Il caso Shalabayeva e la minore dimenticata
Da giorni leggiamo sulla stampa e in alcuni commenti che non sussistono formali vizi di procedura in relazione all’espulsione e al rimpatrio di Alma Shalabayeva e della figlia di sei anni. Secondo quanto dichiarato dal Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri “Le procedure sono state perfette. Tutto secondo la legge. Mi sono informata subito della questione e tutto si è svolto secondo le regole” (vedi Internazionale). Insomma, certo le modalità sarebbero state inusuali ma non illegittime. Ad una tale conclusione si giunge anche grazie al fatto che l’attenzione è stata principalmente concentrata sul rimpatrio di Alma Shalabayeva, dando quasi per scontato che fosse normale che la piccola Alua seguisse la sorte della madre. Mi pare invece che una corretta interpretazione del diritto interno, internazionale ed europeo avrebbe garantito alla bambina una protezione ben maggiore di quella che le è stata riconosciuta, e che in relazione alla sua espulsione siano configurabili, almeno nell’incertezza delle informazioni ricavabili dalla stampa, anche vizi formali nella procedura oltre che mere modalità inusuali.
Ai sensi dell’art. 19, co. 2, lett. a), del Testo Unico sull’immigrazione “Non è consentita l’espulsione … degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi”. L’espulsione del minore accompagnato non è quindi automatica, ma costituisce solo riconoscimento del suo diritto di seguire il genitore, e l’opportunità ne va valutata caso per caso. A conferma della particolare attenzione che la legislazione riconosce al superiore interesse del minore, il comma 2 bis, dello stesso articolo, introdotto dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89 di esecuzione della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, precisa che “Il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione … dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori … sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate”. A queste norme va poi aggiunto l’articolo 31 co. 3 che prevede che “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico…”; in relazione a questa norma la Corte di Cassazione ha più volte affermato che i “gravi motivi” possono verificarsi anche come conseguenza dell’espulsione e della separazione del minore da un genitore. Proprio al fine di assicurare che il superiore interesse del minore sia sempre garantito, il co. 4 dell’articolo 31 dispone che “Qualora ai sensi del presente testo unico debba essere disposta l’espulsione di un minore straniero il provvedimento è adottato, su richiesta del questore, dal Tribunale per i minorenni”. Queste disposizioni del diritto interno non sono altro che il frutto dell’adattamento del nostro ordinamento al generale principio, iscritto all’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, e di probabile valore consuetudinario, secondo cui “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
Dalle notizie disponibili sulla stampa in relazione al rimpatrio della piccola Alua, sembra che il suo superiore interesse non solo non sia stato una considerazione preminente, ma non sia stato considerato affatto! La bambina infatti è stata espulsa insieme alla madre, con conseguente separazione dal padre, senza che sia noto l’intervento del Tribunale per i minorenni (il quale invece dovrebbe essere, a quanto si legge nel citato art. 31 co. 4 del Testo Unico il giudice naturale competente in questi casi). Al di là delle richieste e dichiarazioni della madre, sembra evidente che in relazione ad un rimpatrio di questo tipo, effettuato in deroga (se non in violazione) alla Direttiva 2008/115/CE – che privilegia sempre il rimpatrio volontario rispetto alla sua esecuzione forzata, e che precisa in più occasioni la necessità di prestare particolare attenzione alla presenza di minori e ai legami familiari -maggiori verifiche volte a valutare la situazione della minore dovevano essere svolte anche d’ufficio da tutte le autorità competenti, ma ciò non è avvenuto. Un simile sviamento nelle procedure mi sembra confermare che quel che abbiamo visto non è il frutto di semplice negligenza ma può essere qualificato come extraordinary rendition, come peraltro non hanno esitato a fare i tre special rapporteurs delle Nazioni Unite citati nel post di Pasquale De Sena.
L’assecondamento dei desideri delle autorità kazake sembra ancora più grave se si considera che tutto ciò è avvenuto ai danni di una bambina di sei anni. Mi chiedo quindi se, al di là dei contributi che ci scambiamo in questo blog, non si possa fare un comunicato stampa ufficiale della SIDI sulla vicenda.
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All’indirizzo sottostante, si può leggere un intervento di Natalino Ronzitti, che contiene anche un’interessante proposta di soluzione del caso tramite l’utilizzazione del meccanismo della “dimensione umana” in sede OSCE: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2379