Dibattito sul SIDIBlog: Verso una codificazione europea del diritto internazionale privato?/Towards a EU PIL Codification? (4) Quale disciplina per le norme di applicazione necessaria nell’ambito di un codice europeo di diritto internazionale privato?
Zeno Crespi Reghizzi è professore associato di diritto internazionale nell’Università di Milano.
1. Una disciplina unitaria della “parte generale” del sistema di diritto internazionale privato dell’Unione europea dovrebbe regolare, tra le altre questioni, le norme di applicazione necessaria, ossia quelle disposizioni imperative che, per la loro particolare intensità valutativa, devono trovare applicazione nonostante il richiamo di una legge straniera (cfr. Sonnenberger, Eingriffsnormen, in Brauchen wir eine Rom 0-Verordnung?; Bariatti, Pataut, Codification et théorie générale du droit international privé, in Quelle architecture pour un code européen de droit international privé?).
Il progetto di articoli predisposto dal prof. Lagarde (“Embryon de Règlement portant un Code européen de droit international privé”, in RabelsZ, 2011) dà al problema una soluzione tradizionale, prevedendo, all’art. 136, che “Les dispositions de la présente loi ne pourront porter atteinte à l’application des dispositions de la loi du for qui, en raison de leur but particulier, entendent régir impérativement la situation, quel que soit le droit désigné par les règles de conflit”.
All’apparente semplicità di questa proposta si contrappone l’eterogeneità delle soluzioni sinora accolte nei diversi regolamenti di diritto internazionale privato attualmente in vigore.
In primo luogo, soltanto i regolamenti n. 593/2008 (“Roma I”) e n. 864/2007 (“Roma II”) sulla legge applicabile alle obbligazioni rispettivamente contrattuali e non contrattuali fanno espressamente salva la possibilità di dare effetto alle norme di applicazione necessaria. Al contrario, né il reg. n. 4/2009 sulle obbligazioni alimentari (in combinato disposto con il protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, richiamato dal regolamento medesimo), né il reg. n. 1259/2010 sulla legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, né infine il reg. n. 650/2012 sulle successioni contengono alcuna disposizione generale al riguardo. Questa diversità di trattamento contrasta con le soluzioni finora seguite dai sistemi nazionali di diritto internazionale privato (ad esempio, in Italia con l’art. 17 della legge 31 maggio 1995, n. 218), in cui l’operatività delle norme di applicazione necessaria (quantomeno di quelle appartenenti alla lex fori) è ammessa in via generale, senza distinzione di materie.
In secondo luogo, anche tra i regolamenti Roma I e Roma II – che, come ricordato, autorizzano il ricorso alle lois de police – sussistono importanti differenze.
Infatti, il reg. Roma II si limita a prevedere, all’art. 16, che esso non pregiudica l’applicazione “delle disposizioni della legge del foro che siano di applicazione necessaria alla situazione, quale che sia la legge applicabile all’obbligazione extracontrattuale”. L’art. 16, quindi, da un lato, non offre alcuna definizione delle norme di applicazione necessaria, dall’altro lato, riferendosi unicamente alle disposizioni della lex fori, non contempla la possibilità di dare effetto a lois de police straniere. Queste ultime potranno eventualmente venire in rilievo, “quale dato di fatto e ove opportuno” (ai sensi dell’art. 17), come “norme di sicurezza e di condotta” ove siano in vigore “nel momento e nel luogo in cui si verifica il fatto che determina la responsabilità”.
Diverso è il regime delle norme di applicazione necessaria nel reg. Roma I. L’art. 9.1, riprendendo la formula utilizzata dalla Corte di giustizia nella sentenza Arblade del 23 settembre 1999, le definisce come “disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale ed economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo di applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto”. Inoltre, l’art. 9.3 del reg. Roma I consente di “dare efficacia” anche alle norme di applicazione necessaria di un ordinamento diverso dalla lex fori, e segnatamente del paese di esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto, nella misura in cui tali disposizioni rendano illecito il suo adempimento.
2. Nella prospettiva di una codificazione della parte generale di diritto internazionale privato dell’Unione europea, occorrerà verificare se una disciplina così frammentata quale quella attuale sia effettivamente necessaria o se non sia invece possibile elaborare un regime comune per le lois de police, salvo poi eventualmente mantenere, per ciascuna materia, quegli adattamenti puntuali che fossero specificamente richiesti.
Pare ad esempio che la definizione delle norme di applicazione necessaria contenuta nel citato art. 9.1 del reg. Roma I possa essere utilmente richiamata anche al di fuori della materia contrattuale: risultato, questo, cui la dottrina perviene già oggi, estendendola al reg. Roma II, sulla base di un principio di interpretazione sistematica. L’introduzione di un regime tendenzialmente unitario per le lois de police avrebbe poi per naturale conseguenza la sua estensione alla materia familiare (alimenti, divorzio e successioni), rispetto alla quale, come ricordato, manca attualmente una previsione generale che consenta il ricorso alle norme di applicazione necessaria.
Naturalmente, anche in presenza di una definizione uniforme, gli Stati membri restano competenti a individuare autonomamente le proprie norme di applicazione necessaria (e con soluzioni diverse in funzione delle rispettive tradizioni giuridiche: si pensi alla nozione restrittiva di Eingriffsnormen accolta in Germania, che comprende soltanto le norme che tutelano interessi pubblicistici e non quelle volte semplicemente a preservare l’equilibrio delle parti contrattuali).
Fermo restando dunque che spetta agli Stati membri individuare le proprie norme internazionalmente imperative, l’estensione all’intero sistema di diritto internazionale privato dell’Unione europea di un concetto uniforme di loi de police offrirebbe uno strumento per bilanciare efficacemente la certezza e prevedibilità del diritto applicabile con l’esigenza degli Stati di garantire l’applicazione di quelle norme imperative funzionali al perseguimento di obiettivi ritenuti essenziali. Tale strumento dovrà poi essere utilizzato dai giudici nazionali per verificare, se del caso sulla scorta delle indicazioni della Corte di giustizia, che una determinata norma nazionale imperativa risponda alla nozione autonoma di loi de police.
Ciò è avvenuto, ad esempio, nel caso deciso con la sentenza Unamar del 17 ottobre 2013, in cui il giudice nazionale belga interrogava la Corte sulla possibilità di applicare, a titolo di norme di applicazione necessaria e in deroga alla lex contractus bulgara scelta dalle parti, la legge belga sul contratto di agenzia commerciale. Nel rispondere al quesito, la Corte di giustizia ha sottolineato la necessità, per il giudice nazionale, di accertare in modo circostanziato (e cioè alla luce “dei termini precisi”, “dell’impianto sistematico” e “dell’insieme delle circostanze in cui è stata adottata la legge in parola”) che essa “rivesta carattere imperativo” (e cioè sia una loi de police), il che presuppone che sia stata emanata “al fine di tutelare un interesse ritenuto essenziale dallo Stato membro interessato”.
Nel caso deciso era applicabile ratione temporis la Convenzione di Roma del 1980, il cui art. 7, come noto, non contiene la definizione uniforme di “norma di applicazione necessaria” oggi espressa nell’art. 9.1 del reg. Roma I. Nondimeno, la Corte ha ritenuto che – anche nel regime della convenzione – l’esigenza di conferire piena efficacia (effet utile) al principio di autonomia della volontà delle parti del contratto postulasse una interpretazione restrittiva dell’art. 7.2. L’interpretazione restrittiva della nozione di loi de police appare dunque strettamente legata, nella motivazione della Corte, al principio della libertà delle parti di scegliere il diritto applicabile, espressamente qualificato dalla Corte come “pietra angolare” nel diritto internazionale privato dei contratti. Ove la sopra citata definizione venisse generalizzata ad altri settori – nei quali il ruolo dell’autonomia della volontà è meno intenso –, il concetto di “norma di applicazione necessaria” andrebbe comunque interpretato restrittivamente per garantire la certezza del diritto.
3. Anche le norme materiali di diritto dell’Unione europea – e le leggi nazionali che le attuano – possono entrare in gioco quali “norme di applicazione necessaria” ed eventualmente condurre a disapplicare la legge di un paese terzo scelta dalle parti, ove la loro osservanza sia necessaria per la realizzazione degli obiettivi del Trattato. Questa soluzione, affermata nella sentenza Ingmar del 9 novembre 2000, pare conforme alla definizione oggi contenuta nell’art. 9.1 del reg. Roma I.
Più delicato è il problema sottoposto alla Corte nel sopra citato caso Unamar, e cioè stabilire se una norma nazionale che abbia trasposto una direttiva di armonizzazione minima – innalzando il livello di tutela previsto dalla direttiva – possa essere qualificata “loi de police” e consentire di disapplicare la legge di un altro Stato membro (scelta dalle parti), ove quest’ultima legge abbia anch’essa correttamente trasposto la direttiva. Come chiarito nelle conclusioni dell’AG Wahl, a tale quesito si può rispondere affermativamente in caso di direttiva di armonizzazione minima, salva la necessità di verificare in modo circostanziato che la norma nazionale effettivamente persegua un interesse ritenuto essenziale per lo Stato in questione. Al contrario, in caso di direttiva di armonizzazione completa, non vi è spazio per l’applicazione di una norma della lex fori quale loi de police (ove la lex contractus sia quella di uno Stato membro), essendo la finalità di tutela della norma imperativa già soddisfatta dalla armonizzazione completa derivante dalla direttiva.
Fermo quanto precede, l’applicazione di una loi de police nazionale incontra poi un ulteriore limite, derivante questa volta non dalla definizione contenuta nelle norme di diritto internazionale privato applicabili, bensì dal primato del diritto materiale dell’Unione sul diritto nazionale (cfr. Bonomi, Le norme di applicazione necessaria nel regolamento “Roma I”, in La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I)). Anche le norme di applicazione necessaria, infatti, in quanto norme nazionali, devono rispettare le libertà stabilite dai Trattati. La proposta del Gruppo europeo di diritto internazionale privato di codificare tale principio in sede di conversione della convenzione di Roma in regolamento non ha poi avuto seguito: ma una espressa previsione in tal senso non sembra necessaria, giacché – come ricordato – la regola espressa si fonda direttamente sulla preminenza del diritto europeo.
4. Meno sicura, infine, è la possibilità di estendere al reg. Roma II (ed eventualmente ai regolamenti in materia familiare) il principio sotteso all’art. 9.3 del reg. Roma I sulle norme di applicazione necessaria di uno Stato terzo. Infatti, ancorché nelle legislazioni nazionali non manchino esempi che assegnano rilievo a norme straniere di applicazione necessaria per tutte le materie (cfr. ad es. l’art. 20 del codice belga di d.i.pr.; al di fuori dell’Unione europea, cfr. l’art. 19 della legge federale svizzera sul d.i.pr.), storicamente la soluzione codificata nell’art. 9.3 si è sviluppata con riferimento specifico alla materia contrattuale, come dimostra la giurisprudenza inglese sviluppatasi a partire dal noto caso Ralli Brothers.
Del resto, per la responsabilità extracontrattuale, come ricordato, l’attuale disciplina consente già di tenere conto delle norme di sicurezza e di condotta del locus commissi delicti. Eventualmente, quindi, la soluzione di cui all’art. 9.3 potrebbe essere mantenuta per la sola materia contrattuale.
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