Il reato di negazionismo: una tutela della democrazia, non un impedimento alla ricerca storica
La presentazione al Senato del progetto di legge per punire penalmente la negazione dell’olocausto ebraico, dei genocidi in genere e di altri gravissimi crimini internazionali ha sollevato una levata di scudi da parte degli storici italiani. Pur naturalmente preoccupati del diffondersi dell’antisemitismo, che si riconosce “assume anche la forma di negazione radicale o di rimozione profonda della Shoah”, la posizione di molti studiosi è che simili espressioni vadano combattute con l’educazione, la cultura, l’informazione, non anche con il codice penale. Si e giunti ad affermare che attraverso questo reato si imporrebbe una verità per legge, con la conseguenza di rendere la ricerca storica addirittura illegale.
La norma in discussione non intende assolutamente né rischia di limitare la ricerca storica, né quella in buona fede, e neppure quella che si risolve nella propalazione di menzogne, pure essa protetta, piaccia o no, dalla libertà costituzionale di manifestare le proprie opinioni finché peraltro non si ledano i diritti fondamentali altrui. Sulla scia della decisione europea in materia del 2008 sulla lotta al razzismo e alla xenofobia – tuttora inattuata in Italia – si vuole invece combattere una particolare forma di odio e incitamento alla discriminazione ed alla violenza che consiste nel pretendere che le camere a gas non siano mai esistite. La negazione dello sterminio porta ad accusare gli stessi ebrei di questa “menzogna” ed ad affermare la legittimità dell’ideologia nazista. Come afferma la risoluzione dell’ONU del 2007 che condanna la negazione dell’olocausto, negare la verità storica dei genocidi comporta il rischio che essi vengano ripetuti. Il negazionismo non è altro che una manifestazione particolarmente odiosa di antisemitismo.
E’ contro questa propaganda all’odio, non contro mere opinioni, per assurde e spregevoli che siano, che l’Unione Europea ha formulato in termini attenti la richiesta di perseguire la negazione dell’olocausto e degli altri crimini contro l’umanità così come definiti a Norimberga e dalla Corte Penale Internazionale. In questi termini si è mosso il progetto di legge della sen. Amati e di altri parlamentari di vari partiti che inseriva il nuovo reato nell’ambito della Legge Mancino del 1993 che reprime in generale, in conformità alla Convenzione dell’ONU del 1975, la propaganda e l’incitamento all’odio e la violenza “per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Il fatto è che nella fretta e sulla scia dell’emozione causata dalle manifestazioni nostalgiche che hanno circondato la morte di Priebke, il testo approdato all’aula del Senato trascura il requisito che le manifestazioni di negazionismo siano perseguibili in quanto atte a incitare alla violenza o all’odio o turbare l’ordine pubblico. Questo requisito restringerebbe l’applicazione concreta della norma ma la mette al riparo dalla critica che si voglia varare un reato d’opinione. Il primo scopo della nuova norma è del resto quello di mettere i paletti tra quanto è lecito in una società democratica e l’ inammissibile invocazione di ideologie e regimi ai suoi antipodi. Nessuno pensa davvero che in forza di questo provvedimento le nostre già affollate carceri si riempiranno di negazionisti, ammiratori di Hitler.
E’ anzitutto per contrastare il razzismo e l’intolleranza nello spazio pubblico, e per la tutela delle minoranze, che l’iniziativa legislativa è dunque necessaria. Essa dovrebbe essere benvenuta per chiunque ha a cuore la tenuta della nostra società, civile, tollerante, democratica, e i valori costituzionali che la sostengono.
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