La circolazione degli atti pubblici in Europa e i confini del diritto internazionale privato dell’Unione
È stata presentata il 24 aprile 2013 la proposta di un regolamento volto a promuovere la libera circolazione di cittadini e imprese semplificando l’accettazione di alcuni atti pubblici nell’Unione europea e a modificare il regolamento (UE) n. 1024/2012 (COM/2013/228 definitivo), istitutivo di un sistema di informazione del mercato interno (“IMI”). La proposta legislativa, in linea con il Programma di Stoccolma del 2009 (Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini) e con la relazione della Commissione del 2010 sulla cittadinanza dell’Unione (Eliminare gli ostacoli all’esercizio dei diritti dei cittadini dell’Unione), punta a sopprimere le formalità suscettibili di ostacolare la circolazione di individui e imprese nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, riducendo i costi associati ai fenomeni di mobilità (come i costi di traduzione dei documenti) e contenendo i tempi per l’espletamento delle procedure amministrative (anagrafiche e di altra natura) legate alla circolazione. La nuova disciplina si propone inoltre di ricomporre, semplificandolo, il frammentario quadro giuridico in tema di legalizzazione e apostille, assicurando al contempo un’efficace prevenzione della frode e della falsificazione degli atti pubblici. La base giuridica del futuro regolamento è stata individuata dalla Commissione nell’art. 21, par. 2, del TFUE, che sancisce il diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. La base ora indicata è integrata dall’art. 114, par. 1, del TFUE, concernente le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Secondo la Commissione, gli ostacoli amministrativi all’uso ed all’accettazione transfrontalieri dei documenti pubblici hanno un’incidenza diretta sulla libera circolazione dei cittadini, nonché sul pieno esercizio delle libertà del mercato interno dalle imprese dell’Unione europea.
Il futuro regolamento si colloca, in ragione di questa scelta, in un’area formalmente estranea al perimetro della cooperazione giudiziaria in materia civile contemplata dall’art 81 del TFUE. Vari elementi, peraltro, segnalano la stretta correlazione che lega la proposta in discorso al diritto internazionale privato dell’Unione europea.
Tale correlazione si lascia apprezzare sotto il profilo delle tecniche di cui la proposta prefigura l’impiego (A) e degli obiettivi da essa perseguiti (B).
A) Pur non qualificandosi come una misura integrante il diritto internazionale privato dell’Unione, la proposta impiega in larga parte dei metodi sperimentati in questa disciplina. Il futuro regolamento, a differenza del libro verde che ha preceduto l’iniziativa della Commissione (Meno adempimenti amministrativi per i cittadini. Promuovere la libera circolazione dei documenti pubblici e il riconoscimento degli effetti degli atti di stato civile), dove veniva affrontata anche la questione del riconoscimento del contenuto degli atti pubblici negli Stati membri, riguarda solo “l’accettazione di documenti pubblici che devono essere presentati alle autorità di un altro Stato membro” (art. 2). I moduli standard multilingue che il regolamento si propone di istituire con riferimento a nascita, decesso, matrimonio, unione registrata e status giuridico e rappresentanza di una società o altra impresa, non producono di per sé stessi alcun effetto giuridico: tali moduli, in definitiva, si limitano a conferire al documento lo stesso valore probatorio ufficiale che esplica nello Stato di emissione (art. 15).
La proposta si discosta, in tal modo, dal modello seguito tra gli altri dal regolamento (CE) n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e dal regolamento (CE) n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, rifacendosi, piuttosto, allo schema incentrato (non già sul riconoscimento, quanto) sull’accettazione dei provvedimenti stranieri, accolto dal regolamento (UE) n. 650/2012 sulle successioni, che istituisce anche un certificato successorio europeo. Ai sensi dell’art. 59 del regolamento n. 650/2012, infatti, “[u]n atto pubblico redatto in uno Stato membro ha in un altro Stato membro la stessa efficacia probatoria che ha nello Stato membro d’origine o produce gli effetti più comparabili, a condizione che ciò non sia manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro interessato” (il corsivo è aggiunto). L’articolo deve essere letto insieme al 61° considerando del regolamento stesso, per cui “l’efficacia probatoria di un atto pubblico in un altro Stato membro sarà…determinata dalla legge dello Stato membro d’origine”.
Il legislatore europeo ha deciso di impiegare un lessico specifico con l’obiettivo di allontanare il rischio di equivoci legati all’impiego della nozione di “riconoscimento”. Quest’ultimo concetto, invero, generalmente adoperato nell’ambito della circolazione delle decisioni giudiziarie, implica l’apertura dell’ordinamento dello Stato richiesto verso valori stranieri, permettendo che ivi producano effetti – siano riconosciute, appunto – decisioni giudiziarie (ma anche norme generali ed astratte) espressione della sovranità altrui (dello Stato d’origine). Si è del resto sentita la necessità, oltre all’utilizzo del termine “accettazione”, di escludere espressamente ogni riferimento alla possibilità che tali atti pubblici potessero produrre effetti giuridici in ogni Stato membro diverso da quello di origine.
La proposta muove dall’idea che esista una norma di conflitto uniforme per cui un documento pubblico è considerato tale ai sensi dell’ordinamento dello Stato d’origine (in altri termini, l’esistenza pressoché universale della regola locus regit actum). A questa stessa idea si era d’altronde espressamente richiamato anche il Permanent Bureau della Conferenza dell’Aja nel maggio 2011, in risposta alla consultazione pubblica lanciata con il libro verde dalla Commissione europea (par. 13 – Resurgence of conflict of law issues).
In Europa, come pure fuori di essa, si è provveduto da tempo a creare un quadro normativo teso ad agevolare la circolazione degli atti pubblici, se pur, come anticipato, in un panorama fortemente frammentario. Oltre alle molteplici convenzioni elaborate in seno alla Commission International de l’État Civil (convenzioni nn. 1, 2 e 17, relative alla dispensa da ogni forma di legalizzazione per certi atti pubblici), nonché alla Convenzione dell’Aja del 1961 sull’apostille (che tra le convenzioni adottate in seno alla Conferenza è quella che ha attirato il maggior numero di consensi tra gli Stati, ad oggi ben 105), contengono disposizioni relative alla legalizzazione: il regolamento n. 2201/2003 (art. 53, per cui “[n]on è richiesta alcuna legalizzazione o altra formalità analoga per i documenti indicati negli articoli 37, 38 e 45, né per l’eventuale procura alle liti”); il regolamento n. 4/2009 sulle obbligazioni alimentari (art. 65, per cui “[n]on è richiesta alcuna legalizzazione o altra formalità analoga nel quadro del presente regolamento”); il regolamento n. 1215/2012, recante la rifusione del regolamento n. 44/2001 (art. 61, secondo il quale – allargando il novero dei documenti dispensati, rispetto all’art. 56 del regolamento n. 44/2001 – “per i documenti emessi in uno Stato membro nel contesto del presente regolamento non è richiesta alcuna legalizzazione né altra formalità analoga”). La proposta di regolamento in esame richiama anche la Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987 relativa alla soppressione della legalizzazione degli atti negli Stati membri delle Comunità europee, mai entrata in vigore (applicata tuttavia in via provvisoria da sei Stati membri nelle reciproche relazioni; l’Italia non è tra questi).
Il futuro regolamento, mediante un intervento “orizzontale”, si prefigge l’obiettivo di riordinare il quadro giuridico appena delineato: la proposta razionalizza le norme e le procedure attualmente applicate tra gli Stati membri per verificare l’autenticità di alcuni documenti pubblici, al contempo integrando il diritto settoriale vigente a livello sovranazionale. Si tratta, comunque, di un testo che, non pretendendo di essere esaustivo, lascia di fatto all’interprete il compito di risolvere alcune questioni in tema di legalizzazione, pur suscettibili di insorgere in relazione a regimi sovranazionali, come quelli istituti dai regolamenti n. 805/2004, n. 1896/2006 e n. 861/2007, relativi rispettivamente al titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, al procedimento europeo di ingiunzione di pagamento e al procedimento europeo per le controversie di modesta entità.
Il futuro regolamento promuove dunque il principio della fiducia reciproca tra le autorità nazionali e crea una cooperazione amministrativa tra le autorità competenti (artt. 8-10). Tale cooperazione è basata sul sistema di informazione del mercato interno, istituito con il regolamento n. 1024/2012, richiamato in apertura. Una delle funzionalità dell’IMI permette di conservare un repertorio di modelli di documenti pubblici (art. 10): tale repertorio richiama il metodo già sperimentato con i registri immobiliari e fallimentari consultabili sul Portale europeo della giustizia on-line (e-Justice), nonché i registri europei delle imprese (EBR) e dei testamenti (European Network of the Registers of Wills Association – ENRWA – nel contesto del progetto Interconnecting European Registers of Wills – IRTE –, co-finanziato dalla Commissione europea).
L’attività delle autorità centrali (strumento chiave di cooperazione amministrativa impiegato in molti regolamenti europei adottati sulla base dell’art. 81 Tfue) assume un rilievo preminente nell’applicazione del futuro regolamento, in particolare per lo scambio di best practices relative all’accettazione dei documenti pubblici tra gli Stati membri, per la comunicazione e l’aggiornamento regolare delle buone prassi in materia di prevenzione della frode e in materia di promozione dell’uso delle versioni elettroniche di documenti pubblici. Al fine di elaborare modelli di documenti pubblici nazionali mediante il repertorio disponibile nel sistema di informazione del mercato interno, suggerisce il 15° considerando, le autorità centrali potrebbero ricorrere alla rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, istituita con decisione 2001/470/CE (un richiamo, questo, che conferma ulteriormente la stretta connessione che lega la proposta in esame, a dispetto della sua base giuridica, alla cooperazione giudiziaria in materia civile).
B) Venendo agli obiettivi, il regolamento – come si è detto – mira a facilitare la circolazione degli atti pubblici all’interno dell’Unione, in funzione di una più agevole circolazione dei soli cittadini dell’Unione e delle imprese. Al 5° considerando, la proposta esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione “[p]er la loro diversa natura giuridica … i documenti redatti da privati”, comprese – sembra di capire – le procure, “nonché i documenti redatti da autorità di paesi terzi”.
La soluzione accolta non agevola l’obiettivo generale di integrazione delle persone (non necessariamente, peraltro, cittadini europei) sotteso alle misure di diritto internazionale privato dell’Unione (relative tanto alla competenza giurisdizionale, al riconoscimento ed all’esecuzione di decisioni, quanto ai conflitti di leggi, dal settore dell’insolvenza, ad esempio, al diritto di famiglia). Per menzionarne solo uno, è asservito a questi fini l’impiego prevalente del titolo di giurisdizione del domicilio e, nella disciplina di conflitto, l’uso pressoché esclusivo del criterio di collegamento della residenza abituale, parallelamente al ridimensionamento del ruolo assolto dal criterio cittadinanza.
Il sistema di circolazione degli atti istituito dal futuro regolamento è in ogni caso funzionale alla garanzia di una efficace circolazione degli status creati all’estero, nonché ad obiettivi di tutela transfrontaliera del credito (si pensi ad esempio, per quest’ultimo aspetto, al valore probatorio ufficiale delle registrazioni relative ai beni immobili).
La forma di cooperazione amministrativa realizzata dalla proposta, come già detto, non è sconosciuta nel contesto della cooperazione giudiziaria in materia civile (art. 74 Tfue): in fondo i documenti “viaggiano” con l’individuo, ma “nascono” in una amministrazione e sono solitamente fatti valere di fronte ad un’altra amministrazione.
Veniamo alle conclusioni. Il diritto internazionale privato dell’Unione europea non prevede, ad oggi, un “sistema” uniforme di circolazione e riconoscimento automatico degli atti pubblici emessi dagli Stati membri.
Pur non affrontando la questione relativa al riconoscimento degli atti pubblici, il meccanismo di accettazione di alcuni atti pubblici nell’Unione istituito dalla proposta di regolamento “dialoga” da vicino con il corpo di regole che progressivamente dà vita al diritto internazionale privato dell’Unione, integrandone alcuni aspetti. Il futuro regolamento “prende in prestito”, per così dire, tecniche internazionalprivatistiche che sono funzionali ad obiettivi “costituzionali” dell’integrazione europea: alla stregua di uno strumento adottato sulla base dell’art. 81 Tfue, esso coordina i sistemi nazionali sugli atti pubblici, favorendo la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione, a scapito, tuttavia, di un’integrazione sociale di più ampio respiro, cui invece rimane sensibile la disciplina elaborata e in corso di elaborazione nel contesto della “cooperazione giudiziaria in materia civile”.
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