Sulla coerenza del programma OMT con il diritto dell’Unione europea
Il framework istituzionale dell’Unione economica e monetaria: la cornice teorica
Il complesso di regole che fa da quadro di riferimento per le politiche macroeconomiche in Europa è in larga misura “figlio” di un indirizzo teorico che, a volerlo racchiudere in una etichetta, potrebbe essere definito approccio della neutralità della moneta: in sintesi, le variazioni della massa monetaria in circolazione producono effetti solo temporanei sulle variabili reali (livello di attività economica, tasso di disoccupazione, distribuzione del reddito tra le categorie sociali), ma nel lungo periodo le reazioni spontanee degli operatori economici inducono modificazioni del livello dei prezzi dei beni di segno e dimensioni tali da neutralizzare gli effetti reali. Le implicazioni di policy di questa visione del funzionamento del sistema economico possono essere schematicamente sintetizzate nei seguenti punti:
(i) è opportuno che le autorità preposte al controllo della quantità di moneta rinuncino alla velleitaria ambizione di condizionare le variabili reali e concentrino la loro attenzione sull’obiettivo della stabilità dei prezzi;
(ii) per poter condurre la politica monetaria verso il perseguimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi libere da condizionamenti di sorta, è opportuno che le autorità preposte al controllo della quantità di moneta siano formalmente svincolate da ogni altro tipo di responsabilità istituzionale;
(iii) più in particolare, è opportuno le autorità monetarie non abbiano alcun obbligo di assecondare le politiche fiscali dei governi (“divorzio” tra autorità fiscali e monetarie), né responsabilità di fronte ad eventuali rischi di insolvenza di istituzioni sovrane (“no bail-out”);
(iv) per evitare che le autorità monetarie debbano, loro malgrado, confrontarsi con alternative drammatiche, è in ogni caso opportuno disegnare e implementare procedure capillari e rigorose di controllo sullo “stato di salute” delle finanze pubbliche.
La sezione del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) che definisce ambiti di azione, prerogative e responsabilità dei principali attori istituzionali in seno all’UEM (Unione economica e monetaria) rivela in maniera assai evidente questa “paternità” teorica: l’art. 127 TFUE accoglie infatti l’idea della dedizione esclusiva dell’autorità monetaria all’obiettivo della stabilità dei prezzi, mentre gli artt. 123 TFUE, 125 TFUE, 126 TFUE e 130 TFUE mettono il banchiere centrale nelle condizioni ideali per realizzarlo, blindandolo dalle eventuali pressioni degli organismi espressione della sovranità popolare mediante il riconoscimento di uno status di sostanziale irresponsabilità nei loro confronti (art. 130), svincolandolo da obblighi concernenti il finanziamento dell’attività di spesa dei governi dei Paesi membri (art. 123) e da responsabilità relative all’adempimento delle relative obbligazioni finanziarie (art. 125), e infine predisponendo un complesso meccanismo di controllo sullo stato di salute delle loro finanze (art. 126, recentemente rafforzato dal c.d. Fiscal Compact).
La politica monetaria in Europa in tempi di turbolenza
Mentre una larghissima maggioranza degli studiosi valuta l’approccio alla politica economica sintetizzato nei principi (i) – (iv) come il più adeguato ad un mondo caratterizzato da mercati “efficienti”, il consenso sull’adeguatezza di quel “modello” ad uno scenario caratterizzato da ipotesi meno ottimistiche sul funzionamento dei mercati è decisamente più limitato. Numerosi e prestigiosi ambienti accademici condividono infatti l’idea che, in presenza di incompleta utilizzazione delle risorse produttive, di segmentazione dei mercati o di imperfezioni informative, la moneta smetta di essere “neutrale” e possa, al contrario, esercitare effetti rilevanti sulle variabili di natura reale. In tutte queste ipotesi, gli impulsi monetari tenderanno a trasmettersi solo parzialmente sui prezzi e a dar vita pertanto a modificazioni del livello di attività produttiva e/o della distribuzione del reddito tra le diverse categorie di operatori.
Alla luce di queste considerazioni, alcuni dei principi-cardine dell’architettura normativa dell’UEM appaiono poco adatti a fronteggiare fasi recessive generalizzate o anche shock “locali” suscettibili di dar luogo a squilibri commerciali interni all’Unione di dimensione sostanziale: infatti, sotto queste ipotesi, da un lato l’idea che l’autorità monetaria debba dedicarsi in via esclusiva all’obiettivo della stabilità dei prezzi perde la sua apparenza di generale buon senso e potrebbe in molti casi rivelarsi come un’opzione sostanzialmente “masochista”; dall’altro, la drastica separazione di responsabilità (e la conseguente assenza di coordinamento) tra autorità monetarie e fiscali (e tra autorità fiscali di diversi Paesi membri) potrebbe rischiare di determinare incentivi strategici di natura perversa sul comportamento dei diversi attori istituzionali coinvolti, finendo quindi per accentuare dinamiche di segno negativo delle principali variabili macroeconomiche.
Il deterioramento delle condizioni macroeconomiche in alcuni Paesi membri dell’UEM ed il conseguente diffondersi sui mercati di aspettative di “sganciamento” di tali Paesi dalla moneta unica, la BCE è stata costretta pertanto a confrontarsi con un serio problema: come riportare ordine in uno scenario macroeconomico “turbolento” muovendosi all’interno dei vincoli imposti da un quadro normativo progettato per gestire scenari caratterizzati, al contrario, da sostanziale stabilità. Più in particolare, di fronte al diffondersi nei mercati di forti dubbi circa la solvibilità di alcune istituzioni sovrane dei Paesi dell’UEM, la BCE ha dovuto interrogarsi sull’opportunità di progettare tecniche di intervento sui mercati in grado di scongiurare il rischio che i titoli del debito di tali Paesi fossero travolti dagli attacchi speculativi, senza tuttavia imbattersi nei limiti normativi definiti dal TFUE. La decisione del Governing Council del 6 settembre 2012 concernente le OMT (Outright Monetary Transactions) è uno dei risultati di questo sforzo di creatività: si tratta di operazioni di acquisto sul mercato secondario di titoli di debito emessi da istituzioni sovrane interessate dai programmi di supporto EFSF (European Financial Stability Facility) o ESM (European Stability Mechanism), e quindi condizionate all’impegno, da parte dell’istituzione destinataria dell’intervento, ad attuare un programma di aggiustamento macroeconomico definito d’intesa con il Consiglio europeo. La difficoltà di conciliare gli obiettivi sottesi a questa innovativa tecnica d’intervento con la visione ispiratrice del TFUE è tuttavia apparsa subito evidente, fornendo il pretesto ad un gruppo di deputati e professori tedeschi per un ricorso di conformità costituzionale presso il BVerfG (Corte costituzionale federale della Repubblica di Germania).
Obiettivi “espliciti” ed “impliciti” delle OMT
La BCE, probabilmente proprio per renderla “digeribile” agli organi politici e giurisdizionali al cui vaglio sarebbe stata sottoposta, ha ovviamente raccontato questa storia in una salsa diversa. Nella ricostruzione fornitane nel comunicato stampa del 6 settembre 2012, le OMT vengono descritte come uno strumento finalizzato “… at safeguarding an appropriate monetary policy transmission and the singleness of the monetary policy”. In parole più semplici, in un contesto caratterizzato da forti dubbi dei mercati sulla solvibilità di alcune istituzioni sovrane, i tassi d’interesse finiscono per incorporare il “rischio Paese”: ne risulta un “ventaglio” di tassi fortemente differenziati su base nazionale. La politica monetaria, che agisce fondamentalmente attraverso gli stimoli trasmessi ai tassi d’interesse, rischia pertanto di esercitare effetti sostanzialmente asimmetrici sui diversi Paesi membri dell’UEM. Nello scenario macroeconomico attuale, la politica monetaria può quindi concorrere efficacemente al conseguimento dei suoi obiettivi istituzionali soltanto se la BCE interviene a correggere queste asimmetrie, contribuendo a realizzare condizioni sostanzialmente omogenee nell’intero mercato monetario dell’area euro. Alla luce di questa interpretazione, le OMT rappresenterebbero pertanto lo strumento elettivo di questo necessario processo di “fluidificazione” dei canali di trasmissione della politica monetaria.
Vale la pena di osservare che questi due modi diversi di raccontare la raison d’étre delle OMT non sono affatto contraddittori. Infatti, l’acquisto titoli di debito sovrano percepiti dagli operatori di mercato come molto rischiosi, tendendo ad attenuare gli spread rispetto ai tassi prevalenti sui titoli “sicuri”, dovrebbe permettere alla BCE di conseguire contestualmente entrambi gli obiettivi: da un lato, dare un po’ di respiro a Stati membri sull’orlo dell’insolvenza (in attesa che i piani di aggiustamento macroeconomico concordati nell’ambito dei programmi EFSF/ESM comincino ad invertire la dinamica tendenziale degli indicatori di finanza pubblica), e dall’altro realizzare l’ambiente più idoneo al corretto dispiegarsi degli effetti della politica monetaria mediante la “disostruzione” del suo principale canale di trasmissione. Queste prime osservazioni sono molto rilevanti ai fini della valutazione di una delle questioni di merito sollevate dal BVerfG nel giudizio di conformità costituzionale (la conformità del programma OMT all’art. 123 TFUE), in quanto chiariscono come il “fatto” oggetto del giudizio abbia natura estremamente sfuggente e come il giudizio rischi pertanto di avere appigli abbastanza fragili ad elementi di oggettività e di doversi basare sulla ricostruzione della finalità ispiratrice della decisione: insomma, su uno scivoloso “processo alle intenzioni” del banchiere centrale.
I limiti del “mandato” della BCE: che cos’è la politica monetaria?
Con la decisione del 14 Gennaio 2014, il BVerfG, rompendo una consolidata prassi giurisprudenziale, ha rinviato la questione dinanzi alla Corte di giustizia. In tal modo essa ha chiarito senza possibilità di equivoco che il quadro di riferimento normativo a cui la BCE deve ritenersi assoggettata è il TFUE. Si tratta, come molti commentatori hanno osservato, di una profonda novità nell’orientamento della Corte di Karlsruhe, che finora aveva sempre ritenuto le attività degli organi dell’Unione sottoposte alle regole dello Stato tedesco (sull’argomento vd qui, qui, qui e qui).
Tuttavia, sul piano del merito, il BVerfG ha “condito” l’istanza di rinvio con un esplicito scetticismo circa la compatibilità del programma OMT con il diritto primario europeo. Il primo problema posto alla CJEU consiste nel chiarire se la decisione della BCE concernente le OMT ricada o meno nell’ambito del mandato del banchiere centrale, a cui gli artt. 119 e 127 TFUE (nonché lo Statuto del Sistema europeo delle Banche centrali) attribuiscono esclusivamente funzioni di politica monetaria, riservando invece agli Stati membri le competenze di politica economica.
In effetti, in assenza di una disposizione normativa che ne definisca con esattezza i contenuti, che cosa debba intendersi per “politica monetaria” non è affatto una questione banale. Nella letteratura teorica appare pacifico che tale espressione identifichi una ampia varietà di modalità di intervento accomunate dal fatto di esplicarsi attraverso il condizionamento dei prezzi e dei volumi di attività scambiate sui mercati monetari e finanziari. Tuttavia, a giudicare dalla lettura del dispositivo, a giudizio del BVerfG, perché una tecnica di intervento possa legittimamente essere considerata rientrante nell’ambito della politica monetaria, occorre una condizione aggiuntiva: le operazioni di acquisto (o di vendita) non devono essere selettivamente indirizzate verso una categoria specifica di titoli definita in base all’identità dell’istituzione emittente. La politica monetaria, in altre parole, dovrebbe operare condizionando il livello generale dei tassi d’interesse, ma non i differenziali tra i tassi dei titoli emessi da diverse istituzioni sovrane. Se invece il banchiere centrale concentra le operazioni di acquisto (vendita) su un gruppo specifico di titoli di debito sovrano, egli finirebbe per alterare gli esiti del meccanismo di mercato, svolgendo de facto una funzione redistributiva tra contribuenti residenti in Paesi diversi dell’UEM che non dovrebbe competergli.
Si tratta di un rilievo non privo di qualche fondamento, non fosse altro perché evidenzia tutti i limiti dell’impianto di policy adottato dal TFUE. É senz’altro ragionevole che ad un organismo privo di legittimazione democratica non dovrebbero competere funzioni redistributive. Tuttavia, va osservato che il TFUE assegna al banchiere centrale il compito di stabilizzare il livello generale dei prezzi e, come si è chiarito qualche riga più in alto, il conseguimento di questo obiettivo è realizzabile senza effetti redistributivi soltanto in condizioni assai ipotetiche e non facilmente riscontrabili nel mondo reale. Più nello specifico, come opportunamente evidenziato dalla BCE nel corso del procedimento dinanzi al BVerfG, in presenza di diffusi dubbi sulla solvibilità di alcune istituzioni sovrane, e quindi di tassi d’interesse che incorporano la percezione del “rischio Paese” da parte dei mercati, la politica monetaria può trasmettere gli impulsi desiderati sul livello dei prezzi solo se gli interventi hanno natura “selettiva” (e quindi se hanno effetti implicitamente redistributivi). Alla luce di tali considerazioni, nelle circostanze indicate, vietare alla BCE di praticare forme di intervento aventi effetti redistributivi significherebbe implicitamente vietarle di perseguire il proprio obiettivo istituzionale.
Il BVerfG, seguendo le argomentazioni dei ricorrenti, obietta che se interventi di tale natura fossero davvero imprescindibili ai fini del conseguimento della stabilità dei prezzi, allora il banchiere centrale non dovrebbe in nessun modo renderli condizionali all’attuazione, da parte dell’istituzione sovrana beneficiaria dell’intervento, dei piani di aggiustamento macroeconomico concordati nell’ambito dei programmi EFSF/ESM. Insomma, delle due l’una: o gli interventi selettivi sono necessari ai fini della stabilità dei prezzi, e allora andrebbero eseguiti indipendentemente dall’implementazione di programmi di aggiustamento macroeconomico; oppure tali interventi non rivestono carattere di necessità ai fini dell’obiettivo definito dall’art. 127 TFUE, e allora andrebbero evitati per le ragioni appena esposte. Tuttavia, questa obiezione sembra sottintendere una interpretazione del ruolo della ECB eccessivamente rigida, spingendosi a disegnare una figura di banchiere centrale sostanzialmente indifferente al rischio dell’opportunismo fiscale dei Paesi membri finanziariamente sovraesposti. Interpretazione difficilmente condivisibile, soprattutto alla luce della circostanza che l’art. 123 TFUE assegna di fatto alla BCE un ruolo importante rispetto all’obiettivo di disincentivare comportamenti fiscali improntati al moral hazard.
Le OMT alla luce dell’art. 123 TFUE
Le argomentazioni del BVerfG relative alla presunta violazione del “mandato” da parte della BCE sembrano avvitarsi in un clamoroso “corto circuito” quando essa contesta l’operato del banchiere centrale sul piano della conformità all’art. 123 TFUE.
Ai fini di una corretta valutazione di questo aspetto della questione, è bene chiarire che tale disposizione, mentre vieta tassativamente alla banca centrale di finanziare gli Stati membri acquistando titoli pubblici direttamente dalle istituzioni emittenti, in base ad un’interpretazione largamente dominante la lascia invece libera di effettuare operazioni di acquisto sul mercato secondario, a condizione che, come chiarito nel Regolamento del Consiglio n. 3603/93, tali operazioni “…non vengano utilizzate per eludere l’obiettivo dell’art. 123”. Diventa pertanto cruciale, ai fini della soluzione della controversia, individuare quale sia l’obiettivo che il costituente di Maastricht si era proposto di conseguire attraverso tale disposizione. Al riguardo, l’interpretazione prevalente in letteratura è che l’art. 123 TFUE sia finalizzato ad incentivare gli Stati membri al rispetto della disciplina fiscale. La finalità della disposizione sarebbe quindi da considerarsi implicitamente “elusa” se dovessero riscontrarsi, nell’attività della BCE, comportamenti suscettibili di determinare un allontanamento degli Stati membri dai dettami del rigore fiscale.
Nel dispositivo del rinvio alla Corte di Lussemburgo, il BVerfG segue invece una diversa metodologia di valutazione: ricostruire la “intenzione” del banchiere centrale attraverso elementi di natura “indiziaria” implicitamente “inscritti” nella tecnica operativa prescelta. Rispetto a tale operazione concettuale, acquistano pertanto rilievo aspetti quali la selettività degli acquisti, il “parallelismo” degli interventi rispetto ai programmi di assistenza finanziaria EFSF/ESM, l’espressa volontà della BCE di partecipare a programmi di ristrutturazione del debito delle istituzioni destinatarie degli interventi: agli occhi del Tribunale di Karlsruhe tutti questi elementi rivelerebbero implicitamente l’intenzione del banchiere centrale di fornire agli Stati destinatari degli interventi mezzi finanziari a buon mercato che avrebbero altrimenti serie difficoltà a procurarsi.
Si è già rilevato quanto questa metodologia sia scivolosa. Vale la pena di aggiungere che essa conduce a risultati quanto meno controintuitivi: l’elemento che ai nostri occhi più sembra rivelare la preoccupazione della BCE per la disciplina fiscale (il legame indissolubile tra le OMT e il rispetto dei programmi di risanamento fiscale da parte degli Stati destinatari) viene invece paradossalmente interpretato dalla Corte come indizio della volontà di aggirare l’art. 123 TFUE. Dopo essersi implicitamente “legata le mani”, obbligandosi a non utilizzare le OMT come tecnica di politica monetaria in assenza di precise garanzie sul risanamento dei bilanci pubblici, appare abbastanza paradossale che la BCE si veda accusata di voler eludere la normativa sulla disciplina fiscale.
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