esamina tutte le informazioni atte a verificare l’esistenza di una minaccia sistemica allo Stato di diritto. Nell’ipotesi in cui si configuri una situazione di minaccia, la Commissione avvia il dialogo con lo Stato membro, trasmettendo un parere motivato sullo Stato di diritto, al quale possono fare seguito risposte, riunioni con le autorità competenti e ulteriori contatti;
- Raccomandazione della Commissione: tale fase è attivata nell’eventualità in cui la questione non sia stata risolta a seguito della trasmissione del parere motivato. Nella raccomandazione la Commissione indicherà chiaramente i motivi della sua preoccupazione, invitando lo Stato membro interessato a risolvere i problemi individuati entro un termine fissato.
- Follow-up della raccomandazione della Commissione: in questa fase la Commissione controllerà il seguito che lo Stato membro ha dato alla raccomandazione ad esso rivolta. In ipotesi di misure ritenute non soddisfacenti, la Commissione valuterà l’attivazione di uno dei meccanismi previsti dall’articolo 7 del TUE.
Che rapporto esiste tra i nuovi meccanismi descritti e gli altri strumenti già predisposti dai trattati (in particolare la procedura di infrazione ex articolo 258 TFUE e i meccanismi previsti dall’articolo 7 TUE) e utilizzabili ai fini di contrastare violazioni dello Stato di diritto da parte dei Paesi membri dell’Unione?
La Commissione stessa, nella Comunicazione de quo, si sofferma su tale questione, in primis affermando che il meccanismo poc’anzi descritto non pregiudica il potere della Commissione di affrontare situazioni specifiche che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione mediante la procedura di infrazione ai sensi dell’articolo 258 del TFUE.
Rispetto alla procedura di infrazione ex articolo 258 TFUE, il meccanismo individuato nel “nuovo quadro” per il rafforzamento dello Stato di diritto risulta avere funzione preliminare e complementare e non già funzione sostitutiva, laddove la Commissione sottolinea come tutti i provvedimenti propedeutici all’avvio della procedura di infrazione, fondata sull’articolo 258 del TFUE, abbiano dimostrato di essere uno strumento importante per affrontare taluni aspetti problematici inerenti allo Stato di diritto.
Ci si potrebbe, dunque, chiedere quale sia l’esigenza sottostante alla creazione di un ulteriore meccanismo, così come delineato all’interno del “nuovo quadro” proposto dalla Commissione europea. Essa muove da un limite tecnico-giuridico che connota la procedura di infrazione, consistente nella possibilità di giungere alla sua attivazione esclusivamente in ipotesi in cui problematiche inerenti alla minaccia sistemica dello Stato di diritto configurino anche la violazione di una specifica disposizione del diritto dell’Unione europea.
Orbene, tale limite imposto dalla lettera dei trattati “si scontra” con l’obiettivo di un progressivo rafforzamento del ruolo della Commissione europea quale “custode” non solo dei Trattati, ma anche della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, specie a seguito dell’acquisita vincolatività giuridica della stessa (articolo 6, par. 1, TUE). All’uopo, si evidenzia che l’obiettivo di utilizzare e rafforzare tutti i mezzi a sua disposizione per garantire il rispetto della Carta dei diritti fondamentali emergeva, in particolare, già nella Comunicazione “Strategia per un’attuazione effettiva della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” del 19 ottobre 2010 (COM(2010) 573 final), in cui la Commissione aveva dedicato specifica attenzione all’articolo 47 della Carta, ai sensi del quale ogni persona i cui diritti garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice indipendente.
Tuttavia, l’azione della Commissione quale “custode della Carta” trova un limite di intervento nel disposto dell’articolo 51 della Carta stessa, che, come è noto, ne definisce l’ambito di applicazione per gli Stati membri “esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione”.
Sono, altresì, note le recenti pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea che hanno precisato i contorni della formula di apparentemente facile interpretazione contenuta nella suddetta disposizione orizzontale (sentenze Ymeraga; Pringle; Åklagaren; Siragusa) e sostanzialmente ribadito i limiti di intervento delle Istituzioni europee nell’imporre il rispetto della Carta da parte degli Stati membri in ipotesi prive di “elementi di collegamento” con il diritto dell’Unione europea.
Da ultimo, tale limite è stato evidenziato dalla stessa Commissione nel recentissimo rapporto (2013) sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (COM(2014) 224 final del 14 aprile 2014).
Nel quadro così delineato, il “meccanismo di preallarme” individuato dalla Commissione può rappresentare una sorta di “contrappeso” ai limiti applicativi della Carta poc’anzi evidenziati. Rileva quale elemento fondamentale il dato che la nuova procedura venga “ancorata” – in quanto meccanismo di “preallarme” – agli strumenti che la Commissione ha a disposizione ai sensi dell’articolo 7 del TUE, il cui campo di applicazione non risulta limitato ai settori disciplinati dal diritto dell’Unione.
Tuttavia, il meccanismo preventivo ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del TUE può essere attivato solo in caso di “evidente rischio di violazione grave” e quello sanzionatorio ai sensi del paragrafo 2 dello stesso articolo solo in caso di “violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro” dei valori sanciti dall’articolo 2 del TUE. Le soglie di attivazione di entrambi i meccanismi contemperati nell’articolo 7 del TUE sono molto alte e li caratterizzano come strumenti di ultima istanza.
Da qui l’esigenza (in particolare emersa nel discorso del Presidente Barroso del 12 settembre 2012) di ampliare le possibilità di intervento della Commissione europea tramite un nuovo strumento che si colloca a metà strada tra il carattere di “soft power” della persuasione politica e la cd. “opzione nucleare” o “di ultima istanza”, che può condurre alla sospensione di alcuni diritti derivanti allo Stato membro dall’applicazione dei trattati, rappresentata dall’articolo 7 TUE.
Tale meccanismo di intervento – attivabile non già in casi individuali di violazione dei diritti fondamentali o errori giudiziari (che vanno trattati dagli ordinamenti giudiziari nazionali e nell’ambito di meccanismi di controllo istituiti dalla CEDU) ma in ipotesi di “minacce sistemiche” – prescinde, come si è anticipato, dall’attuazione del diritto dell’Unione europea e determina, in tal senso, un rafforzamento dei poteri della Commissione nella difesa dello Stato di diritto in quanto valore comune essenziale nell’UE.
Il “nuovo quadro”, infatti, conferisce all’Unione il potere di intervenire per tutelare lo Stato di diritto anche nei settori concernenti l’azione autonoma degli Stati membri, il che trova giustificazione nel fatto che la violazione di tale valore fondamentale rischia di pregiudicare gli stessi fondamenti dell’Unione europea basati sulla reciproca fiducia tra gli Stati membri.
La concreta attuazione di tale nuovo meccanismo non è scevra di alcuni profili di problematicità, legati – oltre che alla definizione di “minaccia sistemica” – in primo luogo alla considerazione che, seppure “valore condiviso” dagli Stati membri, non sussiste a livello europeo una “nozione condivisa” di Stato di diritto. All’uopo, una base di partenza per la definizione uniforme di “Stato di diritto”, che tenga conto delle differenti tradizioni giuridiche sulle quali tale principio è modellato negli ordinamenti degli Stati membri, può essere rappresentata dalla nozione elaborata dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia) nell’ambito del Consiglio d’Europa nel suo Report on the Rule of Law, Strasbourg, 4 April 2011, Study No. 512/2009). Da quest’ultima la Commissione europea ha attinto nell’individuazione (contenuta nell’allegato n. 1 alla Comunicazione) di un nucleo minimo di principi rientranti nel concetto di Stato di diritto (principio di legalità, secondo cui il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico; certezza del diritto; divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; indipendenza e imparzialità del giudice; controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali; uguaglianza davanti alla legge).
Ma quello che in questa sede preme evidenziare è l’esigenza sottesa al “nuovo quadro”, legata alla volontà di progredire verso un’azione più incisiva della Commissione nell’assicurare il rispetto dei valori “fondanti” l’Unione europea. Oltre allo Stato di diritto, l’articolo 2 del TUE contempla anche la dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, i diritti umani, ossia valori “comuni” a cui risultano riconducibili lato sensu anche molte previsioni normative contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Di tal che, attraverso il progressivo rafforzamento dei poteri di azione dell’UE nell’assicurare il rispetto di tali valori “fondanti”, potrebbe potenzialmente assicurarsi “per via indiretta” l’obbligo di applicazione di segmenti di Carta dei diritti fondamentali, così travalicando i limiti di operatività fissati dall’articolo 51 della Carta stessa.
All’uopo, nell’ottica della Vice-Presidente Viviane Reding (dal suo citato discorso del 4 settembre 2013 trae origine la Comunicazione della Commissione) si evidenzia che il meccanismo di “preallarme” configurato nel “nuovo quadro” sul rafforzamento dello Stato di diritto intende rappresentare solo il primo step di un progetto più ampio finalizzato ad un complessivo rafforzamento dei poteri della Commissione in tale ambito. Un progetto che, peraltro, potrebbe condurre alla proposta di abolizione (per il momento solo auspicata dalla Vice-Presidente pur nella consapevolezza della sua ambizione) dell’articolo 51 della Carta e, di conseguenza, alla piena operatività – tra gli altri – del diritto ad un ricorso effettivo di cui all’articolo 47 della Carta a prescindere dall’ ambito materiale coinvolto.
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La Comunicazione è certamente molto interessante, ma anche estremamente problematica proprio per lo strumento scelto. Se è vero che l’art. 51 della Carta pone un limite alle concrete possibilità per la Commissione di esercitare il suo ruolo di custode dei Trattati e della Carta stessa, è ben difficile che un limite stabilito dal diritto primario possa essere rimosso con una semplice Comunicazione. Ma i problemi potrebbero restare anche ancorando la nuova procedura all’art. 7 TUE, nel senso che il potere di effettuare una valutazione, di formulare una raccomandazione allo Stato membro e di svolgere la fase di follow-up sarebbe prodromico all’esercizio del potere di proposta della Commissione ex art. 7. Infatti, pare singolare che la previsione di una disciplina di dettaglio rispetto a una norma di tale portata, con l’attribuzione di nuovi poteri alla Commissione (come il follow-up), possa avvenire ad ordinamento invariato e con una mera Comunicazione.