Frontex e mitologia greca: un binomio assai bizzarro
Fra i diversi compiti che il regolamento 2007/2004 (v. anche il regolamento 1168/2011) affida all’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’UE (“Frontex”) v’è anche (e soprattutto) quello di coordinare le c.d. operazioni congiunte: si tratta di attività operative che vedono coinvolti gli Stati membri nel tentativo di arginare i flussi di immigrazione irregolare via terra, aria o mare. Di norma, la denominazione di queste operazioni pesca abbondantemente nella mitologia greca (Hera, Hermes, Poseidon, Hydra), benché vi siano sconfinamenti significativi in quella romana (Jupiter, Minerva, Aeneas). Per una tagliente ironia del destino, tuttavia, a quanto mi consta, nessuna di queste operazioni ha preso il nome di una delle Nereidi (che pure, a quanto raccontano Esiodo ed Omero, erano parecchie): ninfe benevole, soccorritrici, secondo la tradizione, di marinai e pescatori del Mar Mediterraneo. Pare non sia un caso. Recentemente, infatti, alle molte voci della dottrina e delle Ong, critiche nei confronti delle attività di Frontex e, particolarmente, della loro conformità alle norme internazionali a tutela dei diritti umani, si è aggiunta quella del Mediatore europeo, il quale ha avviato motu proprio e concluso un’inchiesta ad hoc in merito.
Gli esiti dell’iniziativa del Mediatore (v. Draft recommendation of the European Ombudsman in his own-initiative inquiry 0115/2012/BEH-MHZ concerning the European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the European Union (Frontex), 9 April 2013) hanno evidenziato un quadro molto poco chiaro relativamente alle responsabilità attribuibili all’UE, ai suoi Stati membri e agli eventuali Stati terzi cooperanti per effetto delle condotte poste in essere durante le operazioni; pure, egli ha notato un certo miglioramento nella trasparenza delle comunicazioni concernenti le attività portate avanti da Frontex; infine, ha sottolineato la necessità di rinforzare i meccanismi “interni” di tutela, con la creazione di un canale di comunicazioni individuali da poter rivolgere al Responsabile dei diritti fondamentali istituito in seno all’Agenzia.
I punti toccati dal Mediatore vanno al cuore del problema: le operazioni, infatti, vengono poste in essere in condizioni che rendono davvero difficile rilevare (e poi attribuire) una qualche violazione dei diritti fondamentali, soprattutto della norma che vieta il refoulement. A tal proposito, è emblematica l’operazione Hera II, richiesta dalla Spagna: si tratta del pattugliamento delle coste dell’Atlantico occidentale di fronte alla Mauritania e al Senegal, effettuato in cooperazione con questi due Stati. In pratica, i mezzi coordinati da Frontex e messi a disposizione da alcuni Stati membri hanno avuto il compito di intercettare nel mare territoriale e nella zona contigua dei due Stati africani i c.d. cayucos, precarie imbarcazioni cariche di migranti irregolari; una volta bloccati, essi venivano affidati alle autorità dello Stato costiero. È qui evidente la violazione del divieto di refoulement, il quale richiederebbe una prima procedura di screening per separare gli irregolari dai richiedenti asilo; come pure è evidente che Agenzia e Stati membri hanno approfittato della scarsa trasparenza che circonda queste operazioni per “scaricare” le responsabilità su Mauritania e Senegal, i quali avrebbero avuto, secondo una versione assai ardita, il controllo complessivo delle operazioni che si sono svolte nelle prospicienti irradiazioni del loro territorio.
Questo connubio fra scarsa trasparenza e poca chiarezza in merito alle eventuali responsabilità si accompagna ad una mancanza quasi totale di controllo da parte della Corte di giustizia, quale istituzione che nell’UE, di norma, presiede la tutela dei diritti fondamentali. Ad essa, per un verso, l’art. 19, paragrafi 3 e 4, del regolamento 2007/2004, affida la competenza sulle controversie relative al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale di Frontex; tale competenza, tuttavia, è di non facile attivazione per quei richiedenti asilo intercettati in mare e riportati negli Stati terzi di ultimo transito, in dispregio del divieto di refoulement. Per l’altro, per effetto delle modifiche volute dal Trattato di Lisbona, alla Corte spetta anche la competenza per l’annullamento degli atti degli organi e degli organismi dell’UE, a condizione che detti atti abbiano effetti giuridici nei confronti di terzi: una condizione che, nel caso dei piani operativi di Frontex, peraltro non pubblici, difficilmente si verifica.
Luce potrà, invece, fare su queste zone ancora oscure del diritto dell’UE la Corte di Strasburgo se (e quando) entrerà in vigore l’accordo di adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, attualmente oggetto della preannunciata domanda della Commissione europea volta ad ottenere, ex art. 218, par. 11, TFUE, un parere della Corte di Lussemburgo (v. Richiesta di parere presentata dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 218, paragrafo 11, TFUE (Parere 2/13) (2013/C 260/32), in GUUE C 260 del 7 settembre 2013, p. 19) il quale, se negativo, probabilmente affosserà del tutto il “matrimonio europeo”.
Questi profili strettamente giuridici vanno peraltro contestualizzati: aprendo l’ultima edizione di FestivalStoria, dedicata proprio al Mar Mediterraneo, il prof. Angelo D’Orsi ha sottolineato la necessità di recuperare il carattere inclusivo di queste acque divenute, oggi, «una sorta di enorme vasca mortifera, un catino di speranze frustrate, di immani sofferenze, di corpi che nessuna pietà può onorare». L’impressione che desta l’operato dell’Agenzia, e forse la sua stessa presenza, va esattamente nella direzione opposta: gli individui meritevoli di protezione internazionale si perdono, quando non nel mare, nella marea dell’immigrazione irregolare, in un esercizio di banalizzazione dell’“altro” che non fa di certo onore al Mediterraneo e alle popolazioni che hanno il privilegio di affacciarvisi.
Anche dall’ultimo Consiglio europeo, al di là delle rituali e retoriche manifestazioni di «profonda tristezza» (v. Conclusioni rese dopo la riunione del 24-25 ottobre 2013, par. 46), non pare sia emersa una qualche preoccupazione sulle ricadute che l’attività dell’Agenzia precipita sui diritti fondamentali. Anzi, il Consiglio europeo ha chiesto di «rafforzare le attività di Frontex nel Mediterraneo e lungo le frontiere sudorientali dell’UE» (ivi, par. 47), ignorando che uno dei motivi che hanno reso più rischiose le migrazioni nel Mar Mediterraneo è stata proprio la “necessità” di trovare percorsi più lunghi e pericolosi per evitare quelli sorvegliati dagli Stati membri dell’UE, coordinati da Frontex. Di ben altro spessore sarebbero quelle iniziative volte a disincentivare le migrazioni, cooperando con i paesi di origine affinché essi sviluppino economie più solide: il Consiglio europeo lo sottolinea giustamente (ibidem), ma il timore che la lettera rimanga morta è forte in questo clima da barricate che circonda i problemi legati alle migrazioni. Del resto, anche a margine delle ultime vicende legate alla crisi finanziaria, non è lecito attendersi un atteggiamento diverso da quella fortezza Europa che, sempre seguendo D’Orsi, «elide la matrice da cui è sorta, uccide simbolicamente la madre Grecia, quella che addirittura ha partorito il suo nome, e il mito fondativo».
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